Oltre piazza Fontana, una storia
Come ormai sarà chiaro ai nostri lettori, la redazione di Milano in Movimento ha deciso di dedicare una mini-rubrica alle migliori pubblicazioni apparse in occasione del cinquantenario della strage di piazza Fontana. Alcuni di questi, “Prima di piazza Fontana – La prova generale” di Paolo Morando (Laterza) o “Dopo le bombe” a firma di un gruppo di giovani storici e ricercatori (Mimesis) li abbiamo già segnalati.
Oggi però, dedichiamo spazio a un libro che, seppur inserendosi in questo filone di commemorazione di un evento storico che ha segnato la nostra città e l’Italia tutta, si discosta in maniera piuttosto netta dalle altre narrazioni.
E questo non solo perché – a differenza dei due testi sopra citati – piuttosto che concentrarsi sulla strage, i suoi prodromi e le sue conseguenze, punta i riflettori su un altro caso tristemente impresso nella memoria di molti, vale a dire l’assassinio di Giuseppe Pinelli. Fin qui, infatti, non ci sarebbe nulla di strano, essendo “Pinelli. Una storia” pubblicato dalla casa editrice anarchica elèuthera, che oltretutto condivide la propria sede milanese con l’Archivio Giuseppe Pinelli.
Paolo Pasi, l’autore, sceglie di aprire il suo libro ricordando un altro anniversario – se vogliamo ancora più epocale – risalente all’estate di quello stesso 1969. L’approdo dell’Apollo 11 sulla Luna la notte del 20 luglio.
La “storia” che Pasi ci racconta inizia proprio “la notte della Luna”, con l’immagine di un Giuseppe Pinelli quarantenne di fronte allo schermo del suo televisore, come tanti altri uomini e donne in quegli stessi, precisi minuti. Conscio dell’irripetibilità di quel momento storico, Pino chiama le sue due figlie, Silvia e Claudia, perché rimanga impresso anche nella loro memoria di bambine.
Si apre così la ricostruzione dei mesi che separano quel 20 luglio dagli eventi del 12 dicembre. Nel corso dei numerosi e brevi capitoli – com’è tipico dello stile di Pasi – ricchi di dettagli ma mai prolissi, al lettore si racconta la vita di un uomo che, dopotutto e senza offenderlo, potremmo definire ordinario.
Impiegato alle ferrovie, residente in un piccolo appartamento nel quartiere San Siro, in via Preneste, dove vive con la moglie Licia e le due figlie. Una vita come quella di tanti, che a Milano sopravvivono sbarcando il lunario e lavorando sodo, senza potersi mai concedere troppo, ma senza che manchi nulla di fondamentale, una casa con un divano per ospitare amici e compagni bisognosi di un appoggio, un pasto caldo da dividere con chi è di passaggio.
Giuseppe Pinelli, nato nel 1928 nel vivace quartiere popolare di porta Ticinese, è figlio di Alfredo Pinelli, ex-ferroviere invalido di guerra (nonostante dal fronte fosse inizialmente scappato, fu catturato e rispedito nuovamente in trincea) e di simpatie socialiste e della sua quinta compagna, Rosa Malacarne. Durante la guerra la famiglia Pinelli, sfollata, deve rifugiarsi in un piccolo comune a sud di Milano. Ma Pino, che si era già avvicinato al pensiero anarchico di Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Gori grazie a un fruttivendolo anarchico al cui negozio ha lavorato per un po’, scappa, torna in città e si unisce a una brigata anarchica diventando staffetta partigiana. Pasi ce lo mostra nel 1945 in una foto di gruppo: 89mo Garibaldi. Alpi Grigne.
Una vita come tante, dicevamo, perché tanti furono i fautori della resistenza a Milano e in tutta Italia. Continuiamo a ripercorrere la storia personale di Pinelli, dalla gioventù fatta di lavoro e libri (letti soprattutto per colmare la lacuna di un’istruzione interrottasi in quinta elementare e per crescente interesse socio-politico), all’incontro con la sua futura compagna di vita, Licia Rognini, durante una lezione di esperanto. Il matrimonio – in chiesa, per farle un regalo – la nascita delle figlie, le estati passate con la famiglia a Senigallia, dove in un piccolo circolo anarchico Pino incontra per la prima volta Enrico Moroni, e a Marina di Carrara, dove conoscerà invece Alfonso Failla, con il quale instaurerà un rapporto molto stretto. Quello stesso Alfonso Failla del cui confino sull’isola di Ventotene e della successiva reclusione, dopo la caduta del Fascismo, al campo di concentramento di Renicci d’Anghiari Pasi ci ha già raccontato nel suo “Antifascisti senza patria”, sempre edito da elèuthera.
