Dalla rete, una lettera a Caselli…

(Non conosciamo Marco Di stefano, l’autore di questo testo che abbiamo casualmente trovato in rete. Le sue premesse, le considerazioni e i riferimenti politici e culturali che ne emergono sono profondamente diversi da quelli che animano la redazione di Milano in Movimento, ma proprio per questo la lettera che segue e la testimonianza che in essa è riportata ci sembrano assolutamente interessanti)
Al Procuratore della Repubblica di Torino Giancarlo Caselli

Per conoscenza:
Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti.

Gentile Procuratore della Repubblica di Torino, Dottor Giancarlo Caselli:

Mi chiamo Marco Di Stefano. Sono nato a Milano, ho 30 anni. Di lavoro faccio il regista e l’autore teatrale. Ci siamo conosciuti l’anno scorso – ma lei sicuramente non si ricorderà, almeno credo – durante uno spettacolo al quale lei ha collaborato come co-autore, realizzando anche un breve intervento filmato. In quell’occasione io lavoravo come assistente alla regia.

Lo scrivo non per velleità personale, ma per assicurarle che tutto ciò che troverà scritto nella seguente lettera non è dettato da un pregiudizio nei suoi confronti, ma, al contrario, da una profonda delusione. Io ho sempre avuto molto rispetto del suo lavoro. Per la magistratura in generale, certo, ma in particolare per tutti quei rappresentanti della legge che hanno impegnato la propria vita per la difesa della legalità e, di conseguenza, per la difesa della parte più svantaggiata della popolazione, la gente povera e onesta che tutti i giorni deve fronteggiare lo squallido teatrino della politica, del malaffare, della mafia. Quella mafia (e quella politica) che lei spesso ha contribuito ad arginare. Avrei voluto scrivere “sconfiggere” invece di arginare, Dottor Caselli. Invece ho scritto “arginare”. Perché in questo paese la mafia e la politica non si sconfiggono. E lei, come me, lo sa bene. Però è bello pensare di poter fare qualcosa, ogni tanto.

Grazie a lei mafiosi come Bagarella, Spatuzza e Brusca sono nel posto che si meritano, grazie a lei il poco onorevole Giulio Andreotti, il Divo, è stato riconosciuto colpevole per associazione a delinquere fino alla primavera del 1980. Reato caduto in prescrizione. Perché in questo paese si può essere mafiosi. Basta non farsi prendere per un po’.
Però lei ci ha provato, a mandare in galera Andreotti. E su quella sentenza nessuno nulla può dire. Ancora una volta, per questo, grazie.

Lei è un uomo intelligente, Dottor Caselli. Intelligente e onesto (se per onesto si intende il seguire pedissequamente un codice, morale o legislativo che sia) . Lei è un difensore dello Stato. E questo non ha mai smesso di dimostrarlo. Ma io oggi vorrei chiederle: “Cos’è per lei lo stato?”.

Procuratore Caselli, in Val di Susa, da 20 anni si sta combattendo una battaglia importantissima per il più elementare dei diritti: la Vita. E la Val di Susa, procuratore Caselli, fa parte dello Stato, lo Stato che lei protegge.
Lei fa arrestare dei manifestanti accusati di essere stati coinvolti negli scontri in Valle del 3 luglio 2011. Guardi, io sono sicuro che tutti quelli arrestati siano coinvolti negli scontri del 3 luglio. Io non c’ero, il 3 luglio, ma ne sono sicuro perché è impossibile non essere coinvolti quando la polizia decide di caricare. Io non c’ero, il 3 luglio, ma ne sono sicuro perché il 25 febbraio, sabato scorso, sono stato coinvolto negli scontri nella stazione di Porta Nuova. Controlli nei video della Rai o della Polizia (quei video che iniziano sempre, guarda un po’, a scontri iniziati. Quando, guarda un po’, se qualcuno tira un sasso lo fa per difendersi come può. Quando, se lei fosse lì, presente, con un bambino di 5 anni in braccio, anche lei lo tirerebbe il sasso, di fronte alle insensate cariche della polizia).
Scusi la digressione. Le dicevo: io c’ero il 25 febbraio in stazione, controlli nei video, magari mi trova: sono il tipo cicciottello, simpatico, con la barba e lo zaino Invicta Blu sulle spalle. Quasi di sicuro, nelle immagini che vedrà, se mi hanno ripreso, sto cercando di registrare gli scontri con un Iphone. Ecco. Io sono quello cicciottello, simpatico, con lo zaino blu, la barba e il cellulare in mano.

