Poste Italiane, un pezzo alla volta (storie di ordinarie privatizzazioni)
Nel 2015, il Ministero dell’Economia deteneva circa il 60% del capitale sociale di Poste Italiane e dava il fischio di partenza per la quotazione in borsa. La giustificazione era di abbassare il debito pubblico italiano. Il Tesoro aveva messo sul mercato il 34,7% delle poste per un ricavato di 3 miliardi. Francesco Caio, amministratore delegato di Poste, dichiarava che ‘il prezzo lo avrebbe fatto il mercato e che il mercato aveva sempre ragione’.
Questa operazione faceva parte di una strategia più ampia del Governo italiano: privatizzare il patrimonio pubblico (anche Enav e Ferrovie dello Stato) in linea con le direttive provenienti dall’Unione Europea. Fra i grandi acquirenti delle azioni di Poste abbiamo scoperto anche il fondo sovrano del Kuwait, alcuni fondi pensione, la banca centrale della Norvegia e il miliardario George Soros. Si alienava un bene pubblico, si intascava poco per favorire i mercati e l’UE.
Nel 2016, il Ministero dell’Economia aveva manifestato l’intenzione di collocare sul mercato un altro 30% del capitale di Poste Italiane contando di intascare 2,6 miliardi. Pier Carlo Padoan, il Ministro dell’Economia, affermava che ‘la privatizzazione aveva aumentato l’efficienza e la capacità di trovare risorse per gli investimenti’.
Questa impostazione veniva criticata dai sindacati e da alcuni partiti dell’opposizione. Facevano rilevare che le cessione delle azioni avrebbe comportato una perdita di molti milioni per le casse dello Stato. Inoltre, c’era il rischio per la tenuta dei 14.000 uffici postali dislocati sul territorio italiano, si temevano licenziamenti e un peggioramento del servizio reso ai cittadini.
Nel 2017, dopo uno stallo dell’operazione, il governo Gentiloni ha ripreso il tema delle privatizzazioni. Si ritorna a parlare della seconda tranche di Poste Italiane, si pensa di effettuare la vendita tra Giugno e Luglio. Mercati permettendo.
Si può notare in tutta questa faccenda l’assenza di informazioni e di un esauriente dibattito pubblico. L’attenzione dei giornalisti e dei politici è come sempre rivolta altrove. Nella successione di notizie riconosciamo il solito mantra che dobbiamo cercare la salvezza nei mercati, che dobbiamo riporre le nostre speranze di futuro nella completa privatizzazione delle risorse pubbliche. Ma chi ci crede? Un pensiero onesto è invece quello contrario; ‘libero mercato’ significa ‘commercio predatorio’ perché si muove sul principio di ‘guadagnare il massimo pagando il minimo’.
Quando si tratta di fare propaganda ormai quasi nessuno ha il coraggio di sostenere pubblicamente la validità delle politiche d’austerità e dei dogmi neo-liberisti che ci hanno condotto al disastro degli ultimi 10 anni. E’ tutto un fiorire di dichiarazioni contro l’Europa a trazione tedesca e amenità del genere. Poi, quando alle chiacchiere si devono sostituire i fatti, se si riesce a penetrare la cortina fumogena della disinformazione, si vede che le politiche e le scelte strategiche rimangono quelle degli ultimi 30 anni. Immutabili e inattaccabili. Come a dire… Oltre il danno la beffa!
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