Milano che (r)accoglie 

“Interveniamo nell’ accoglienza, ma nel rispetto delle regole”,  Marco Granelli

Nessun-essere-umano-è-illegale

È questo il commento di Marco Granelli, assessore alla sicurezza e coesione sociale del Comune di Milano, dopo lo sgombero di 700 rom occupanti nelle zone di via Cassinis, viale Toscana, via Vittorini e dintorni, avvenuto nell’Estate del 2011. Oggi Granelli è incaricato di gestire la questione migrazione nella metropoli attraverso la rete di centri d’accoglienza e strutture attive. Egli sovrintede la gestione dell’accoglienza di centinaia e centinaia di persone che arrivano qui a Milano per restarvi. I flussi migratori che da anni attraversano i nostri territori sono cambiati anche per via del Trattato di Dublino e delle politiche di authority attuate dall’Unione Europea e dagli stati al suo interno. Nell’ultimo anno il flusso è passato dall’essere transitorio a stanziale e inoltre, fatti relativamente recenti come la rivoluzione siriana, hanno generato nuovi flussi migratori.

Ci stiamo trovando di fronte a una migrazione verso l’Europa inedita, anche se non proprio inaspettata. Infatti le grandi migrazioni sono sempre state presenti fin dagli albori del capitale e della crescita della possibilità di mobilità sociale accessibile. Verso le Americhe dal 1815 al 1930 – anni di vero e proprio boom dell’industria -, per esempio, si mossero 24 milioni di persone provenienti dalle isole britanniche – di cui buona parte Irlandesi, – e dal 1861 al 1960 25 milioni di Italiani. Come possiamo notare ancora oggi, le motivazioni son rimaste per lo più le stesse: possibilità di una vita più facile, agiata, moderna. La migrazione ha sempre seguito il capitale da quando esso esiste. Tuttavia questo non è l’unico motivo che muove le persone verso l’Europa e Milano. E’ da quarant’anni infatti, che la metropoli è connessa a un esodo dovuto alla coercizione di stati dittatoriali come l’Eritrea o, dove vi è guerra, come in Somalia.

L’identità dei moti migratori, insomma, è sfaccettata e multiforme, ma per farvi fronte Milano offre una alquanto variegata gamma di società private per il sociale a cui affida l’accoglienza diretta e la tutela dei soggetti interessati. Ed ecco che società come City Angels, Arca ONLUS, Linea Gialla, SaveTheChildren e tante altre, vincendo bandi e convenzioni col Comune si occupano in modo diretto della migrazione a Milano.

Arca ONLUS è una delle principali protagoniste nel panorama dell’accoglienza.

Nata negli anni ’90 da un piccolo gruppo di giovani volenterosi che volevano far fronte alle difficoltà sociali, Arca è ad oggi tra le maggiori società private che si occupano della questione sociale a Milano e in Italia. Dalla tossicodipendenza ai senza dimora, migranti e prostitute, oggi questa ONLUS può vantare ben 24 progetti nella sola metropoli.

Ben tre dei maggiori centri d’accoglienza (Aldini, Mambretti e HUB) presenti sul territorio milanese sono a sua gestione. Tra questi appunto, il tanto millantato HUB di Stazione Centrale che viene definito come il fiore all’occhiello di tutta l’accoglienza di Milano.

Ecco allora che per capirne di più sulla complessità della questione sociale più scottante degli ultimi anni, abbiamo intervistato Ivan Colnaghi, ex coordinatore dell’HUBmobile e del centro in via Sammartini per senza dimora gestito da Arca.

Due precisazioni necessarie prima di iniziare con l’intervista: HUBmobile (presidio anti-degrado, Bastioni di Porta Venezia) è un servizio nato in Arca fatto da operatrici e mediatori che si muovono tra Porta Venezia e Stazione Centrale alla ricerca di migranti che necessitano di prima accoglienza. Nato nel Settembre 2015, è stato costituito sotto le pressioni di Cambio Passo (comitato cittadino spontaneo divenuto da pochi mesi associazione APS – associazione di promozione sociale) che da diversi anni si occupa di aiutare chiunque arrivi principalmente nella zona di Porta Venezia. Grazie all’aiuto di questa associazione, ora i migranti che arrivano nella metropoli possono godere di aiuto diretto e immediato ed essere collocati in centri d’accoglienza ove poter carpire tutte le informazioni utili su come muoversi all’interno della fitta burocrazia italiana.

L’HUBmobile è un progetto sperimentale finanziato attraverso incentivi comunali e la cui convenzione si rinnova con tempistiche non chiare né trasparenti.

Il dormitorio di via Sammartini, invece, faceva parte di Piano Freddo, una rete di dormitori sparsi in tutta la città che ogni anno si attiva per ospitare senza dimora nei mesi più freddi.

-Ciao Ivan, raccontaci la tua esperienza in Arca: come sei arrivato a lavorare per questa società?