Ci arresti tutti, dottor Caselli, la prego. Perché se lei e la procura non indagate veramente su quello che succede durante gli scontri con la Polizia, allora è suo dovere arrestarci tutti. Tutti siamo coinvolti. Dottor Caselli, ma lei, lei che arresta i manifestanti, un fascicolo sulle forze dell’ordine ce l’ha nel cassetto, vero?
Signor Caselli, il 3 luglio, in valle, come sempre, c’erano donne, anziani e bambini. Dottor Caselli, esistono video dove la polizia tira alla cieca sassi ai manifestanti. Dove si sparano lacrimogeni ad altezza uomo. Dove i manifestanti vengono picchiati a freddo.

Dottor Caselli, lei arresta i manifestanti. Ma come può tollerare che un agente delle “Forze dell’Ordine” si comporti in questo modo? E soprattutto, come può delegare tutta la responsabilità degli scontri a un gruppo di manifestanti? Può forse sostenere che queste persone, in un unico gruppo, abbiano contemporaneamente attaccato la Polizia? Faccio fatica a immaginarmeli tutti insieme in una task force anti Forze dell’Ordine, una specie di A-Team nostrana. Dottor Caselli, dubito fortemente che sia andata così. Dottor Caselli, se la Polizia mi attacca, io come posso difendermi? Chi chiamo, i Carabinieri? E se ci sono anche i carabinieri chi mi resta? La Guardia di Finanza?
Dottor Caselli, sono passati più di dieci anni da Genova. Facciamo in modo che non accada ancora. Ci lasci il diritto, anzi, il dovere di manifestare. Faccia un favore a tutti, a Lei, a noi, allo Stato: lavori per liberare tutti. O, almeno, verifichi le responsabilità della Polizia. E quando le avrà accertate, capirà di aver commesso un errore. E allora non liberare tutti sarebbe davvero peccare di malafede.

Dottor Caselli, lei dice che il provvedimento verso i manifestanti “non è contro il movimento, non è contro alcuna forma di dissenso”. Dottor Caselli, non pecchi di ingenuità. Lo sa anche lei che gli interessi riguardo alla TAV ci sono eccome, e che questi arresti, qualsiasi cosa lei dica, saranno usati contro il movimento e contro il principio stesso del dissenso.

Dottor Caselli, lei paragona chi la contesta ai camorristi. È vero, ridurre il proprio dissenso alla scritta “Caselli Infame” o “Caselli Mafioso”, non è certo prova di intelligenza o di finezza dialettica. Ammetterà, però, che anche scomodare la camorra non è segno di particolare brillantezza di pensiero.

Dottor Caselli, il 25 febbraio la Polizia ci ha aspettato nella stazione di Porta Nuova a Torino in tenuta antisommossa. A manifestazione finita, lontani quasi 70 chilometri da Susa, dove il corteo era finito.
Dottor Caselli, eravamo più di 70mila persone pacifiche quel giorno in Valle. I bambini sfilavano in maschera, le famiglie si godevano il sole, i cattolici e gli anarchici sorridevano gli uni di fianco agli altri. Il clima ci ha graziato, regalandoci un calore inaspettato, mitigato solo da un vento discontinuo. Sembrava di essere in un Harmony politicizzato. Secondo me qualcuno si è anche innamorato, in Val Susa, il 25 febbraio 2012. Si distribuivano panini, frittelle e tè (anche qualche bicchiere di rosso, lo ammetto. Ma era una festa, dottor Caselli, mi creda. E alle feste il vino rosso non può mancare).

