Rivolte negli States – Una rassegna stampa
La raccolta di alcuni testi interessanti su come si è evoluta la situazione negli Stati Uniti negli ultimi tre giorni dopo l’ennesimo episodio (di una lunghissima e ininterrotta lista) di ferocia poliziesca ai danni di un afroamericano. Dopo mesi di rivolta la Polizia americana si sente ancora legittimata a praticare il tiro a segno nelle strade abbastanza sicura della propria impunità.
Kenosha e i verbi per difendere il cacciatore e non la preda.
Se tre mesi di proteste prevalentemente pacifiche non sono bastate a insegnare alla Polizia a non ammazzare senza ragione, non resta che alzare il livello dello scontro e prendersela con i luoghi e le cose che materialmente incarnano il dominio.
Kyle Rittenhouse, un 17 enne dell’Illinois, è stato arrestato per aver sparato uccidendo due persone e ferendone una, durante un’altra caotica notte di manifestazioni a Kenosha, Wisconsin, dove non c’è pace dopo il tentato omicidio di Jacob Blake da parte della Polizia.
Rittenhouse è stato arrestato a Antiochia, Illinois, mercoledì mattina dopo essere stato accusato di omicidio intenzionale di primo grado per la sparatoria avvenuta solo poche ore prima. Antiochia è a circa 30 minuti a sud-ovest di Kenosha, appena oltre la linea di confine dell’Illinois, da lì, come da altre zone limitrofe sono arrivati civili armati appartenenti alle sedicenti milizie di difesa del territorio.
La sparatoria è avvenuta durante la terza notte di proteste e dopo che i manifestanti si erano scontrati con le Forze dell’Ordine vicino al tribunale della contea, luogo iconico di questa rivolta in quanto i poliziotti che hanno sparato a Blake non sono ancora stati incriminati.
La serata di martedì era stata una replica delle due precedenti con un alto livello di tensione tra Polizia e manifestanti riuniti davanti alla barriera di metallo appena eretta a protezione del tribunale. C’erano stati lanci di bottiglie, pietre e fumogeni verso la Polizia che aveva risposto con gas lacrimogeni e proiettili di gomma, avvertendo ripetutamente la folla che la manifestazione a quel punto rappresentava una violazione del coprifuoco stabilito per le 20, e che tutti i presenti stavano rischiando l’arresto.
La folla alla fine era stata costretta a lasciare il parco, respinta per le strade della città dai gas lacrimogeni.
A quel punto la maggior parte dei manifestanti aveva lasciato l’area e un piccolo gruppo si era diretto verso una stazione di servizio a diversi isolati di distanza,dove aveva trovato un gruppo di uomini armati accorsi per «proteggere la proprietà».
Con il passare delle ore, la stazione di servizio era diventata il vero luogo di tensione, con spettatori che guardavano dalle macchine parcheggiate e persone che si aggiravano per la strada, litigando e spingendosi a vicenda. La Polizia, a bordo di blindati, si era avvicinata intimando alla folla di disperdersi, ma verso mezzanotte si sono sentiti gli spari.
Una delle vittime è stata colpita alla testa e l’altra al petto, ha detto lo sceriffo David Beth al Milwaukee Journal Sentinel. Una terza persona ha subito ferite da arma da fuoco gravi ma ritenute non mortali.
«Stavamo tutti scandendo “Black Lives Matter” – ha detto alla Associated Press un manifestante che era sul luogo, Devin Scott, 29 anni – e poi abbiamo sentito, boom, boom, e ho detto al mio amico, “Questi non sono fuochi d’artificio”. Ho visto questo tizio correre verso di noi con in mano una pistola enorme mentre tutto intorno la gente urlava e lo inseguiva, e lui ha ricominciato a sparare».
Il Governatore democratico del Wisconsin Tony Evers ha autorizzato 500 membri della Guardia Nazionale ad intervenire in appoggio alle forze dell’ordine locali di Kenosha, raddoppiando così il numero di truppe inviate, mentre l’ufficio del Governatore ha dichiarato di star lavorando con altri Stati per portare rinforzi, e di aver anticipato l’orario del coprifuoco alle 19 .
Il duplice omicidio è avvenuto il giorno dopo la presenza alla convention repubblicana dei coniugi McCloskey, finiti sotto inchiesta per aver puntato un fucile AR-14 e una pistola contro i manifestanti pacifici di Black Lives Matter che passavano davanti alla loro casa, a St Louis, Missouri.
