Dopo le bombe – Un dibattito a cinquant’anni da piazza Fontana
Sono tante le pubblicazioni sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre ’69 che stanno uscendo in libreria in questi mesi con l’avvicinarsi del 50° anniversario della bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Se a inizio settembre abbiamo recensito l’esemplare “Prima di piazza Fontana – La prova generale” di Paolo Morando ora, seguendo la scansione temporale, parleremo di “Dopo le bombe”, opera di diversi storici di generazioni diverse recentemente uscita per Mimesis (18 euro).
Il primo aspetto da sottolineare è che, se si vuole arrivare intellettualmente preparati ai giorni di dicembre 2019, questo è un libro che è utile avere nella propria “cassetta degli attrezzi”.
Il secondo che ci rende particolarmente fieri è che, all’interno di questo libro, c’è un capitolo a forma di un redattore di MilanoInMovimento non proprio nuovo a pubblicazioni storiche.
Se il libro di Morando è andato ad analizzare il PRIMA – ovvero come in qualche modo la pista anarchica sia stata costruita dagli apparati nei mesi precedenti al massacro di piazza Fontana – il libro di Mimesis va ad analizzare il DOPO in un vero e proprio caleidoscopio di punti di osservazione tra loro diversi e legati però da un ragionamento comune.
Il primo capitolo, opera di Aldo Giannuli ed Elio Catania, offre uno sguardo molto ampio attraverso il quale osservare la Strategia della Tensione italiana discostandosi dalle visioni italocentriche della vicenda. Per gli autori, le vicende italiane vanno ad iscriversi nel quadro della Guerra Fredda, per analizzare la quale il livello internazionale è fondamentale. Non bisogna dimenticare che nel 1969 l’Italia era circondata da regimi autoritari: Marcello Caetano in Portogallo, Francisco Franco in Spagna e i colonnelli in Grecia. Proprio in Grecia, appena due anni prima di piazza Fontana, il 21 aprile 1967 era stato messo in scena un golpe che aveva ispirato e galvanizzato alcuni settori della società italiana: da quello neofascista a quello militare a quello più reazionario dell’imprenditoria. E in questi tre Paesi si muovono gli esponenti di una vera e propria internazionale nera. Ma c’è un aspetto che rende, a nostro parere, qualitativamente ancora più importante questo capitolo. Ovvero, quella che potremmo definire “la lezione francese”. Sono proprio i francesi (molti membri dell’OAS), reduci dalle sconfitte in Indocina e in Algeria a teorizzare la “guerra rivoluzionaria” di cui si parlerà nel famigerato convegno all’Hotel Parco dei Principi di Roma del maggio ’65. Ed è proprio la Francia il luogo dove, nel maggio 1958 si è svolto un episodio cruciale capace di ispirare un altro settore della società italiana più moderato, ma altrettanto determinato a mantenere intatti privilegi ed equilibri. Si tratta del vero e proprio Colpo di Stato attuato dall’esercito francese d’Algeria per spingere Parigi a richiamare al potere il generale De Gaulle e rovesciare la fragile Quarta Repubblica. Un’operazione alla “destabilizzare per stabilizzare” riuscita perfettamente e capace di far virare la Francia verso un regime presidenziale. Non è un caso che una delle “eminenze grigie” dell’internazionale nera e della lotta anticomunista a livello europeo fosse proprio il francese Yves Guérin-Sérac, membro di primo piano della rete fascista europea che si celava dietro l’Aginter Press.