Eravamo stanchi, ma felici. Nessuno si aspettava tanta gioia nella protesta. Nonostante i compagni in carcere (non li conosco personalmente, ma li reputo tali. Almeno per la questione TAV), nonostante gli occhi aperti per timore della Polizia (sì, dottor Caselli, abbiamo timore della Polizia), nonostante la fatica di 8 chilometri di marcia. Eravamo felici.
Alle 18.09 molti noi hanno preso il treno Susa – Torino. Siamo partiti con molto ritardo, perché le porte non si chiudevano. Eravamo troppi. Eravamo stanchi, pigiati come sardine, eppure ridevamo, facevamo battute – facilmente intuibili, gliele risparmio – sull’essere ammassati l’uno addosso all’altro. Tra Susa e Bussoleno una signora è stata male. Subito le si è fatto spazio per permetterle di respirare un po’. Per fortuna si è subito ripresa. A Bussoleno è scesa come la maggior parte delle persone.
Le faccio notare, dottor Caselli, che nessuno di noi ha protestato per il risicato numero di vagoni del treno. Un treno che quel giorno partiva da una città dove c’erano migliaia di manifestanti.
Arriviamo a Torino alle 19.39, sul binario 19. (il ripetersi del numero 9 è una casualità, non si preoccupi, nessuno tirerà fuori teorie del complotto relative al numero 9)
Sul binario 20 è fermo il regionale per Milano. È importante, se lo segni. Il Binario 20 non ha altri binari da ambo i lati. Sul lato destro è chiuso dal muro che delimita la stazione.
Premetto che il giorno seguente ho preso il regionale Torino – Milano dal binario 18, per cui non è stato scelto il binario 20 “come sempre”. È stato scelto perché è un binario “cieco”.
All’inizio del binario 20 troviamo la polizia in tenuta antisommossa.
Capirà che tutti, anche chi a Milano non doveva andare, si sono fermati a controllare cosa stesse succedendo.

Guardi, Dottor Caselli, a questo punto lei può credermi o meno, faccia lei. Come non ha creduto agli arrestati per il 3 luglio, forse non crederà neanche a me.
Fatto sta che a quanto pare la Polizia era sta inviata lì per tutelare Trenitalia.
“Non hanno il biglietto”.
Dottor Caselli, mi scusi, ma chi è l’incosciente che ha fatto uscire la Celere per controllare dei biglietti? Se lei è onesto, anche su questo deve indagare.
Intoniamo dei cori, alcuni poco simpatici, vero, ma ammetterà che dopo un giorno di festa non ti aspetti una così insensata dimostrazione di forza. Un desiderio così plateale di voler instaurare il terrore. Allora cantiamo per farci coraggio.
La Polizia in tenuta Antisommossa fa paura, dottor Caselli. Perché volevano metterci paura? E soprattutto: chi?
Insomma, per farla breve: si inizia a parlamentare, qualcuno si lamenta perché sembra che con Trenitalia ci fosse un accordo già dalla stazione di Milano, i rappresentanti di Trenitalia dicono che vogliono 500 euro di forfait per far salire tutti e far partire il treno, qualcuno si avvicina, c’è diffidenza, qualcuno, più coraggioso, continua a cantare. E poi…
E poi la prima carica, dottor Caselli. Manganellate dall’alto al basso, sulla testa, almeno due teste rotte (una l’ho ripresa, è la testa di un ragazzo. Evidentemente l’unico ferito tra i manifestanti non è una donna. E soprattutto non è “unico”, come affermano molte testate). Partono i fumogeni della Polizia (ci accusano di aver lanciato bombe carta… mai uscire senza bombe carta dottor Caselli… si rende conto delle assurdità? La polizia spara fumogeni che per magia diventano bombe carta dei manifestanti. Forse dovremmo denunciare chi ci ha venduto queste bombe carta, visto che non hanno fatto danni… Vada in stazione a controllare.).
La situazione torna alla calma. Arriva un’ambulanza, si ferma circa all’altezza del binario 15 (cerco di essere il più preciso possibile) e medica i due feriti (manifestanti). Arriva un altro gruppo di poliziotti, dalla parte opposta. Per un attimo siamo accerchiati, non sappiamo cosa fare, temiamo che ci carichino incrociandosi con l’altro gruppo. Invece fanno spostare l’ambulanza più o meno all’altezza del binario 19. Non capisco il perché, sono momenti concitati, come può immaginare.
Intanto io cerco di ricongiungermi con i compagni che ho smarrito durante la prima carica. Ne chiamo una al telefono, alla prima carica ha deciso di andare a casa, prima dell’aggravarsi della situazione. Vive a Torino, per fortuna non deve salire su quel maledetto treno. Dico per fortuna perché con lei c’era sua sorella di 16 anni, dottor Caselli. 16 anni ed era alla sua prima manifestazione. Lei dice che gli arresti relativi al 3 luglio non ledono il diritto di manifestare. Sarà, ma una carica della Polizia, invece, le assicuro che lede sia la voglia che il diritto di manifestare. E di questo qualcuno deve rispondere. La prego, a nome di una ragazza di 16 anni che per un giorno ha creduto alle parole “democrazia”, “partecipazione” e, forse, addirittura, alla parola “politica” nella sua accezione più nobile, la prego indaghi sul perché di questo atto insensato.

