Lesbo è assediata: aggressioni fasciste e spari sui migranti
Picchiati attivisti e giornalisti, l’ultradestra mette su una rete di checkpoint. La polizia non interviene. La guardia costiera greca apre il fuoco sui barconi. Due vittime tra i rifugiati: un 28enne di Aleppo colpito dagli agenti e un bambino di 4 anni annegato.
Il tappo è saltato: dopo settimane di tensioni e proteste sia dei migranti del campo di Moria che degli isolani, Lesbo sembra totalmente fuori controllo. È bastato l’annuncio di Erdogan di aprire le frontiere e i primi 400 arrivi in una sola mattinata per far esplodere la rabbia degli abitanti.
Migranti, attivisti e giornalisti sono diventati il bersaglio dell’estrema destra che, organizzata in piccoli gruppi, ha picchiato persone, distrutto macchine e ha messo su una rete di checkpoint su tutta l’isola in modo da controllare le via d’accesso del campo di Moria e di altre zone, dove la presenza di attivisti e migranti è forte. Se sei greco passi, se non lo sei ti aggrediscono con i bastoni.
Nella notte tra l’1 e il 2 marzo hanno incendiato un centro dell’Unhcr che fino a poco fa era destinato agli afghani. Ieri c’è stata la chiamata a raccolta alle 18, da quel momento sono scattati i rastrellamenti e gli assalti alle case degli attivisti.
La polizia e la autorità non fanno nulla, anzi. La volontà del governo di Mitsotakis è quella di creare il caos e avere mano libera sulla repressione e i respingimenti: il caos si è creato proprio perché il governo ha smesso di trasferire i migranti dalle isole di Lesbo, Samos e Chios alla terraferma, creando sovraffolamenti, disagi e problemi nella gestione delle condizioni igienico-sanitarie.
Nelle ultime settimane ha respinto il 95% delle richieste d’asilo, mettendo queste persone in un limbo: sono illegali in Grecia ma essendo principalmente siriani e afghani non possono nemmeno tornare indietro. Una no man’s land dei diritti umani.
«Siamo sempre stati solidali ma ora siamo davvero stanchi, non ne possiamo più. Se mi dovessi sentire male non potrei nemmeno andare in ospedale», ci dice Elena, una donna che gestisce un bar a Skala Sikaminea, luogo storico di approdo dei migranti.
La sanità nell’isola è al collasso, la crisi economica non è mai stata superata del tutto e la pressione dei migranti sul già scarno sistema di servizi di Lesbo ha portato tante difficoltà ai cittadini che spesso da soli si sono fatti carico dei momenti di crisi.
Il bar di Elena è stato per anni luogo di ritrovo dei volontari delle ong ma oggi è deserto, chi non è greco non si fa vedere in giro volentieri: a poche centinaia di metri da lì c’è un centro di prima accoglienza che non ha mai dato problemi ma che oggi è presidiato dagli abitanti e i migranti sono di fatto loro prigionieri.
«Abbiamo paura a camminare per strada, il posto più sicuro per noi è Moria Camp ma non possiamo andarci, rischiamo di essere presi dai fascisti – ci dice Ahmed, siriano di 28 anni che ha preso parte alla rivoluzione siriana per poi abbandonarla quando sono arrivati i jihadisti – Moria è un inferno ma se diciamo di essere più sicuri dentro puoi immaginarti quanta paura abbiamo fuori».
Lui e i suoi amici girano per il centro storico di Mityline cercando di evitare persone o piccoli gruppi sospetti. Il giorno prima alcuni suoi amici sono stati presi a bastonate e la macchina di un’attivista greca che provava a soccorrerli è stata distrutta completamente. «Siamo qui da tanto tempo ma non abbiamo mai avuto così paura», chiosa Ahmed.
Dei 500 poliziotti di rinforzo venuti dalla terraferma non se ne vede nemmeno uno, sono tutti concentrati al nord dell’isola, a Mandamados, dove il governo vuole costruire un centro «chiuso» per migranti, praticamente un carcere per coloro a cui viene respinta la domanda d’asilo e si trova nel limbo giuridico.
Oltre ai rinforzi da Atene sono arrivate poche indicazioni sulla situazione, la prima è che non saranno accettate le richieste d’asilo delle persone che stanno arrivando in questi giorni, sia via mare che via terra, e che in queste ore avverrà una «esercitazione militare» in cui la marina greca potrà sparare a tutte le imbarcazioni non autorizzate a navigare nella zona compresa tra Agrielia Kratigos e Eftalou, tutta la costa est di Lesbo dove arrivano i gommoni.
Questa linea dura sulla chiusura delle frontiere e del soccorso ha già portato due morti: un bambino di 4 anni, annegato dopo che il gommone in cui viaggiava con i genitori si è capovolto, e un ragazzo di 22 anni di Aleppo, Mohammed El Arab, a cui la polizia schierata sul confine vicino Evros ha sparato una pallottola di gomma che lo ha tramortito e ucciso.
Al largo di Kos la guardia costiera greca con una motovedetta e un gommone è passata a tutta velocità vicino a un gommone di migranti siriani, ha sparato colpi di fucile in acqua e poi con un forcone ha colpito i migranti che provavano a salire sulla motovedetta.
Tra domenica e ieri nelle isole greche di Lesbo, Samos e Chios sono arrivate 1.200 persone, una pressione che le tre isole greche non possono reggere: prima di questa nuova ondata solo a Moria c’erano 22mila migranti a fronte di 3mila posti totali. Il governo greco deve scegliere se farsi carico della situazione o se gettare benzina sul fuoco.
di Valerio Nicolosi
da il Manifesto del 3 marzo 2020
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