Sulla nostra pelle

Nel dibattito pubblico quotidiano il tema degli abusi di potere da parte di agenti delle Forze dell’Odine verso i cittadini non ha la risonanza che dovrebbe avere. In questi giorni riaffiorano alla mente brutti ricordi di una storia italiana che non deve essere dimenticata. L’elenco delle vittime di polizia purtroppo è lungo: dalle violenze di Genova 2001, al carcere di Bolzaneto, alle tragiche morti di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Carlo Giuliani, Pino Pinelli e tanti altri nomi che riempiono la memoria nonostante la mia giovane età. Storie che attraverso la memoria collettiva bisogna raccontare, nonostante il dolore e la rabbia.

Ricordo ancora quando per la prima volta ascoltai il racconto di ciò che accadde a Dax quel freddo 16 marzo del 2003, nella Notte Nera di Milano e la stessa notte all’ospedale San Paolo, una ferita aperta che ogni anno si lacera e brucia sempre di più con il passare del tempo. Ricordo bene il mio stupore, la mia incredulità forse conseguenza della mia giovanissima età. Le morti di polizia sono tante e riempiono la bocca di opinionisti incalliti come avvoltoi che non aspettano altro che lucrare sulla morte di giovani ragazzi finiti per errore nelle fauci della forza pubblica.

In un paese dove “la Costituzione più bella del mondo” dovrebbe garantire la libertà e la sicurezza di ogni singolo individuo viviamo nel vortice della violenza. Ancora non abbiamo risposte, o forse si, ma non abbiamo Giustizia. Dobbiamo assumerci la responsabilità collettiva di raccontare le vite spezzate dalle autorità. Dobbiamo stringerci nel dolore e non farci sopraffare dallo stesso. “Sulla mia pelle” fa questo, ci stringe nella rabbia, una rabbia viscerale di chi si domanda come questo sia ancora possibile. “Sulla mia pelle” non è la storia di Stefano, è la storia di un paese, è la nostra storia.

Oggi non abbiamo ancora responsabili, al contrario proprio in questi giorni prende il via la sperimentazione dei taser, in 12 città italiane la polizia sarà dotata di pistole elettriche. Arma che secondo Amnesty International dal 2000 ad oggi ha provocato 1.005 vittime. Inoltre, nel 2007 l’Onu ha inserito il taser nella lista degli strumenti di tortura. Ancora una volta ci troviamo di fronte alla miopia di chi legifera: nel terzo paese più militarizzato al mondo nel dibattito pubblico c’è spazio solo per chi urla allo spauracchio securitario.

La paranoia ha generato una psicosi generalizzata inarrestabile. In questo contesto è importante ricordarsi da che parte stare, dalla parte degli ultimi, dalla parte di chi subirà le violenze dei difensori dell’ordine. A Milano la sperimentazione delle pistole elettriche inizia proprio dalla Stazione Centrale, nota per essere luogo di passaggio e rifugio per i migranti nella nostra città. E’ nostro dovere continuare a raccontare queste storie, a mostrare i volti senza vita di chi ha subito l’ingiustizia di questo mondo terribile. E’ nostro dovere lottare affinché non ci debba più essere il bisogno di scrivere queste righe.

Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte.

* foto in copertina da Lettera43

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