Accanto alle vicende famigliari, ai pensieri rivolti alle spiagge che invadono la mente del ferroviere anarchico al lavoro nei giorni e nelle notti d’estate mentre moglie e figlie sono in vacanza, incontriamo anche la militanza al Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa. Ancora prima, al Sacco e Vanzetti, dove Pino entra in contatto con il mondo beat milanese e con il movimento dei provos, anche grazie all’amico e compagno Amedeo Bertolo, che era il punto di contatto con gli esponenti del movimento nato in Olanda e il cui simbolo performativo erano le biciclette bianche.
E così, Pasi coglie l’occasione per inserire nella narrazione qualche chicca della storia antagonista milanese, come l’affitto da parte dei redattori della rivista “Mondo Beat” di un terreno in fondo a via Ripamonti per organizzare un campeggio internazionale per far incontrare i beat di tutta Europa. Un tentativo che incontra l’ovvia opposizione dell’area più puritana della stampa, la maggioranza, che inizia una campagna diffamatoria che porterà allo sgombero del campeggio a circa un mese dalla sua apertura. Oppure, la storia relativamente poco conosciuta dell’occupazione dell’ex-hotel Commercio, proprio in piazza Fontana, sgomberato quattro mesi prima dell’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Insomma, Pasi mescola con equilibrio vicende di vita personale e quotidiana con l’impegno e la militanza anarchica di Pino Pinelli, per tracciarne un ritratto il più possibile sfaccettato e a tutto tondo. Vi sveliamo allora un dettaglio inedito: questo ritratto dipinto con maestria dall’autore è frutto di un’operazione di ricomposizione di un puzzle fatto di interviste e ricordi di persone – dalla moglie e le figlie, passando dai compagni di una vita, fino a persone che lo hanno semplicemente incontrato in specifiche occasioni – in parte raccolte da Pasi stesso, in parte dall’Archivio Giuseppe Pinelli, che detiene un fondo appositamente creato per ricostruire un ricordo di Pino al di là di quel terribile 15 dicembre.
E alla storia di Pinelli, dicevamo, si intreccia quella di Milano e dell’Italia intera, con un ovvio focus sul 1969. Gli ordigni esplosi sui treni nella notte tra l’8 e il 9 agosto a Mira, Chiari, Orvieto, Caserta, Pescara e altre località. Le due bombe inesplose alle stazioni di Milano e Venezia. La crisi di governo e il rinnovato Mariano Rumor alla guida dei democristiani, con il tacito appoggio dei socialisti. La campagna anti-anarchica e l’insabbiamento della tesi sulla responsabilità neofascista per gli attentati, con il Ponte della Ghisolfa che, con un duro comunicato, rigetta tutte le accuse puntando il dito, appunto, sull’estrema-destra.
Ancora, Pasi accenna all’ossessione della stampa per la figura di Giangiacomo Feltrinelli, motivata tra l’altro con la sua vicinanza a Eliane Vincileone, ritenuta colpevole per l’attentato del 25 aprile dello stesso anno. Ugualmente, l’autore accenna al “rapporto forzato” tra Pinelli e Calabresi, senza però entrare eccessivamente nel merito di una storia su cui già tanto – forse troppo – è stato detto e fatto.
Il racconto arriva poi a quel 12 dicembre, quando Pino, reduce dal turno di notte in ferrovia, è svegliato dal campanello di casa. Alla porta, Antonio Sottosanti, detto “Nino il fascista” per i suoi trascorsi da camerata. Ora, si dice votato alla causa anarchica. A Licia non è mai piaciuto, mentre Pino ritiene si sia dimostrato degno di fiducia. Si fermano per pranzo, poi scendono al bar sotto casa per un caffè. Qui, si salutano e Pino si ferma a giocare a carte con altri avventori del locale, un’abitudine di cui non riesce a disfarsi, una sorta di premio dopo i turni di notte. Una versione su cui diversi testimoni concordano, compreso uno dei suoi compagni di gioco.
Segue la cronaca fino allo scoppio della bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, alle 16.37. Da lì in poi, una storia che conosciamo.
Come dicevamo in apertura, questo libro esce volutamente dal coro. Non perché non sia fondamentale ricordare ciò che è avvenuto tra il 12 e il 16 dicembre 1969, che Giuseppe Pinelli è entrato vivo ed è uscito morto dalla Questura di via Fatebenefratelli 11. Che Pietro Valpreda è stato accusato ingiustamente di un attentato opera dei fascisti veneti. Ma perché spesso, quando accadono vicende tragiche come quelle di cui ricordiamo quest’anno il cinquantesimo anniversario, si tende a spersonalizzare gli uomini e le donne che ne sono diventati involontariamente il simbolo. Quello di Paolo Pasi, allora, è un tributo all’uomo che fu Giuseppe Pinelli.
S_M
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