Turchia – Colpo di Stato “fiduciario”

kurdistanCome era immaginabile, la stretta repressiva seguita al fallito colpo di stato del 15 Luglio non si limita a colpire gli appartenenti o presunti tali al movimento di Fetullah Gülen, il religioso e magnate ritenuto l’organizzatore dell’attacco golpista.

In meno di un mese e mezzo abbiamo assistito a un ondata di arresti ed epurazioni che ha portato in carcere 30 mila persone, mentre almeno 80 mila sono state rimosse dal loro incarico: militari ma anche diplomatici, accademici, insegnanti, sindacalisti, giornalisti, uomini di legge, tutti accusati di fare parte della rete nemica dello stato.

Ma una settimana fa ad essere rimossi dal loro incarico sono stati 11.285 insegnanti accusati di avere legami non con FETO, ma con un altro nemico dello stato, il PKK. Le centinaia di persone che a Diyarbakir protestavano per la decisione, sono state aggredite con lacrimogeni e idranti, 40 insegnanti sono stati arrestati e le telecamere di giornalisti presenti distrutte.

Ieri un altro provvedimento sconvolgente: il Ministero degli Interni turco ha deciso di rimuovere 28 sindaci dal loro incarico: primi cittadini regolarmente eletti sono stati sostituiti da dei “fiduciari” del Governo; ciò è avvenuto sulla base di un decreto legge approvato nell’ambito dello stato di emergenza che vige in Turchia dopo il fallito golpe del 15 Luglio. Ma dei 28 amministratori rimossi, solo 4 lo sono con l’accusa di essere in relazione con i golpisti; i restanti 24 sono tutti sindaci eletti in comuni e province del Sud-Est del paese, zone dove ad amministrare non c’è l’AKP, il partito di governo del Presidente Erdogan, ma principalmente partiti curdi e filo curdi.
Per loro la consueta accusa di sostegno ad un’organizzazione terroristica quale il PKK è considerato dal Governo turco alla stregua di Isis.

In particolare ad essere colpito è l’HDP, il partito democratico dei popoli, la terza forza politica del paese ed attualmente definibile come la principale opposizione a Erdogan. Il partito che nelle elezioni del Giugno 2015 è riuscito ad entrare per la prima volta in Parlamento ed a togliere a quello del Presidente Erdogan la maggioranza assoluta. Due record che sia l’HDP stesso, che la popolazione curda, hanno pagato caro: subito dopo quelle elezioni il governo turco ha unilateralmente interrotto i negoziati di pace con il PKK, attaccando le sue postazioni militari in Iraq. È dal quel momento, quindi ormai da più di una anno, che la popolazione curda del Sud e dell’Est è sotto assedio: bombardamenti e coprifuoco hanno distrutto intere città e perpetuato massacri che hanno provocato più di mille vittime fra i civili.

L’attacco ora non è solo militare: torna nel mirino anche la società civile, la politica, il lavoro; del resto Ankara lo aveva annunciato: strumento chiave della lotta al PKK è l’attacco ai lavoratori pubblici e alle amministrazioni HDP. Oltre che alla sua classe politica intera. Mentre venivano picchiati gli insegnanti, il vice-segretario dell’HDP, Alp Altinors, veniva arrestato nella sua casa ad Ankara per aver partecipato ai funerali del membra dell’HDP morto nell’attentato dell’Isis che ad Ankara l’Ottobre scorso ha provocato 103 morti. Già precedentemente, in seguito alla rimozione dell’immunità parlamentare, diversi esponenti del partito, fra cui anche i loro leader principali come Selattin Demirtaş e Figen Hüksekda, hanno ricevuto mandati di comparizione e richieste di pene fino a 15 anni per supporto morale al terrorismo.

Rispetto a questo ulteriore e grave provvedimento, in un comunicato stampa l’HDP ha parlato di decisione inaccettabile, affermando che non sussiste differenza alcuna fra chi bombarda il parlamento e chi cancella la volontà popolare usurpando i municipi con un provvedimento illegittimo che non rispetta ne le regole costituzionali ne gli accordi internazionali sottoscritti dalla Turchia.

I sindaci rimossi erano stati eletti con percentuali di voto che andavano dal 65 al 95%. “Obbiettivo del governo” continua nel suo comunicato l’HDP, “è quello di liberarsi di amministrazioni scomode; si tratta di un comportamento pericoloso oltre che illegale: questo non farà che aumentare l’esasperazione della popolazione che si vede sottrarre i rappresentanti che ha scelto, e intensificherà il conflitto nelle aree curde”.
La riprova di quanto queste preoccupazioni siano fondate si è avuta immediatamente: il giorno stesso un attentato a Van rivendicato dal PKK ha provocato 60 feriti.

Come ha detto il leader del PKK Abdullah Ocalan, che proprio ieri dopo più di un anno ha potuto finalmente far arrivare le sue parole per voce del fratello che ha potuto andarlo a trovare nel carcere dove vige in regime di isolamento da 20 anni, la questione curda, se solo il Governo turco volesse, si potrebbe risolvere in 6 mesi. Dopo aver dato inizio a dei negoziati nel 2013, Erdogan ha riacceso un conflitto la cui risoluzione è evidentemente non più considerata un vantaggio, bensì un’ostacolo alla sua corsa frenetica verso il potere assoluto.

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