Voucher, nuova frontiera della precarietà
Sono un “privilegiato”, lo ammetto.
Lavoro in una grande azienda discretamente sindacalizzata e sono assunto a tempo indeterminato. Parlo del vero contratto a tempo indeterminato…quello che c’era prima della grandissima presa per il culo renziana chiamata “contratto a tutele crescenti” che di tutele non ne vede manco mezza, ma di libertà di licenziare tantissima! Quando vedo i Francesi e il delirio che sono capaci di fare in piazza bloccando un paese intero per lottare contro la Loi Travail penso all’Italia, a quanto è stato scialbo il nostro sciopero contro il Jobs Act e mi viene il magone… Poi penso ai ragazzi che, di fianco a me, lavorano “a voucher” e…altro che magone, mi sale l’incazzatura!
Apriamo questo articolo citando per intero la frase di un lavoratore “garantito” e la sua drastica opinione sui voucher.
Voucher, o meglio ticket o buono lavoro…
Questa sembra essere diventata la nuova frontiera della precarietà.
I voucher sono inizialmente stati pensati per far emergere il lavoro irregolare, ma sono difficilmente tracciabili e questo, di fatto, favorisce il lavoro nero.
Un esempio? Spesso capita che qualche ora venga pagata a voucher e qualche ora venga pagata in nero.
Certo, all’apparenza sono meglio dei famigerati co.co.pro., quantomeno consentono il pagamento di contributi di una qualche consistenza anche se poi arriva il Presidente dell’Inps Boeri a dirci che i trentenni dovranno lavorare per altre decine di anni per vedere pensioni da fame…e i ventenni…beh…meglio non parlarne neanche!
Tra la fine degli anni ‘90 e i primi 2000 ci hanno ripetuto fino alla nausea quanto fosse bella la precarietà…ehm…all’epoca la chiamavano flessibilità. Quante occasioni ci offrisse e che vita dinamica ci attendeva. Peccato che il sistema previdenziale sia rimasto indietro di 30 anni, legato all’idea del posto fisso. Stesso lavoro, per 35 anni, senza soluzione di continuità. Peccato che quasi nessuno lavori più così da anni… E quindi. Ciao, ciao pensione!
Ma torniamo ai buoni lavoro.
I voucher, acquistabili per via telematica o in tabaccheria valgono ognuno 10 euro lordi di cui il 75% va al lavoratore garantendo la copertura verso INPS e INAIL (per gli infortuni) e hanno subito un vero e proprio boom negli ultimi 2 anni. Sono dilagati in modo abnorme come mezzo di pagamento non solo nel settore della “cura alla persona” tipo badante o baby sitter, ma anche in settori che poco c’entrerebbero con prestazioni lavorative di tipo occasionale come ad esempio servizi di ristorazione di grandi catene dove il rapporto lavorativo può durare molto tempo.
Uno dei pochi limiti è che il voucher può essere utilizzato come forma di pagamento se il lavoratore, nel corso dell’anno, non abbia raggiunto un compenso massimo di 7.000 euro (2.000 per ogni singolo committente).
Difficile capire come il datore di lavoro possa verificare con attendibilità se il lavoratore abbia superato o meno la soglia annua.
Altra grave lacuna è la mancanza assoluta di qualsiasi forma di sanzione per chi abbia violato le regole.
Nonostante la retorica renziana sui nuovi posti di lavoro stabili negli ultimi mesi (l’inizio del 2016 quindi) i rapporti precari sono aumentati del 22% mentre i voucher sono esplosi con un aumento vicino al 50%.
Il governo ha annunciato (per ora solo a parole) un’iniziativa per rendere tracciabili i voucher, ma questa sembra essere il tipico sforzo che vorrebbe svuotare il mare con un cucchiaino.
Un mare, quello della precarietà, sempre più vasto e profondo.
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