Contributo sulla situazione in Siria di Luisi Caria
I conflitti fra le potenze imperialiste per la spartizione del mondo, delle risorse e dei mercati generano spesso dei vuoti di potere; e le rivoluzioni moderne hanno quasi sempre cercato di approfittarne, non escludendo persino forme di collaborazione strumentale con alcune potenze imperialiste.
Tutto ciò è assolutamente in linea con la teoria e la pratica rivoluzionaria e con le teorie leniniste sull’imperialismo. Ciò che non è per nulla leninista è invece l’ idea che esista un imperialismo troppo forte e aggressivo, che deve essere sconfitto appoggiando le potenze imperialiste più deboli, da esso aggredite.
Ciclicamente nel movimento socialcomunista internazionale sono venute a galla baggianate che vagheggiano la nascita di un “superimperialismo” o di un unico “impero” che imporrà il suo dominio sui popoli e sui lavoratori.
Questo fatto invece è semplicemente impossibile, per via dello sviluppo economico diseguale che continuerà a generare guerre e conflitti e non permetterà l’esistenza stabile di un unico centro imperialista egemone. Quindi i popoli e i lavoratori non devono parteggiare per nessuna potenza imperialista, ma solo per i popoli che resistono e per i movimenti rivoluzionari.
La rivoluzione del Rojava, basata sulla trasformazione democratica, femminista, confederale e cooperativistica della società mediorientale, è da diversi anni bersaglio di attacchi feroci da parte di alcuni sedicenti marxisti-leninisti che non gli perdonano di essersi avvalsi della copertura aerea statunitense nella guerra contro lo Stato Islamico, facendo stabilire diverse basi aeree in Siria.
Ad essi si aggiungono tutti coloro che per anni sono stati zitti o ambigui sulla rivoluzione curdo-siriana e che come sciacalli vengono fuori solo ora, presagendo odore di cadavere.
I curdi ricevettero l’aiuto americano quando si trovarono a dover difendere da soli la popolazione del Rojava dalle milizie dello Stato Islamico, in una situazione che li vide vincere dopo la resistenza disperata di Kobane. Da allora i curdi hanno continuato a combattere contro gli islamisti sempre più a sud, a est del fiume Eufrate, e probabilmente sarebbe stata da parte loro una scelta più lungimirante quella di lasciare che le milizie pro-Assad occupassero la zona di Deir Ez Zor, privilegiando il ristabilimento di buone relazioni con Damasco anche a costo di peggiorare quelle con gli americani. Questo esito era auspicabile fin dal principio, perché la Federazione Democratica della Siria del Nord ha sempre riconosciuto l’integrità territoriale della Siria, pur non accettando il dominio dispotico di Assad sul territorio del Rojava.
Da parte loro, gli Stati Uniti hanno proseguito fino ad oggi la collaborazione con i curdi per distruggere lo Stato Islamico, che avevano contribuito a creare armando tutte le diverse fazioni islamiste nella prima fase della guerra civile. A causa di ciò hanno visto una crisi senza precedenti dei loro rapporti con la Turchia e si sono trovati nella scomoda posizione di sostenere militarmente una realtà rivoluzionaria fortemente anticapitalista.
In compenso hanno avuto modo di sperimentare su larga scala la potenza di fuoco della propria aeronautica simultaneamente all’avanzata delle truppe di terra, per un lungo periodo e in contesti diversi, cittadini e rurali.
A differenza dei bombardamenti indiscriminati delle guerre imperialiste di dieci o venti anni fa, gli aerei americani hanno dimostrato una grande precisione, andando a colpire con sicurezza obbiettivi anche a distanze piuttosto ravvicinate dalle truppe a terra: questa esperienza rappresenta un forte vantaggio per l’imperialismo americano, che potrà usarla nelle sue future guerre imperialiste.