Nel capitolo scritto da Davide Conti si parla delle “avvisaglie” della strage. Se possono sembrare normali le “anticipazioni” arrivate da ambienti giornalistici contigui alla destra fascista e in qualche modo invischiati nella faccenda (tipo il giornalista fonte del Sid Guido Giannettini), più interessante è la vicenda relativa ad Aldo Moro – allora Ministro degli Esteri e in missione a Parigi per una riunione del Consiglio d’Europa che avrebbe dovuto espellere proprio la Grecia fascista – che ricorda di essere stato avvisato PRIMA della strage per tramite di alcuni esponenti del Partito Comunista Italiano che gli avrebbero consigliato una dose di attenzione supplementare nei suoi spostamenti per tornare in Italia. Le fonti del PCI affermano invece che Moro fu avvertito DOPO l’esplosione. Altra figura interessante che emerge nel capitolo è quella dell’enigmatico avvocato Amrbosini, che nella sua storia politica ha attraversato il mondo comunista e fascista conservando amici da entrambi i lati. Proprio Ambrosini avrebbe partecipato a una riunione di Ordine Nuovo due giorni prima della strage dove, tra mezze frasi, sarebbe emerso quello che stava per succedere a Milano. Ambrosini morirà in circostanze misteriose precipitando dal settimo piano del Policlinico Gemelli dove era ricoverato nel settembre ’71.
Il terzo capitolo, opera di Giulio D’Errico, riguarda la Strategia della Tensione italiana vista dall’estero. I giornali americani che avevano già seguito con ampia attenzione le lotte dell’Autunno Caldo titolarono in prima pagina sul massacro di Milano accodandosi, abbastanza fedelmente, alle ricostruzioni delle autorità. Diverso è il caso di alcuni giornali inglesi che testimoniano come il Regno Unito giocò una sua partita, diversa da quella americana, nella vicenda. Basti ricordare che, nei giorni precedenti alla strage, sia The Guardian che The Observer erano usciti con documenti che facevano riferimento a un progetto di Colpo di Stato in Italia orchestrato da fascisti e uomini degli apparati. Merito di questo capitolo del libro è quello di ricordare il ruolo fondamentale della controinformazione che, seppur in modo artigianale e con scarsi mezzi, riuscì sin da subito a intaccare la narrazione dominante che considerava responsabili gli anarchici.
Segue poi un capitolo, scritto da Elia Rosati, che analizza come alcuni dei protagonisti della strage, ovvero i fascisti, hanno costruito la loro narrazione delle vicende. La due strutture, con relativi personaggi di riferimento che emergono, sono Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo. La prima rappresentata dal recentemente scomparso Stefano Delle Chiaie e la seconda che vede come protagonisti principali Pino Rauti e Franco Freda. Delle Chiaie, negli anni, è stato capace di costruire la figura di personaggio “da media” con la sua abilità di rimestare nel torbido fatta di mezze frasi e mezzi riferimenti. Pino Rauti è uno dei massimi esponenti del neofascismo italiano della Prima Repubblica, abile in mille equilibrismi in quella zona grigia esistente tra IL partito – ovvero il Movimento Sociale Italiano – e I movimenti alla sua destra. C’è poi Franco Freda, figura indubbiamente affascinante per il suo contegno “aristocratico”, per il suo mestiere di editore e per il suo dichiararsi, da sempre, apertamente nazista. Il primo elemento che emerge con grande chiarezza è che nel mondo della destra estrema mai nessuno ha ammesso in modo chiaro ed esplicito il ruolo di primo piano giocato dai fascisti nella Strategia della Tensione. Ci sono sempre e solo state mezze ammissioni oppure un continuo alludere senza effettiva chiarezza. Risulta poi un secondo e forse più importante elemento – in cui gioca un ruolo determinante la figura di Giorgio Almirante – è che a destra, nonostante tutto, non si molla mai nessuno e, in un modo o nell’altro, si difendono tutti (nonostante faide feroci e sanguinose). Non esistono insomma camerati che sbagliano, per usare una fraseologia da anni Settanta. Questo è senza dubbio un elemento di forza che ha permesso, negli ultimi decenni, alla narrazione di destra di diventare narrazione quasi mainstream: i poveri fascisti vittime e perseguitati degli anni Settanta. Quando basta guardare le statistiche degli episodi di violenza politica dal 1968 al 1974 per rendersi conto del contrario.
