Lo Zam e i “tavoli” del mistero

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Leggere qualcosa che riguarda Zam (e più in generale gli spazi sociali autogestiti) in un sito web che porta il nome del Partito Democratico suscita una certa curiosità. Constatare poi che il testo in questione non è esattamente allineato sulle posizioni del partito che governa la città (oltre che il paese) crea un certo spiazzamento. Certo qualcuno potrebbe sostenere che tutto ciò attiene innanzi tutto a questioni di posizionamenti interni, logiche di corrente, piuttosto che antichi dissapori che trovano pretesti diversi per esprimersi. Magari è anche (in parte) vero, non siamo particolarmente esperti di tutto ciò che attiene la vita interna del Partito Democratico e per carità, stiamo bene così, ignari (fino ad un certo punto) di ciò che non ci riguarda ne compete. Ma la questione, crediamo, è un’altra. Pensiamo cioè che si tratti di capire, in modo diffuso e largo, se la vicenda che attiene ai numerosi sgomberi di spazi autogestiti nell’era Pisapia e la contemporanea attivazione dei tavoli sugli spazi promossi dal Comune è qualcosa che attiene alla riflessione, all’azione e all’intervento dei soli Centri Sociali Autogestiti o piuttosto se non si tratti di qualcosa che riguarda e compete a pezzi di città ben più ampi e articolati. Noi, ovviamente, pensiamo si tratti di questo. E quindi pensiamo sia utile che si alzino voci fuori dal mondo dei Centri Sociali che attengano a questo dibattito. Nella speranza che altre seguano e prendano parola. [La Redazione di Milano in Movimento]

L’immagine dei ragazzi dello Zam che escono dall’ex spazio Forma occupato – e appena sgomberato – con scatoloni e masserizie lascia una scia di spessa amarezza. Non solo, e non tanto, perché quest’ultima occupazione è durata il tempo di un week end, come probabilmente si aspettavano gli stessi occupanti, ma perché, davvero, non si riesce ad abituarsi all’idea che lo sgombero manu militari di luoghi occupati da collettivi e gruppi giovanili sia normale. Ovvero che sia normale mentre al governo di Milano siede da oltre tre anni una giunta di sinistra, la giunta del sindaco Giuliano Pisapia. Quelli dello Zam , in questi tre anni hanno collezionato tre sgomberi, di cui due violenti. Due sgomberi hanno alle spalle quelli del collettivo Lambretta. In totale, dalla primavera del 2011, gli interventi delle forze dell’ordine contro stabili e capannoni occupati da giovani, a Milano, sono stati perlomeno una decina. E’ vero che il Comune, in nessuno di questi casi, è stato il mandante. Ma è altrettanto vero che da Palazzo Marino non c’è stata alcuna “moral suasion” per evitare che il tema degli spazi occupati autogestiti venisse regolato soltanto come un problema di ordine pubblico. Ad agosto è stata presentata una delibera che, dopo 39 anni, dovrebbe “regolarizzare” la situazione del più antico dei centri sociali occupati in città: il centro sociale Leoncavallo, mentre il Comune ha finalmente attivato quei “tavoli” di confronto con i movimenti e i gruppi di occupanti per trovare una soluzione politica del conflitto. Tuttavia non si può non notare che se per il Leoncavallo si è scelta una, discutibilissima strada che prevede il “risarcimento” alla proprietà dello stabile del Leonka (la famiglia dei costruttori Cabassi, gli stessi dei terreni di Expo) in cambio della cessione al Comune dello stabile medesimo, per tutte le altre situazioni, finora, non si è cavato un ragno dal buco. Di più: non si sa di cosa si sta effettivamente discutendo. Il punto è che chi occupa rifiuta la “istituzionalizzazione” mentre il Comune fatica a definire qualcosa che somigli a una politica degli spazi, al loro utilizzo temporaneo e finalizzato a interessi e iniziative culturali e sociali. Occorrono, invece, coraggio politico e disponibilità al riconoscimento, da entrambe le parti. Ma occorre soprattutto che, da parte del Comune, questo confronto venga reso pubblico, dichiarato e trasparente. Senza timore degli scontati e ritriti attacchi della destra. Scegliendo una linea di interlocuzione aperta e non la trattativa “caso per caso”, perché non è affatto un caso che a Milano, nel 2014, i giovani rivendichino autonomia e spazi di sperimentazione. Come quando, nel lontanissimo 1975 – e ricordarlo immalinconisce – qualcuno decise di occupare una ex officina in via Leoncavallo.

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