Riprendo il racconto, scusi anche per questa digressione. Telefono a un’altra compagna che non riesco a trovare. Mi dice che stava cercando di riprendere tutto con il telefonino e di non preoccuparmi. “Sono davanti al binario 17” le rispondo. “Marco, non preoccuparti. Sto cercando di filmare.” Mette giù. Dottor Caselli, lei non può saperlo, ma la persona in questione è a me molto cara. È un’amica, una collega, una compagna. Le auguro di non perdere mai nessuno a cui vuole bene durante una carica della polizia. È terribile. Dico davvero.
Insomma, inizio a cercarla per la stazione, cercando di continuare a filmare tutto. Naturalmente mi avvicino al blocco della polizia. Alcuni dei ragazzi, intanto, vengono lasciati passare per salire sul treno. Evidentemente hanno il biglietto. O forse si sono accordati con Trenitalia e la Polizia. Poi si sente un grido. Una ragazza piange. Sul binario sta succedendo qualcosa. Non riesco a vedere, ma capisco benissimo. La polizia sta caricando direttamente sul binario. Sta caricando alle spalle di quegli stessi che aveva fatto passare. Dottor Caselli, mi permetta un inciso sul concetto di onore. E mi lasci dare dell’infame a tutti quei poliziotti che quella sera si sono macchiati di un delitto così grave e vergognoso: attaccare alle spalle dei manifestanti che si erano fidati, forse per la prima volta in vita loro, della polizia che li aveva fatti accedere al treno. O forse che volevano, semplicemente, far finire quell’incubo e tornare a casa.
Dottor Caselli, lei cosa avrebbe fatto? Da uomo, non da procuratore. Da uomo, sentendo dei ragazzi gridare, lei cosa avrebbe fatto? Dottor Caselli, io spero che lei, da uomo, di fronte a tutta quella violenza non avrebbe fatto altro che raccogliere un sasso per tirarlo contro chi stava offendendo lo Stato, la Divisa e la Democrazia. Sto parlando della Polizia, dottor Caselli.
Eppure, sinceramente, io non lo so se qualcuno un sasso contro la Polizia lo abbia tirato, dottor Caselli. Guardo verso la polizia ed è di colpo, nuovamente, tutto confuso. Mi metto a correre per andare sul binario 19 e cercare di riprendere l’accaduto e, forse, per essere il primo a far partire la sassaiola. Non l’ho mai fatto, procuratore Caselli. Mai in vita mia. E mi vergogno per non averlo fatto sabato, solo per reagire, niente di più, per cercare di difendere dei compagni che venivano picchiati selvaggiamente. Ma forse è un bene. Come le dicevo sono un tipo cicciottello e simpatico. È un modo carino per dire che sono un po’ goffo. Probabilmente avrei spaccato la testa a un compagno con la mia pessima mira. Meglio così.
Comunque, appena raggiunto il binario 19, una parte della Polizia inizia a caricare tutti gli altri. Ed ecco rispuntare l’ambulanza (se ne era dimenticato, vero?). L’ambulanza, fatta spostare preventivamente dagli agenti, ci chiude la via di fuga. Ci sbatto contro, di fianco a me una donna di circa 50 anni che corre incoraggiata dal figlio “Corri, mamma! Corri!”. Riusciamo a scartare di lato, scappiamo tutti, alcuni come me, sono fortunati. Un poliziotto raggiunge me e un altro ragazzo e dovendo scegliere chi colpire… colpisce l’altro. Col senno di poi, procuratore Caselli, forse avrei preferito prendermela io quella manganellata. Dico “forse” perché un po’ mi sento in colpa. Ma in verità sono contento di essermela scampata. Non sono così ipocrita da negarlo.
Torniamo indietro, titubanti, ma vogliamo capire cosa sta succedendo. Sul vagone del treno vediamo del fumo. Hanno sparato un fumogeno dentro il vagone. Ho visto da poco un video su youtube. Controlli, se non ci crede. Non ha creduto ai manifestanti del 3 luglio. Non crederà neanche a me, credo.
Cerco di trovare la mia amica. Eccola. Litighiamo. “Vaffanculo, mi hai fatto preoccupare!”. Sembriamo due bambini, un po’ ci viene anche da piangere. Si avvicina un altro compagno, stiamo tutti bene, per fortuna. Chiamo Radio Popolare a Milano, racconto in breve quello che è successo. Due giornalisti ci chiamano in disparte. Ci chiedono se abbiamo filmato qualcosa. Rispondo di sì, prendetevi tutto, fate conoscere alla gente questo schifo. Tutti e cinque andiamo in un locale sicuro e lì passo i miei video. Speravo fossero meglio, in verità. Ma filmare e scappare contemporaneamente comporta delle difficoltà, dottor procuratore Caselli.
Guardi, dottor Caselli, voglio essere sincero fino in fondo. Nel locale decidiamo di cenare, bere vino rosso (sempre lui) e finiamo a parlare di politica, Berlinguer e Materialismo Storico. E anche di lei. E tutti, dico tutti, ci chiediamo cosa farà dopo stasera. Arresterà qualche altro manifestante? O forse si deciderà ad indagare sulla polizia? La prego, non lasci che questa resti una domanda retorica.