Nel successivo capitolo, opera di Elio Catania, viene ricercata l’origine di quelle che sono le “narrazioni tossiche” diventate senso comune della Strategia della Tensione in Italia. Si parte da un assunto non attaccabile: gli anni del terrorismo vengono generalmente ricordati dall’opinione pubblica per il colore rosso. Del resto, sono gli stessi rapporti dei prefetti delle varie città (vedi il famigerato “Rapporto Mazza”) a puntare il dito contro l’estrema-sinistra, mentre i pericoli di destra vengono costantemente sottovalutati e sminuiti. Questo non deve stupire. Siamo o no la culla del fascismo? È o non è l’anticomunismo uno dei tratti distintivi e unificanti di una fetta consistente della società italiana? Gli stessi dati sulla violenza politica raccontano una netta predominanza di violenze ascrivibili alla destra dal 1968 sino a metà degli anni Settanta, ma tutto ciò viene costantemente omesso nelle narrazioni ufficiali. Del resto gli stessi, lunghissimi, procedimenti giudiziari che hanno seguito le varie stragi che hanno insanguinato l’Italia hanno avuto esiti che definire convincenti è riduttivo… Segue una dettagliata analisi delle pellicole cinematografiche italiane che hanno trattato il tema del terrorismo dal ’69 in poi. A parte film molto ispirati come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” del duo Petri-Volontà e “Sbatti il mostro in prima pagina” di Bellocchio-Volontè il cinema italiano ha fatto molta fatica a trattare la strategia stragista e i suoi obiettivi, se non banalizzandola in una pellicola come “Vogliamo i colonnelli” di Monicelli che però, a nostro parere, nel finale trova la giusta ispirazione, ovvero quella di svelare la strategia del “destabilizzare per stabilizzare” servendosi di personaggi anche grotteschi o improbabili, oppure facendola diventare una “piccola storia” da detective di alcuni seppur pregevoli poliziotteschi. Dalla metà degli anni Settanta, la cinematografia italiana si concentra sul terrorismo rosso. Dei giorni nostri ricordiamo il “Romanzo di una strage” di Giordana, sul cui giudizio negativo siamo d’accordo con l’autore del capitolo.
Segue poi una sezione di dettagliata analisi a opera di Erica Picco e Sara Troglio su come viene raccontata la strage di Piazza Fontana e tutto quel che ne è seguito nei manuali scolastici. Ne emerge che, se la vicenda della bomba viene raccontata con sufficiente chiarezza, spesso e volentieri il racconto della falsa pista anarchica viene fatto in modo vago e quella delle responsabilità fasciste in modo ancora più difficoltoso anche come conseguenza della verità giudiziaria zoppicante. A questo va aggiunto il problema relativo all’aggiornamento e alla formazione del corpo docenti. C’è poi un ostacolo pratico all’insegnamento della Strategia della Tensione alle scuole superiori. Dal momento che il secondo dopoguerra si studia in quinta superiore e spesso alle vicende degli anni Settanta si arriva di corsa o non si arriva proprio, questo rende ancora più difficile creare una solida cultura storica tra gli studenti più giovani. Questo viene confermato anche da alcuni disastrosi sondaggi secondo i quali una netta maggioranza degli intervistati addosserebbe la colpa di piazza Fontana alle Brigate Rosse.
Avviandosi alla conclusione, c’è un dettagliato capitolo di Fabio Vercilli sui personaggi e le organizzazioni coinvolti con la strategia stragista e una ricca cronologia dal 1960 al 1975.
La postfazione che chiude il libro, a opera di Mirco Dondi, analizza cosa scrisse il Corriere della Sera dal 13 dicembre 1969 all’anno successivo. Noi ci teniamo a ricordare il ruolo pessimo che ebbe una buona parte della stampa italiana riprendendo un filmato d’epoca in cui un già ai tempi discutibile – per non dire di peggio – Bruno Vespa annuncia all’Italia che: “Pietro Valpreda è un colpevole”.
Per chiudere ribadiamo l’importanza di questo libro in una fase difficile come quella che stiamo vivendo e in un Paese senza memoria come il nostro.
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