Oggi comunque questa collaborazione è finita e non ha molta importanza stabilire ora se questa fine sia arrivata troppo presto o troppo tardi: sono tutte valutazioni e critiche che si potranno fare meglio in futuro.
Ora quello che importa è assicurare l’incolumità della popolazione del Rojava e la prosecuzione della rivoluzione in un contesto di maggiore stabilità.
A mio parere un’accordo con il governo di Damasco è assolutamente nescessario non solo per scongiurare l’invasione della Turchia, ma per rendere possibile una qualsiasi prospettiva di riappacificazione nazionale che porti la fine della guerra civile in Siria.
La Federazione Democratica da anni tollera la presenza di truppe lealiste pro-Assad nei territori da essa controllati e, come ha già mostrato ad Afrin, può accettare l’ingresso nei suoi territori dell’esercito arabo siriano e di milizie ad esso collegate.
L’occupazione turca e la conseguente pulizia etnica nel cantone di Afrin sono avvenute perchè i curdi e Assad non hanno trovato un accordo. I curdi erano disponibili a riconoscere fattivamente la sovranità siriana, condividendo con Damasco la difesa militare in un territorio dotato di poteri di autogoverno. La richiesta di Assad ai curdi è stata in sostanza quella di ritirare completamente le proprie truppe di autodifesa, lasciando l’amministrazione civile e militare completamente nelle mani del governo di Damasco. Non si sarebbe trattato di un accordo ma di una resa incondizionata ed era assolutamente impossibile per la Federazione Democratica accettarla, così come non credo che potranno mai accetterla neanche in futuro.
Assad, se avesse voluto farlo, avrebbe potuto arrivare ad un accordo con i curdi già un anno fa, formulando una proposta accettabile (magari che prevedesse tempi certi sul ritiro americano). Invece credo che Assad abbia deliberatamente scelto di lasciare che la Turchia conquistasse Afrin, pur di arrivare ad un forte indebolimento delle forze curde, necessario perchè lui possa restare al potere in futuro.
Durante l’invasione ad Afrin quasi a nessuno conveniva che si arrivasse ad un accordo: Assad era ed è perfettamente cosciente che, in una Siria federale con una forte autonomia del Nord, lui non riuscirebbe a conservare il potere; la Russia era ed è interessata unicamente a tenere in piedi il governo di Damasco e non gradirebbe di certo un punto ulteriore di conflitto con la Turchia; gli americani non gradivano di certo una collaborazione più forte fra i curdi e il loro principale nemico in medioriente.
Solo i curdi volevano un accordo e probabilente questo non sarebbe dispiaciuto nemmeno all’Iran (cosa che spiegherebbe l’ingresso ad Afrin delle milizie sciite filo-iraniane) in funzione anti-turca e anti-americana.
Oggi la situazione è molto diversa perché un’invasione turca del Rojava potrebbe non fermarsi ad una fascia di terra vicino al confine, ma potrebbero arrivare fino alle zone ancora controllate dallo Stato Islamico come lascerebbero intendere le dichiarazioni americane, comportando l’occupazione di circa un terzo del territorio siriano da parte della Turchia.
In questo contesto sia Damasco che la Russia possono essere favorevoli ad un accordo.
Oggi nei pressi di Manbij una base militare vicino al confine turco è stata ceduta dai curdi alle forze lealiste dell’esercito arabo siriano, e dovrebbe funzionare da deterrente contro l’invasione minacciata dalla Turchia negli scorsi giorni.
Come un anno fa quando le YPG resistevano ad Afrin, spero ancora fortemente in un accordo complessivo con il governo di Damasco, pur non facendomi nessuna illusione in merito al doppiogiochismo di Assad e agli scrupoli morali della Russia e di ogni altra potenza imperialista.
Ma più di tutto confido nel grande cuore del popolo curdo e nella determinazione di tanti compagni che non abbandoneranno al loro destino il popolo del nord della Siria.
Luisi Caria
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