«Se ti difendi e cerchi di difendere i valori in cui credi, quelli fondanti di questo Paese, la mafia democratica alleata coi media cercherà di distruggerti. Come è successo a noi – hanno detto alla convention -.La nostra proprietà privata era minacciata da marxisti liberal che marciavano urlando: “Non ci potete fermare”. Siamo usciti armi in pugno per difenderci. È un nostro sacrosanto diritto civile».
Informato degli eventi Trump ha subito scritto su Twitter : «NON sosterremo saccheggi, incendi dolosi, violenza e illegalità nelle strade americane».
di Marina Catucci
da il Manifesto del 27 agosto 2020
Kenosha e i verbi per difendere il cacciatore e non la preda.
Se tre mesi di proteste prevalentemente pacifiche non sono bastate a insegnare alla Polizia a non ammazzare senza ragione, non resta che alzare il livello dello scontro e prendersela con i luoghi e le cose che materialmente incarnano il dominio.
Secondo il comunicato della Polizia di Kenosha, Jacob Blake (ancora in pericolo di vita in ospedale, e destinato a restare paralizzato) è una delle persone «coinvolte in una sparatoria in cui sono coinvolti agenti di Polizia» («involved in an officer involved shooting»).
Secondo il sito del Corriere della Sera, durante le proteste seguite all’episodio, «è scoppiata una sparatoria fra civili».
Come in tutte le guerre, il linguaggio è una delle prime vittime: eufemismo, manipolazione, tutti i sotterfugi possibili per non chiamare le cose col loro nome e non nominare i colpevoli. In entrambi questi esempi, un atto di violenza unilaterale di cui sono vittime degli afroamericani viene fatto passare come un conflitto reciproco: come se Blake fosse stato «coinvolto» nell’episodio allo stesso titolo dell’agente che gli ha sparato sette volte alla schiena senza motivo. E come se a Kenosha i «civili» si fossero sparati fra loro, e non fosse stato (come peraltro conferma il giornale) «un giovane bianco» a «brandire un lungo fucile semiautomatico e sparare sui manifestanti» – ammazzando altri due afroamericani e ferendone gravemente un terzo.
I verbi sono al passivo, i soggetti impersonali («afroamericano ucciso», non «poliziotto uccide»). La Polizia e i vigilanti razzisti bianchi ammazzano (è successo a Detroit cinque giorni dopo l’assassinio di George Floyd; era successo a Charlottesville nel 2017), ma la parola «violenza» appare solo in riferimento alle proteste.
Questa modalità è insita nel cuore stesso della nostra cultura.
In Moby Dick, per esempio, la creatura demoniaca non è Ahab che dà la caccia alla balena per ucciderla ma la balena che si è difesa e gli ha strappato un gamba.
La violenza non è quella del cacciatore, ma della preda che si difende (e in tutti i western che abbiamo amato i violenti non sono i «pionieri» bianchi e le loro armate a cavallo che depredano e uccidono gli indiani, ma gli indiani che si difendono e cercano di impedirglielo).
Forse allora la violenza poliziesca e razzista sui neri è talmente ordinaria e normale («come un pulviscolo nell’aria», dice il campione di basket Kareem Abdul-Jabbar) che non ce ne accorgiamo nemmeno, per cui la rivolta del ghetto è percepita come il classico uomo che morde il cane. Forse la lezione di non violenza che gli afroamericani hanno insegnato al mondo da Martin Luther King in poi ci induce a credere che la loro pazienza e sopportazione siano infinite. O forse siamo talmente abituati a comandare che anche quando Polizia e razzisti esagerano un po’ pensiamo di avere comunque noi il diritto di dettare i modi giusti ed educati con cui gli oppressi possono esprimere il loro malessere senza «degenerare» e «passare dalla parte del torto» (già immagino i commentatori liberal che affilano le penne per spiegarci, in caso di malaugurata ma non impossibile vittoria di Trump in novembre, che la colpa ce l’ha la «violenza» delle proteste).
