Athena, la tragedia classica in un moderno fortino degradato

Athena è la Dea della sapienza, ma è anche una dea guerriera, la dea della strategia in battaglia.

Basterebbe la prima scena per capire che, da un punto di vista meramente tecnico, stiamo per assistere a un film straordinario. Una molotov che incendia un commissariato di polizia, il furto delle armi e un inseguimento tra furgoni, automobili e moto che impennano che non lascia fiato nemmeno per un istante.

Nel momento in cui Karim varca i confini di Athena, ipotetico sobborgo parigino, carico di armi e di rabbia per la morte del giovane fratello Idir, tutto ha inizio.

Ed è qui che corriamo il rischio di entrare in un corto circuito narrativo. Perché Athena è un film ambientato in una banlieue, ma tutto quello che è l’ambiente esterno, a mio avviso, non è altro che lo sfondo dello sviluppo della vicenda familiare dei quattro fratelli che ne percorrono le vie in modo totalmente differente.
Quattro archetipi classici della tragedia trasportati in un contesto contemporaneo.

Il martire Idir, l’innesco dell’esplosione, che si suppone sia stato ucciso dalla polizia.

L’impetuoso Karim, sopraffatto dalla rabbia e dal desiderio di vendetta.

Il giusto Abdel, eroe di guerra, lacerato dal dolore ma richiamato a difendere la polizia, di cui in fondo fa parte, dall’accusa di aver ucciso suo fratello.

L’affarista Moktar, disinteressato a tutto tranne che all’evoluzione dei suoi traffici

Personalmente ritengo che, come era successo in parte ne “I miserabili”, film pluripremiato del 2019 di Ladj Ly, non a caso sceneggiatore di Athena, manchi il coraggio. Il coraggio della denuncia, il coraggio della presa di posizione e della consapevolezza, il coraggio di sublimare nel fuoco la rabbia che pervade tutti i personaggi. Il fuoco, che incendia l’inizio de “L’odio”, sia ne “I miserabili” che in “Athena” è invece la
soluzione finale, ipotizzata o realizzata, ma sembra voler significare la sconfitta dei protagonisti, che nelle fiamme abbandonano ogni speranza di rivalsa, sacrificando la vita o la necessaria ingenuità dell’adolescenza.

La scelta di affidarsi ai grandi classici della letteratura, da Hugo alla tragedia greca, è il nuovo filone descrittivo delle periferie francesi, sicuramente migliore di quello che per anni le ha avvicinate alle ambientazioni di Mad Max, con bande di palestrati che si sfidavano a colpi di bazooka.

“L’odio” ha fissato i paletti, e nessuno non solo ha provato a varcarli, ma nemmeno ci si è avvicinato. Il coraggio di Kassovitz, la denuncia dei metodi violenti che la polizia utilizzava nei confronti dei protagonisti, nei film di Ladj Ly e di Gavras manca. Gli anni in cui le banlieue, oltre che focolai di rivolta, sono state anche luogo di reclutamento di guerriglieri per l’ISIS, hanno reso ogni tipo di intervento di polizia se non
indispensabile, quanto meno lecito, da cui la tendenza ad umanizzare l’uomo poliziotto, facendo leva sulle sue paure. Quindi ne “I miserabili”, come in “Athena” sono i tre poliziotti a presentarci gli archetipi che in “Athena” appartengono ai fratelli. Il capo pattuglia, violento, corrotto e schiavo del suo corporativismo, il collega anziano, solo parzialmente tormentato dalla violenza che esercita, ma ben allineato alle empietà morali che il suo lavoro gli impone, e il novellino, pieno di valori, immediatamente scelto come interlocutore dal personaggio più influente della banlieue e combattuto tra il senso di appartenenza e quello di giustizia.

In definitiva ho trovato “I miserabili” un film più centrato, meno esplosivo ma rispondente a una necessità narrativa sulla realtà suburbana Parigina. “Athena” è uno straordinario esercizio di stile, ha una potenza visiva unica e mostra a pieno le doti registiche di Gavras, ma si perde un po’ troppo in questo autocompiacimento, dimenticandosi lo sfondo su cui si muove la vicenda.

Comunque due tra i migliori film francesi degli ultimi anni.

RM

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