Ho iniziato a lavorare per Arca ONLUS dall’inizio di Settembre 2015, ovvero quando ha preso vita HUBmobile sotto le pressioni del comitato Cambio Passo. Mi sono avvicinato a questa realtà dopo che ho iniziato a collaborare con loro l’Estate scorsa, in uno dei momenti più caldi per quanto riguarda la cosiddetta “emergenza profughi/e” in Centrale.

-Di che cosa ti occupavi?

Ero coordinatore del progetto HUBmobile e, dall’inizio di Gennaio, sono stato anche a capo del dormitorio Sammartini all’apertura del Piano Freddo.

L’HUBmobile è nato per far fronte ai nuovi arrivi della comunità principalmente etiope o eritrea che arrivano in via Palazzi, zona di Porta Venezia con un’ altissima concentrazione di bar e negozi habesha (chi appartiene a queste zone, infatti, ha un’altissimo senso della comunità e tende a muoversi e viaggiare non tanto in base alle specificità del nuovo posto, ma più verso luoghi dove possono contare sul sostegno di familiari e conoscenti). L’ HUBmobile era un servizio che da un paio d’anni veniva già offerto da Arca, ma con l’aiuto di Cambio Passo si è potuto strutturare meglio sia a livello di risorse che di competenze, da una prospettiva linguistica oltre che di relazionale. Lo scopo principale di questo servizio è quello di accompagnare le persone dalla zona Porta Venezia-Stazione Centrale all’HUB, centro di prima accoglienza fino a qualche mese fa situato nel sottopassaggio di via Tonale e, da poco più di un mese, spostatosi in fondo a via Sammartini. Una volta che le persone sono state registrate in HUB vengono poi mandate nei diversi centri d’accoglienza sparsi in tutta la città e gestiti da Arca o altre associazioni, come per esempio CityAngles e il centro di Pollini, o Remar con il centro dall’omonimo nome.

-Raccontaci dei flussi: chi arriva a Milano oggi?

I flussi migratori sono in continuo cambiamento. Da Settembre a Ottobre arrivavano principalmente transitanti che dall’Italia si dirigevano verso altre zone d’Europa. Da metà Ottobre ad oggi – e immagino sarà così ancora per un po’ di tempo – la migrazione è diventata prevalentemente di richiedenti asilo.

Il lavoro che svolgevo in Arca, di conseguenza, era molto cambiato: forse era diventato più complesso ma sicuramente anche più interessante; da un lavoro di sensibilizzazione e contatti di brevi periodo si è passati a svolgere un lavoro di informazione e inclusione integrazione. Per quanto ci sia una grande enfatizzazione sulle diversità, i desideri sono molto vicino ai nostri. Una casa, un lavoro, una famiglia, il desiderio di un futuro migliore. Mi sono accorto nel mio lavoro, di quanto si senta una dimensione di credito sociale da parte di una parte della società (un debito per tutto ciò che si dà gratis); questo è visibile anche in parte, nel conflitto che talvolta si genera con le persone senza dimora. Certamente vi è in questo momento un’occhio puntato sulla questione migrazione che porta anche ad un proliferare di mezzi e attenzioni sociali a cui i senza dimora non sono soggetti.

Una cosa che mi ha molto colpito è la questione legata all’illegalità dei proprio corpi, sicuramente la più preponderante nella faccenda immigrazione. Dai racconti di vissuto personale, ho notato un grande disagio in relazione alla propria percezione dell’illegalità del proprio corpo. Qui gioca un ruolo decisivo la poca trasparenza delle istituzioni: per esempio non esistono forme scritte di chi possa essere o non essere accolto. Qualche tempo fa, ad esempio, girava voce che le persone provenienti dal Bangladesh, Pakistan, Iran e altri luoghi non potessero venir accolte; quando forse ci si dimentica che il diritto d’asilo è un diritto individuale. Quando il Comune attua queste dinamiche non sta facendo altro se non produrre leggi razziali.

La figura del migrante si trova, quindi, molto strumentalizzata dai discorsi politici predominanti e incapace di togliersi da questa situazione di immobilismo sociale.

-Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato collaborando con e in Arca?

La più forte è sicuramente una mancanza di progettualità a medio e lungo termine; Arca ha iniziato ad occuparsi della questione migrazione a partire dal 2012 e non è stata ancora in grado di creare un sistema che possa garantire un’accoglienza che vada oltre l’offerta di un posto letto e cibo. Poi vi è una scarsa comunicazione anche strumentale e strumentalizzabile nella logica politica, con Questura e Comune che rende molto difficile un lavoro chiaro e strutturato.