E invece no. Quando Malcolm X diceva «con ogni mezzo necessario» non invocava necessariamente la violenza (non ha mai sparato un colpo in vita sua, e le Pantere Nere, con tutta la loro retorica sulle armi, sono state sistematicamente sterminate dall’Fbi), ma rivendicava agli oppressi il diritto di scegliere loro i modi e le forme della loro lotta. In un libro provocatoriamente intitolato In Defense of Looting – «in difesa dei saccheggi» – Vicki Osterveil sostiene che i saccheggi (o, se vogliamo, le riappropriazioni proletarie di massa) non sono una «degenerazione» o una contaminazione della protesta ma la sua espressione organica più alta: in una società basata sulla proprietà privata e le merci, e in cui la proprietà si è storicamente costituita sull’espropriazione, la schiavitù e la segregazione degli afroamericani, il saccheggio rimette in discussione il valore sacrosanto della proprietà, riporta le cose dal valore di scambio al valore d’uso come in una forma di redistribuzione, simile ai potlacht tradizionali indiani (o a certe questue rituali delle società contadine di cu parlava Alfonso Di Nola).
È possibile che Osterveil esageri – nelle rivolte urbana c’è di tutto, non è detto che in tutti i casi sia presente una intenzione cosciente di questo tipo; riprendersi le merci è anche un modo per riconoscerne il valore; e non è detto che anche in questo modo di ottenga qualcosa – ma non me la sento di darle tutti i torti. Posso anche non essere d’accordo, ma non sta più a quelli come me dirimere il giusto e lo sbagliato. Diceva lo stesso Martin Luther King: «i riots sono la voce degli inascoltati». Scrive Osterveil: «se i manifestanti di Ferguson non avessero dato fuoco a un paio di negozi, la loro protesta non avrebbe attratto l’attenzione del mondo più delle centinaia di proteste non violente di cui nessuno ha dato notizia».
Se tre mesi di proteste prevalentemente pacifiche non sono bastate a insegnare alla Polizia a non ammazzare senza ragione, non resta che alzare il livello dello scontro e prendersela con i luoghi e le cose che materialmente incarnano il dominio. Penso alla frase che in Uomo Invisibile (1952) lo scrittore afroamericano Ralph Ellison mette in bocca a un uomo che nella rivolta del ghetto dà fuoco all’edificio in cui lui stesso abita: «Mio figlio è morto di tubercolosi in quella trappola per topi, ma da ora non poi non ci dovrà nascere più nessuno». Così sia.
di Alessandro Portelli
da il Manifesto del 27 agosto 2020
Il campo è vuoto.
E non solo per l’assenza di pubblico.
Il campo è vuoto perché i giocatori hanno preso un’importante decisione. Anzi, una decisione enorme. Hanno deciso di innalzare il livello della protesta facendo ciò che è più in antitesi con lo sport: rifiutarsi di giocare.
Un fatto unico e storico che arriva da una delle leghe professionistiche sportive più importanti al mondo. Da uno dei palcoscenici più seguiti.
I Milwaukee Bucks hanno dato il via. L’appoggio delle altre squadre è stato un effetto domino.
Un gesto così forte non se lo aspettava nessuno. Neanche i vertici della NBA o i proprietari dei team, che però non hanno ostacolato la presa di posizione. Il grosso della protesta è partito dopo i fatti riguardanti George Floyd, il clou lo si è raggiunto questa sera, dopo la recente vicenda di Jacob Blake.
Che succederà ora? Nessuno lo può sapere. Il boicottaggio delle partite potrebbe proseguire. La stagione potrebbe non finire. Intanto anche in MLB, il campionato di baseball americano, alcune squadre hanno deciso di fare lo stesso: non giocare.
Il messaggio è stato poderoso.
E arriva da una delle leghe dove i giocatori sono i più attivi in fatto di tematiche sociali. Perché il razzismo è una piaga che negli USA ha sempre avuto tonalità molto più cupe rispetto ad altri paesi, e i giocatori vogliono mandare un messaggio sempre più forte e chiaro.
Noi, da questa parte dell’oceano, possiamo appoggiare e rilanciare, oppure criticare.
Oppure informarci.
La cosa più importante, però, è quella di non ridurre il tutto a “Fuori la politica dallo sport!!”.
Perché il razzismo non lo si può ridurre solo ad un fatto politico.
Il razzismo è il peggiore cancro sociale del mondo, che dovrebbe riguardare ognuno di noi: bianco, nero, giallo, viola o blu, ricco o con le pezze al culo.
Assodato questo, ognuno è libero esprimere la propria opinione.
Intanto, mercoledì 26 agosto 2020, è già diventata una data storica.
La Giornata Tipo, 26 agosto 2020
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