La start up del bocconiano che sfruttava i braccianti: 4 euro l’ora

Era la start up perfetta. Nome accattivante con gioco di parole – Straberry – strategia di marketing innovativo – frutta a chilometri zero venduta su apecar nelle piazze di Milano – e un fondatore giovane e rampante – Guglielmo Stagno d’Alcontres, discendente di una famiglia nobile siciliana che durante gli studi alla Bocconi aveva deciso di riattivare i terreni di famiglia nella zona di Cassina de’ Pecchi, periferia nordest. Le cose vanno bene e la start up si allarga: gelati, frullati, succhi oltre che alla fragola anche di mirtilli, lamponi e more. Insomma, un successo. Certificato dai riconoscimenti di Coldiretti e altri premi per il modello di business innovativo.
E invece il tutto nascondeva qualcosa di molto più antico e mai passato di moda: lo sfruttamento dei lavoratori, specie su i braccianti migranti.

La Guardia di Finanza ha sequestrato tutti i beni di Straberry, sette fra amministratori e dipendenti sono indagati per sfruttamento del lavoro e intermediazione illecita nei confronti di un centinaio di braccianti, in maggioranza africani subsahariani.
Le condizioni di lavoro erano durissime, così come le minacce in caso di proteste.

«Avevamo avuto diversi contatti con i lavoratori di quell’azienda, che lamentavano anomalie nella gestione degli orari di lavoro, scarsa trasparenza nelle buste paga e soprattutto atteggiamenti vessatori da parte dei loro referenti in azienda», spiega Giorgia Sanguinetti, segretaria della Flai Cgil di Milano.
«Nei campi di Cassina de’ Pecchi, infatti, moltissimi dei braccianti venivano presi per un periodo di prova di due giorni: se non riuscivano a raccogliere almeno quattro o cinque cassette di fragole all’ora, in una giornata di lavoro massacrante di nove ore, non venivano confermati e cacciati».

Anche i dipendenti che lavoravano stabilmente per Straberry, secondo la Procura di Milano, erano trattati in maniera irregolare. Venivano pagati 4,5 euro all’ora – nonostante il contratto nazionale ne preveda almeno 6,71 – e costretti a giornate lavorative superiori alle dieci ore, senza spogliatoi né docce e dovendo condividere in centinaia un solo bagno. «Purtroppo ci aspettavamo che una situazione del genere potesse deflagrare da un momento all’altro – continua Giorgia Sanguinetti –  Noi avevamo dei contatti coi lavoratori che ci avevano chiesto aiuto, in particolare con chi era dedicato alla vendita diretta dei prodotti sugli Apecar. Anche a loro veniva applicato il contratto agricolo. Avevamo registrato forzature sull’orario di lavoro e pressioni piuttosto pesanti, poi, come spesso avviene in queste situazioni, l’azienda è riuscita a soffocare ogni protesta». Ma il problema più grave è emerso tra i lavoratori dei campi, dove il quadro era davvero drammatico, sia per le condizioni sanitarie che per gli aspetti contrattuali. Il sequestro dell’azienda da parte della Guardia di Finanza dimostra che la situazione era insostenibile. Ora noi stiamo tutelando i lavoratori, anche nel sostegno al reddito, proprio in questa fase di passaggio».

di Nina Valoti

da il Manifesto del 26 agosto 2020

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