Oltre l’emergenza: la necessità di un reddito di base

Nasce il programma Quaderni Metropolitani, una serie di video-interviste prodotte da LUMe, vi proponiamo il primo episodio “Oltre l’emergenza: la necessità di un reddito di base”: un intervista ad Andrea Fumagalli, docente di economia e membro della redazione di effimera.

Cosa sono i quaderni metropolitani? La necessità di rompere il silenzio che ci circonda ci ha spinto così ad agire, nelle modalità in cui ci è possibile farlo: molt* di noi prendono già parte alle brigate di solidarietà di AiutArci a Milano e seguono le istanze de* lavoratori/trici in difficoltà con la Cdnl – Camera del Non lavoro.

Abbiamo pensato, inoltre, di sfruttare questo momento per riflettere su ciò che ci sta accadendo, su ciò che accadendo dentro e fuori dalle nostre case. Prende così vita il progetto Quaderni metropolitani, un tentativo digitale e nuovo di ripercorrere, a modo nostro, le orme di chi, tempo fa, pensò che rileggere Marx e dare attenzione alle condizioni di vita di lavoratrici e lavoratori, fosse un buon modo per leggere il proprio tempo e di rivelare la brutalità dell’ideologia capitalista. Nell’impossibilità di confrontarci con quelle produzioni, frutto dell’incontro tra universitar* e lavoratori/trici, abbiamo deciso di inviare molte domande che in questi giorni ci siamo fatti, a persone, amici/che, professori/resse, professionist*, compagn*, nella speranza di poter far luce sulle ombre che, giorno dopo giorno, continuano ad allungarsi.

Ecco, ora, l’intervista ad Andrea Fumagalli, partendo dalle seguenti domande: “A partire dalla misura di workfare reddito di cittadinanza e ancora di più con la crisi sanitaria in Italia (e non solo) il tema di un reddito come misura essenziale sta diventando centrale nel dibattito politico; perché è importante che non ci si limiti ad una misura emergenziale ma diventi una forma di welfare (Commonfare) organico? Perché deve essere universale e non legato alla soglia di povertà o alla ricerca di un lavoro?”. Qua il video su Youtube o Facebook.

L’epidemia di covid-19 ha scoperchiato una serie di nodi che fino ad oggi rimasti sotto il tappeto, ha messo a messo a nudo due aspetti fondamentali e tra loro sinergici e interdipendenti: la necessità di un welfare di natura pubblica per servizi essenziali quali la sanità e l’istruzione. Nelle regioni più colpite dalla pandemia il processo di privatizzazione della sanità pubblica ha portato ad una riduzione degli investimenti nella sanità pubblica e la riduzione dei posti letto nelle strutture ospedaliere, soprattutto in terapia intensiva che costituiscono i maggiori costi fissi e meno “profittevoli” per la sanità privata. La Lombardia è la regione italiana che maggiormente si è mossa lungo questa strada di privatizzazione della sanità ed è quella che ad oggi ne soffre maggiormente le conseguenze per la situazione mai note di carenze ospedaliere. Questo è un primo punto interessante, c’è una rivincita del welfare: finalmente questo può far capire come sia importante il ruolo del pubblico e delle forme di auto-organizzazione collettiva che devono essere messe in condizione di operare perché se si lascia tutto ciò alle dinamiche di mercato gli esiti sono abbastanza disastrosi.

