Le magie di Esselunga
È una storia complessa quella dell’Esselunga di Pioltello. Che ha a che fare con lo sfruttamento del lavoro e con l’immigrazione. Con la stratificazione giurisprudenziale legata agli appalti alle cooperative e con il rapporto tra sindacati e lavoratori. Con lo strapotere delle grandi catene di distribuzione e i poli logistici che a est di Milano saranno, secondo le intenzioni dei nostri amministratori, collegati da grandi opere come la TEM.
È una storia che puzza di mafia. O meglio, di ‘Ndrangheta. Perché dove girano i soldi, si sa, gli uomini d’onore ci si buttano a capofitto. E le imprese del Nord Italia sono un piatto goloso. È allarme per le infiltrazioni negli appalti, per il riciclaggio di denaro sporco, per il riciclaggio di rifiuti nei cantieri delle grandi opere… E il magico mondo delle cooperative di facchinaggio non è immune da queste contaminazioni. Lo testimonia ad esempio la gambizzazione subita dal titolare di Safra, uno dei consorzi che gestiscono il lavoro di facchinaggio per i magazzini Esselunga di Pioltello.
È una storia antica, anche. La naturale prosecuzione di un percorso che ha le sue radici a Origgio, dove nel 2008 prese forma un coordinamento dei lavoratori delle cooperative ingaggiate dal supermercato Bennet. Radici che si consolidarono poi nelle lotte della GLS nel 2010, della Billa alla fine del 2010, della TNT a Piacenza l’estate scorsa.
È una storia in parte ancora da scrivere, ma che socialmente, politicamente, umanamente, si potrebbe già definire esemplare. Solo una tra le tante, certo, ma che si sta rivelando un riferimento, una convergenza e un catalizzatore per la testa, le pance e la consapevolezza dei lavoratori. Una storia tra le storie. Che da una parte vede la dura quotidianità degli immigrati impiegati nel settore della logistica della grande distribuzione e dall’altra l’immagine perfetta, irreale e invincibile del Mago Esselunga.
Per vederci chiaro in questa storia, Milano In Movimento ha deciso di intervistare uno dei legali che più da vicino ha seguito la vicenda fin dalle origini, Claudio Frugoni, avvocato di alcuni dei lavoratori licenziati del consorzio Safra, di cui fanno parte solo alcune delle cooperative a cui Esselunga ha appaltato la gestione della logistica dei magazzini di Pioltello.
Ciao Claudio, prima di tutto potresti chiarirci per quello che è la tua esperienza di avvocato, quanto è diffuso l’appalto del lavoro alle cooperative?
È una prassi costante: le aziende commissionano la gestione del lavoro a cooperative che attraverso appalti al ribasso, che vanno a tagliare sul costo del lavoro, consentono notevoli risparmi. Scaricando la gestione della manodopera a enti esterni le imprese hanno moltissimi vantaggi, primo tra i quali la possibilità di scaricare i costi e i rischi della gestione della forza lavoro all’esterno e anche un’applicazione del contratto collettivo nazionale con numerosi risparmi, che peraltro nel settore della logistica prevede condizioni salariali e normative pessime.
Come è possibile che questo avvenga giuridicamente?
La legge 142 del 2001, il testo unico sulle cooperative, prevede l’applicazione obbligatoria di un contratto collettivo. Molto spesso, però, gli obblighi previsti dal contratto sono applicati solo parzialmente, perché questo la legge consente alle cooperative. Ad esempio per quanto riguarda la tredicesima. Si tratta di una sorta di degradazione nell’applicazione dei contratti nazionali. A questo si aggiunge il fatto che spesso le cooperative sono solo una facciata dietro cui si nascondono delle società di fatto, delle imprese “normali” che hanno alti profitti spartiti tra pochi anziché tra tutti i soci, cosa che invece, per legge, all’interno delle cooperative dovrebbe avvenire.
Fatta questa premessa, entriamo nel vivo della vicenda Esselunga: potresti aiutarci a ripercorrere le tappe principali di questa mobilitazione?
L’agitazione vera e propria è partita con il primo sciopero, il 7 ottobre 2010, proclamato in seguito al rifiuto da parte del consorzio Safra di aprire un tavolo di trattativa su una piattaforma sindacale che ruotava sostanzialmente intorno a tre punti: il rispetto del contratto collettivo nazionale, l’abolizione del lavoro a chiamata – facilmente connesso a scelte differenziate per non dire propriamente discriminatorie – e il riconoscimento di una rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda. Dopo lo sciopero sono arrivate le prime ferie forzate e le prime sanzioni disciplinari. E undici lavoratori sono stati sospesi dal lavoro.
Come sono state motivate queste sanzioni?