All’interno della questione sociale, gioca un ruolo centrale la questione legata all’illegalità che è, sicuramente, la più preponderante; come ti dicevo, dai racconti che ho potuto ascoltare, ho notato un grande disagio in relazione all’illegalità dei propri corpi. La mancata trasparenza comunicativa non solo da parte delle società e associazioni che lavorano in questa dimensione ma anche, e soprattutto delle istituzioni che non controllano i servizi che convenzionano e che cambiano orientamento politico troppo spesso per assicurare un lavoro continuativo, pongono il migrante in una posizione facilmente strumentalizzabile e incapace di togliersi da questa dimensione di immobilismo sociale. Insomma una posizione sempre in stato e mai in divenire.

-Raccontaci un po’ degli operatori sociali: chi sono?

Gli operatori e le operatrici che si trovano a lavorare all’interno di questi circuiti non sono in grado di reggere la complessità che si trovano di fronte, ma non tanto perché non ne abbiano la sensibilità o l’indole ma perché non vengono formati adeguatamente per affrontarla. Questo porta ad avere operatori estremamente stressati, estremamente frustrati e arrabbiati, con una bassa consapevolezza riguardo ai vissuti della gente che incontrano, vissuti che sono spesso molto pesanti. In questo gioca un ruolo molto importante la mancanza di supervisioni che possono essere anche emotive oltre che organizzative riguardo a ciò che succede durante i turni ed il lavoro. Queste mancanze creano persone che non hanno valvole di sfogo e di condivisione delle proprie difficoltà e, spesso, questo crea atteggiamenti autoritari. Il pericolo è sempre quello di formare dei poliziotti più che degli operatori sociali. Questo è stato uno dei motivi che mi ha allontanato da Arca.

-Altre situazioni che ti hanno allontanato?

Beh sicuramente la retribuzione e il rinforzo di un modello precario che vi sta dietro. Gli operatori sono pagati troppo poco – in media 6 euro l’ora, a parte le notti che vengono retribuite non in termini di orari ma forfettari – e buona parte in voucher , nonostante lavorino lì anche da un anno o più. Poi c’è la mancanza di una chiarezza delle associazioni, con Questura e istituzioni sia a livello operativo che quotidiano. Per esempio, i centri d’accoglienza sono convenzionati con bandi comunali che si rinnovano di sei mesi in sei mesi. Questo provoca sia una dimensione di instabilità nell’agire che una dipendenza dalle diverse giunte che si susseguono nell’amministrazione e dal loro orientamento politico.

-Soluzioni?

Lavorare nella progettualità usando l’informazione come strumento in grado di poter ridare alle persone una propria autonomia. Connettere, quindi, in modo diretto tutti quei servizi nati in modo spontaneo e non sul territorio – come possono essere i centri lavoro, di assistenza legali, scuole di italiano e quant’altro -, in modo da rendere possibile un presa di responsabilità in prima persona e abbandonare così il mood assistenzialistico che stiamo portando avanti. Grazie a Cambio Passo, io oggi godo di mezzi cognitivi per far fronte ad un’analisi di questo complesso fenomeno. Il mio augurio è che tutte e tutti noi possiamo un domani prossimo affrontare con altrettanti mezzi la difficoltà di questa questione e farvi fronte con l’umanità e la coscienza necessarie.

Scarsa comunicazione, poca limpidezza istituzionale e non, mancata formazione e tutela degli accolti e di chi lavora in questi servizi; insomma un quadro piuttosto caotico e confuso che volutamente viene lasciato a se stesso nel malfunzionamento convenzionato e rinnovato in una logica di delega istituzionale. Un circolo vizioso che investe i migranti, gli operatori e noi stessi e i soldi che ogni mese vengono prontamente prelevati dalle nostre tasse e versati in finanziamenti fantasma che spariscono nel caos della disorganizzazione. L’emergenzialità costante con cui affrontiamo qualsiasi questione sociale non diviene altro che motivo di mancata progettualità a lungo termine, necessaria per trovare soluzioni sociali con una ricaduta nel reale quotidiano. La persona che decide di arrivare nella nostra città – spesso neanche per voler proprio ma per restringimenti e prigioni giuridiche internazionali come il Trattato di Dublino -, si trova all’interno di un circolo vizioso che le incatena a stare in centri sovraffollati e senza la possibilità di far nulla, incatenate al luogo dalla burocrazia italiana e internazionale; e gli operatori e le operatrici che si interfacciano direttamente con queste persone sono spesso e volentieri poco o per nulla formati/e per affrontare storie di vita così pesanti e i repentini mutamenti della politica internazionale che ne disciplinano le regole. La difficoltà diventa maggiore dal momento che i discorsi tra società e associazioni con le istituzioni sono incostanti e poco chiari.

Ecco quindi qualche informazione utile per affrontare questa discussa quanto strumentalizzata questione sociale, ed ecco un assaggio di ciò che si cela dietro l’accoglienza milanese.

Fonti:

-“Demografie” di Giuseppe A. Micheli, McGraw-Hill (2010)
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/11_giugno_23/sgomberati-rom-abusivi-granelli-accoglienza-rispetto-regole-190930517062.shtml

Marta

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