La seconda questione, strettamente legata alla tematica del welfare, è il tema del reddito e le misure di sostegno diretto al reddito. Da questo punto di vista, la sanità è una misura di sostegno indiretto al reddito come l’istruzione e la mobilità e tutti i servizi di pubblica utilità. Questa situazione di immobilità ha obbligato ad un intervento diretto in sostegno al reddito, dopo tanti tentennamenti, anche i partiti conservatori, populisti e di estrema destra hanno rilasciato dichiarazioni in tal senso. Ovviamente, bisogna distinguere cosa si intende: da un lato la maggioranza dei partiti (di maggioranza e d’opposizione) premono per un intervento emergenziale, un “reddito di quarantena o di emergenza”. Quando parlo di reddito di quarantena non faccio riferimento alle istanze portate avanti dai movimenti sociali ma di un intervento, proposto dai M5S, una-tantum, eccezionale per poi tornare alla normalità. Se interpretiamo il reddito secondo questa logica siamo su un piano inefficiente e perdente, credo che il discorso debba essere rovesciato completamente. Bisogna cogliere questa opportunità, nella tragedia, per iniziare a fare un discorso su sperimentazioni sui sistemi di welfare, partendo da quello che c’è già: in Italia la legge sul reddito di cittadinanza, proposta dal M5S ed in vigore dal primo gennaio 2019. Essendo in vigore da più di un anno siamo in grado di valutare i risultati ottenuti: sono circa 2 milioni e 600 mila le persone che possono usufruire del reddito di cittadinanza, un numero sicuramente limitato perché i poveri assoluti secondo i dati ISTAT sono circa 10 milioni in Italia mentre i poveri relativi arrivano circa a 13 milioni. Quindi questa misura non va a coprire la platea di persone che ne avrebbero diritto, senza contare le persone a rischio povertà, in totale quindi abbiamo una platea che è circa il 30% della popolazione italiana, non stiamo parlando di numeri ristretti. Il costo che era stato preventivato (circa 3 miliardi) a consuntivo si è rilevato inferiore (2,5 miliardi circa), perché questo? Perché questa misura prevede due vincoli che ne condiziona il godimento: il primo è la condizione di accessibilità che sono molto stringenti e sono molto restrittive rispetto alle condizioni di povertà e precarietà di reddito; la seconda è la condizionalità al lavoro che obbliga le persone o a fare un certo numero di ore di servizi socialmente utili oppure a firmare dei patti contrattuali d’inserimento al lavoro tramite l’adozione di politiche attive del lavoro, oltre a ciò c’è una natura comportamentale rispetto alla natura dei beni che posso essere acquistati con il reddito di cittadinanza: pare che comprare una buona bottiglia di vino rosso non sia contemplato perché se no la figura del povero non viene rispettato, il povero deve essere disperato on può permettersi di bere una bottiglia di buon vino. Se partiamo da queste condizioni attuali è evidente come questa misura in una situazione di emergenza è sicuramente insufficiente. Da qui la piattaforma Basic Income Network ha fatto una proposta insieme ad alcune associazione, i movimenti sociali ed esponenti del mondo della cultura e della ricerca per chiedere l’estensione del reddito di cittadinanza. Molto banalmente si tratta di togliere (o ridurre) i limiti di accesso ed eliminare condizionalità in modo tale che si vada verso un reddito universale. Ovviamente questa misura ha bisogno di un forte intervento di carattere finanziario, perché dovrebbe arrivare ad una platea di 7(8 milioni di persone come minimo (3 volte quella attuale) che poi dovrebbero aggiungersi tutte quelle persone che possono usufruire a sistemi di welfare differenti (ad esempio la Cassa integrazione). La cifra dovrebbe 750 euro perché questa è la cifra media fissata dall’ISTAT per la sopravvivenza mensile in Italia, contando i lavoratori in cassa integrazione che secondo le stime sono circa 5 milioni, aggiunte alle 7/8 milioni di persone, si dovrebbe arrivare a garantire un reddito a circa 13/14 milioni di persone cifra non ancora sufficiente ma già un primo passo. L’intervento del governo ad oggi si basa sulle tipologie contrattuali, quindi, per le p. Ive e lavoratori autonomi di un certo tipo, come abbiamo visto tutti c’è stato un caos all’INPS dovuto al notevole numero di richieste per il c.d. BONUS 600 euro, che al momento attuale pare essere quasi 4 milioni di domande, ciò ci da un’idea della sete di reddito e della situazione emergenziale in cui verte il nostro paese. A questa misura si aggiungono le altre misure di copertura di altre forme di lavoratori autonomi come i commercianti o gli artigiani, sempre seguendo la logica che prima si individua la categoria poi si fa la misura di sostegno. Questa è una logica assolutamente inefficiente ed è la stessa che è stata seguita per gli ammortizzatori sociali in Italia: si parte dalla figura del lavoratore subordinato a tempo indeterminato e quando si creano nuove forme di contrattualizzazione viene messa una “toppa”, così al sistema del sussidio di disoccupazione viene aggiunto il DISCO, poi viene introdotta prima l’ASPI poi NASPI, così creando un sistema assolutamente distopico, farraginoso, burocratico ed inefficiente. La nostra proposta è una duplice forma di sostegno: la cassa integrazione per chi gode di condizioni di lavoro stabile ed una forma di reddito incondizionato per tutte le altre categorie contrattuali partendo dalle situazioni di maggior necessità ed ampliando di grado in grado questi interventi in modo sempre più universale. A queste misure deve seguire una legge che introduca un tetto di salario minimo per evitare effetti di dumping tra le misure del reddito e i salari, è molto importante che il reddito erogato sia sopra una certa cifra così da disincentivare il lavoro nero che altrimenti sarebbero favorite da una forma di reddito troppo basso.

Oggi abbiamo questa opportunità, davanti a questa tragedia, per fare delle scelte coraggiose che guardino al futuro.

L.U.Me Laboratorio Universitario Metropolitano

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