In modo diversificato ma assolutamente pretestuoso: per alcuni lavoratori con l’accusa di minacce nei confronti di altri lavoratori che non volevano aderire allo sciopero, per altri con la scarsa produttività. Un lavoratore è stato accusato di avere rilasciato a un giornale dichiarazioni lesive per l’immagine dell’azienda. Ma malgrado la diversità delle motivazioni, la sospensione cautelare si è trasformata in licenziamento per tutti gli undici lavoratori coinvolti.
Qual è stata la reazione a questi licenziamenti?
L’azione sindacale è andata avanti: ai magazzini di Pioltello è nato il presidio da cui sono partite una serie di iniziative, tra cui la presenza costante ai cambi di turno per coinvolgere altri lavoratori nella lotta, i volantinaggi e il blocco dei camion. Ma la controparte ha eretto un muro.
Chi lavora in queste cooperative?
Si tratta esclusivamente di lavoratori immigrati. Che provengono da Pakistan, Bangladesh, Marocco, Sud America, Libano, Camerun, Costa d’Avorio, Senegal, Nigeria… Un aggregato di nazionalità che sicuramente non è casuale e che rende anche difficile la comunicazione tra lavoratori. Può sembrare banale, ma si pensi ad esempio alla questione linguistica. Alla TNT di Piacenza, ad esempio, la mobilitazione si è conclusa con un grande successo e con l’apertura di una sede del SìCobas anche grazie al fatto che i lavoratori avevano quasi tutti le stesse origini (arabe) ed erano in grado di comunicare con più facilità tra di loro.
Che ruolo hanno avuto le forze dell’ordine fin dall’inizio di questa protesta?
Sicuramente un ruolo di grande collaborazione con l’azienda. A inizio novembre abbiamo assistito al primo scudo da parte della polizia: una sorta di testuggine attraverso cui le forze dell’ordine hanno accompagnato i lavoratori che volevano entrare a svolgere le proprie mansioni, sfondando il presidio che invece cercava di bloccare i turni. E quello sicuramente è stato uno dei momenti in cui l’umiliazione ha raggiunto i livelli più elevati. Perché, uso di proposito parole forti, è lì che molti lavoratori si sono resi conto di essere schiavi.
Ma la mobilitazione è andata avanti…
Sì. La tappa successiva più importante è stata il 27 novembre. Davanti ai cancelli del reparto salumeria era in corso un picchetto. I lavoratori che volevano entrare si sono avvicinati incordonati per sfondare, incoraggiati dal capo della cooperativa che li seguiva in macchina incalzandoli con il megafono. La rabbia era forte ed è scattata la reazione. La polizia quella volta non c’era (e non penso si sia trattato di una casualità), ma c’erano due uomini della Digos e così sono arrivati altri 7 licenziamenti.
A questo punto la mobilitazione aveva già due mesi di età: i mezzi di informazione sono mai intervenuti?
L’attenzione mediatica è stata bassa. Fino a quando a Piazza Pulita il 22 dicembre un lavoratore di origine marocchina ha dichiarato la propria condizione di schiavitù. È stato licenziato poco dopo, ma da questo licenziamento è nata una collaborazione con la trasmissione, che ha organizzato una puntata dall’impatto senz’altro positivo per la mobilitazione.
Che cosa è successo?
I capi delle cooperative avevano organizzato una raccolta firme tra i lavoratori da consegnare al prefetto per lo sgombero del presidio, con l’avvallo del sindaco. A quel punto è stata organizzata un’azione dimostrativa, l’interruzione del consiglio comunale di Pioltello, che è stata oggetto della trasmissione sopracitata e che sicuramente ha dato visibilità alle ragioni del presidio permanente.
Adesso siamo a febbraio, a che punto è la vicenda?
Le prime cause per i licenziamenti sono appena iniziata e altre sono in fieri. E’ nata una complessa trattativa con la proposta della revoca dei licenziamenti e una cassa integrazione di mille ore a partire da marzo con termine sino a fine settembre. Gli aspetti da definire, anche dal punto di vista sindacale, sono molti. Settimana prossima sapremo se si concluderà positivamente o se le cause arriveranno a sentenza.
E da un punto di vista politico? Si tratta di una vittoria?
Credo di sì. Questa vicenda ha permesso di agglutinare varie realtà (politiche, sindacali e di lavoratori) intorno a un’idea forte. Non si tratta di slogan, ma di una reale volontà di ricomporre le rivendicazioni. Una presa di coscienza collettiva per crescere e rafforzarsi, tanto nelle singole realtà quanto nel coordinamento delle vertenze che si creano. Questo all’Esselunga c’è stato e c’è ancora: uno sforzo che abbiamo cercato di esportare al di fuori del settore di appartenenza, quello del facchinaggio, e un metodo di lavoro che, ci stiamo accorgendo, in qualche maniera paga. In questi quattro mesi infatti sono nate e stanno crescendo, grazie anche all’esempio dato dalla determinazione di questi lavoratori, altre lotte contro condizioni di lavoro di vero e proprio sfruttamento.
Anna Pellizzone
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