Altro che «essenziali»: in 12 milioni al lavoro. I sindacati: sciopero

Sotto il pressing di Confindustria il governo lascia aperti 80 settori. Oggi nuovo incontro governo-Cgil, Cisl, Uil. Che chiedono di ridurli. I metalmeccanici di Lombardia e Lazio si fermano domani. Proteste già in molte fabbriche già ieri.

Doveva chiudere tutte le «attività non indispensabili». Ha chiuso ben poco, anche sotto le pressioni continue e non nascoste da parte di Confindustria.
Il decreto del presidente del consiglio (Dpcm) illustrato da Giuseppe Conte sabato sera e firmato domenica contiene un allegato con 80 categorie produttive, ognuna definita dal codice Ateco (attività economiche), classificate dall’Istat. Ci sono settori assolutamente non «essenziali» come i call center: domenica a Roma è morto un ragazzo di 34 anni. Oppure quelli di consulenza finanziaria e assicurative.

Per tutte queste ragioni i sindacati hanno già annunciato sciopero. A Usb, Si Cobas e Adl Cobas che stanno coprendo i loro lavoratori da giorni, ieri sono arrivati gli annunci dei metalmeccanici. Mercoledì sciopero generale dei metalmeccanici della Lombardia. È per lo stesso giorno i sindacati preannunciano uno stop delle fabbriche anche nel Lazio. Fiom, Fim e Uilm in una nota unitaria serale ribadiscono la richiesta di «limitarsi senza eccezione alcuna, alle sole attività essenziali per ridurre la mobilità dei lavoratori» chiedendo di «attuare tutte le modifiche necessarie: il 29 Marzo verificheremo come proseguire la nostra iniziativa», concludono i segretari generali Francesca Re David, Marco Bentivogli e Rocco Palombella. Anche i sindacati bancari Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin preparano la mobilitazione, minacciando sciopero.

Per non parlare del famigerato comma d: «Restano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1 (…) previa comunicazione al Prefetto della provincia». In pratica ogni azienda può rimanere aperta.

Il segretario della Cgil Maurizio Landini riassume la situazione: «Sabato avevamo trovato un accordo con il governo. Poi domenica, mentre aspettavamo che uscisse il decreto, sono cominciate a circolare voci sull’allargamento della lista. Non si può fare la letterina sottobanco per dire di tenere aperte le attività, anche per rispetto dei lavoratori. Non è stato un aggiustamento, è stato uno stravolgimento». Il pressing dei sindacati è sul governo: chiedono un incontro immediato, avvertono che intanto – come dice Landini, «in quelle imprese, Amazon come altre, che non applicano in queste ore le tutele e la sicurezza, tutte le categorie che proclamano sciopero chiedendo di applicare sicurezza avranno l’appoggio» dei sindacati confederali.

Mentre il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia avverte: è un decreto che «dall’emergenza economica ci fa entrare nell’economia di guerra», «se il Pil è di 1.800 miliardi all’anno vuol dire che produciamo 150 miliardi al mese, se chiudiamo il 70% delle attività vuol dire che perdiamo 100 miliardi ogni 30 giorni».

Il confronto ci sarà oggi: i ministri dello Sviluppo economico e dell’Economia, Stefano Patuanelli e Roberto Gualtieri, hanno convocato Cgil, Cisl e Uil per una videoconferenza. Il governo sarà in grado di promettere cambiamenti su un elenco che è già pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in quanto Dpcm non deve essere convertito dal parlamento? Servirà un nuovo provvedimento.

Intanto si registrano le prime proteste e i primi scioperi a macchia di leopardo in diversi stabilimenti industriali – Leonardo, Safilo, Vitrociset – e di diverse regioni. Un’assemblea all’ex Ilva ferma gli impianti dell’Acciaieria 1.

«Sciopero? Onestamente non riesco a capire su cosa», commenta invece Boccia.

Secondo una stima preliminare della fondazione Di Vittorio sono ben 12 milioni i lavoratori dipendenti considerati «essenziali» nel decreto governativo. Tenendo conto di quelli in cassa integrazione, si raggiunge il 66% del totale di tutti i dipendenti: 17 milioni 956 mila. «In questi numeri – evidenzia la Fondazione della Cgil – sono ricompresi tutte le lavoratrici e i lavoratori che, pur appartenenti al perimetro delle attività essenziali, svolgono la loro prestazione presso aziende che sono già o sono in fase di richiesta di ammortizzatori sociali. Inoltre una quota imprecisata, ma molto minoritaria, di questi lavoratori può svolgere la propria attività in smart working e quindi non deve recarsi presso il luogo di lavoro».

Un’altra stima diell’Ires – il centro studi Cgil – dell’Emilia Romagna sostiene che sono oltre 800 mila le imprese rimaste aperte, ovvero il 39,9% sul totale delle imprese monitorate a livello nazionale. «La mappa dell’Italia mostra come la quota di imprese aperte sul totale vari dal 25,7% al 50% con percentuali più alte nelle regioni del Sud Italia, riflettendo differenti strutture del sistema produttivo», illustra il ricercatore Davide Dazi.

di Massimo Franchi

da il Manifesto del 24 marzo 2020

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