Ultima udienza per gli ex combattenti italiani Ypg: «Siamo dalla parte giusta»
Lunedì le arringhe finali della procura e della difesa. Eddi, Jacopo e Paolo rischiano la sorveglianza speciale, una pesantissima limitazione della libertà personale in assenza di reato.
«In assenza di reato, la limitazione della libertà prevista dalla sorveglianza speciale è molto pesante: l’obbligo di lasciare Torino e di restare nel nostro domicilio nelle ore notturne, divieto a partecipare a eventi e iniziative pubbliche e a incontrarci con più di due persone, ritiro di passaporto e patente e l’obbligo a portare sempre con noi un libretto rosso dove la polizia annoterà i nostri comportamenti. Per due anni, rinnovabili».
È questo che rischiano Paolo Andolina, Jacopo Bindi e Maria Edgarda Marcucci, tre italiani che negli anni passati hanno partecipato alla lotta all’Isis nel nord est della Siria, al fianco della resistenza del Rojava. Due di loro, Paolo ed Eddi, nelle fila delle unità di difesa curde Ypg e Ypg, Jacopo lavorando sul fronte civile dell’informazione.
È Jacopo a farci l’elenco degli obblighi che i potrebbero subire se dovesse passare la teoria della procura di Torino: pericolosità sociale in Italia per aver imparato l’uso delle armi in Siria. Una teoria già parzialmente caduta mesi fa quando altri tre ex combattenti, Davide Grasso, Fabrizio Maniero e Pierluigi Caria, sono stati esclusi dalla procedura perché i giudici di Torino e Cagliari non hanno ravvisato legami tra l’adesione alle Ypg e la pericolosità sociale in territorio italiano.
Lunedì alle 9 all’aula 3 maxi del Tribunale di Torino si terrà l’ultima udienza per Eddi, Jacopo e Paolo, con le arringhe conclusive della pm Pedrotta e dell’avvocato della difesa Novaro: «Da quel momento, entro 90 giorni il tribunale dovrà decidere se porci o meno in sorveglianza speciale – continua Jacopo – Non si tratta di un processo, per cui la decisione non è pubblica, ma di una procedura in cui vengono prese in considerazione tutte le segnalazioni della polizia e le denunce anche se non hanno portato all’apertura di un processo, tutte le sentenze definitive e non definitive, anche le assoluzioni».
Dei testimoni chiamati dalla difesa, però, ne sono stati sentiti appena il 20%: «Abbiamo chiesto di sentire le persone presenti durante i fatti, i presidi, le iniziative, che la procura usa per dimostrare la pericolosità sociale (una festa musicale a Capodanno 2018 di fronte al carcere torinese Le Vallette e un presidio fuori da un locale nel quartiere Vanchiglia per chiedere al proprietario di pagare lo stipendio al cuoco dopo quattro mesi senza salario, ndr). Ma il collegio giudicante ne ha ascoltati pochissimi. La stessa pm ha detto che non serve, che bastano le dichiarazioni della polizia. È l’opposto di un equo processo. Infatti si tratta di una procedura fascista».
La sorveglianza speciale è un procedimento preventivo introdotto con il Codice Rocco, nel 1931, e solo parzialmente modificato con la Repubblica. Si limita la libertà di una persona in assenza di un reato. Nel caso degli ex combattenti italiani delle Ypg/Ypj, a muovere la procura sembra più il loro attivismo politico in Italia, nel movimento No Tav, in quello per il diritto alla casa e allo studio, che la loro lotta all’Isis.
La Siria, aggiunge Jacopo, è pian piano scomparsa dal dibattito. E il rischio è enorme: «Sotto attacco sono le nostre idee e il nostro attivismo politico. Ci accusano per presidi di protesta, manifestazioni. Se questa teoria dovesse passare, sono in pericolo tutti quelli che in Italia fanno lo stesso. Noi godiamo di simpatia tra l’opinione pubblica, ma gli altri?».
Un sostegno che hanno trovato nei tanti incontri pubblici fatti in questi anni, poi trasferitosi sui social. L’ultima iniziativa è la pagina Facebook “Io sto con chi combatte l’Isis”: in centinaia hanno pubblicato la loro foto con un cartello in solidarietà con gli ex combattenti. Un presidio fuori dal Tribunale si terrà durante l’udienza.
L’attenzione mediatica, ripetono, è fondamentale, le ultime udienze sono state fatte in fretta per evitare altre “sorprese”: la morte di Lorenzo Orsetti prima e l’offensiva turca contro il Rojava poi avevano messo in difficoltà la procura di fronte a un paese solidale con chi ha combattuto lo Stato islamico. In ogni caso, conclude Jacopo, «qualunque sia la decisione, siamo sicuri di essere dalla parte giusta».
di Chiara Cruciati
da il Manifesto del 15 dicembre 2019
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