Le auguro buon lavoro, visto che ne avrà molto per i mesi a venire.
Grazie per l’attenzione,

Marco Di Stefano

P.S. Mentre le scrivo – 27 febbraio 2012 – in tutta Italia si manifesta a causa dell’incidente accaduto a Luca Abbà mentre cercava di bloccare l’esproprio delle terre in Val Susa. Come saprà è salito su un traliccio dell’alta tensione prima di prendere la scossa e rovinare al suolo. Questo dovrebbe farle capire cosa sono disposti a fare gli abitanti della Valle. Non ha messo una bomba. Non ha sparato. Ha fatto resistenza passiva mettendo a repentaglio la propria vita. E mentre tutti esprimono solidarietà, “Libero” lancia un sondaggio dove chiede ai propri lettori se il povero Abbà se lo sia meritato o meno. Io non so se esiste il reato di cattiveria, dottor Caselli. Ma se esiste, faccia qualcosa.

P.P.S. Tra le cose più infamanti e false che sono comparse sui quotidiani – on line e non – c’è anche la notizia di una sassaiola contro l’ambulanza. I casi sono due: o mi hanno scambiato per un sasso oppure qualcuno vuole fregarci. Le chiedo un’informazione: posso denunciarli per calunnia in quanto manifestante?

P.P.P.S. Dottor Caselli, si ricorda di Sole e Baleno? La prego, non ripeta gli errori del passato. Liberi tutti.

P.P.P.S. Dottor Caselli, guardi, le voglio fare un regalo. Le regalo un nome: Spartaco Mortola. Lui lo sa bene cosa è successo il 25 febbraio a Porta Nuova. E secondo me sa anche cos’è successo il 3 luglio in Valle. Almeno qualche domanda gliela faccia. Ah, e già che c’è, gli chieda anche qualcosa della Diaz, a Genova. Non si sa mai, magari stavolta confessa tutto.

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