Se la Curva scompare da San Siro
Come annunciato da un comunicato della Curva Sud del Milan, dalla prima partita della stagione, giocata col Bari in casa, non c’è più il tifo organizzato che da oltre 50 anni occupa il secondo anello blu dello stadio di San Siro.
La decisione è arrivata dal direttivo della curva stessa in seguito alle restrizioni che la dirigenza dell’AC Milan ha imposto ai tifosi: nessun ingresso agli striscioni storici dei gruppi ultras e black list con divieto di abbonamento per molti membri del direttivo, compresi loro familiari (ma, incredibilmente, gli rimane la possibilità di comprare i biglietti singoli negli altri settori dello stadio, se fosse un problema di ordine pubblico, non se ne capisce il senso).
Il comunicato parla apertamente di “regime autoritario” ed è difficile dargli torto.
La Questura di Milano, inoltre, vuole introdurre il riconoscimento facciale ai tornelli di ingresso, per controllare le persone con precedenti specifici e “prevenire la violenza”.
Tutto questo dovrebbe spaventare o mettere in allarme chi ha a una minima consapevolezza dello stato di diritto, ma naturalmente, visto che riguarda gli ultras, nessuno si indignerà.
Già dalla fine degli anni Novanta il movimento ultras, con tutte le sue contraddizioni, aveva avvisato la società civile: “Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani in tutta la città”. Questa profezia, rimasta inascoltata, si è poi puntualmente avverata. L’esempio più eclatante sono i Daspo, un dispositivo che restringe la libertà allontanando da luoghi specifici anche in assenza di prova di reato. Utilizzati all’inizio per impedire l’accesso allo stadio ora sono anche strumenti per reprimere il dissenso e la marginalità.
Queste trasformazioni securitarie si accompagnano a un generale processo di spettacolarizzazione del calcio e di finanziarizzazione delle società calcistiche che ha bisogno di modificare anche il tifo e i tifosi. In questo contesto si inseriscono anche le indagini e le prime condanne dell’inchiesta “Doppia Curva” che hanno azzerato di fatto i direttivi delle due curve di Milano. La dirigenza dell’AC Milan ne ha approfittato per “ripulire” lo stadio dall’unico soggetto organizzato in grado di disturbare la cannibalizzazione che Gerry Cardinale con il fondo RedBird sta facendo della storia e al blasone dell’AC Milan. A prescindere da ogni considerazione legale, questa lunga storia è stata scritta tanto dai giocatori in campo quanto dai tifosi sulle tribune.
La tifoseria è in guerra con la dirigenza già da almeno un anno perché Cardinale e soci sono interessati esclusivamente a operazioni finanziarie che nulla hanno a che fare con la storia e la cultura del calcio a queste latitudini. Oltre a non avere alcun progetto sportivo di medio/lungo periodo (la cacciata di Paolo Maldini ne è la prova principale) stanno trasformando l’esperienza del tifo in prodotto commerciale, attraendo a San Siro masse di turisti disposti a pagare prezzi folli per una “experience” nella storia del calcio italiano. Perché ovviamente conviene riempire gli spalti di consumatori piuttosto che di tifosi. I turisti mai si lamenteranno di un risultato, tanto la domenica successiva saranno a guardarsi una partita del Manchester City o del PSG.
RedBird, vincolato alla restituzione di un prestito di 550 milioni di euro (più gli interessi accumulati) al fondo Elliott, precedente proprietario, è interessato a sfruttare il più possibile il marchio Milan a livello commerciale e, soprattutto, alle operazioni immobiliari legate alla vendita dello stadio di San Siro.
Oltre alle ricadute disastrose sul quartiere e sulla città, la costruzione di uno stadio nuovo sarà la definitiva sterilizzazione del calcio professionistico a Milano. Lo spettacolo che ha offerto San Siro per cento anni, teatro di meravigliosi capitoli della storia del calcio e del tifo sugli spalti, non avrà più spazio nel nuovo impianto: Sky box e poltroncine riscaldate, centri commerciali e kiss cam, intrattenimento ammaestrato con i dj, mascotte idiote che ballano in mezzo al campo, pop corn e majorette.
Un intrattenimento calato dall’alto a prezzi inaccessibili alla gran parte degli stipendi medi italiani, che nulla ha a che vedere con l’intreccio emotivo che si crea tra tifosi e squadra partita dopo partita.
In questo scenario non stupisce che il principale interessato alla vendita di San Siro sia il Sindaco Sala: è così perfettamente coerente con il suo fantomatico “Modello Milano”. Una città per Users più che per cittadini.
Quindi, nel momento in cui i fondi di Private Equity dettano legge, ci rubano uno degli ultimi momenti di aggregazione di massa e di passione collettiva rimasto tra le macerie della società post industriale. Nella sua fase suprema, il capitalismo vince, ma non ci convince per niente. Questo è un grido di dolore per la fine di un mondo, ma non tutto è perduto perché quella passione che ci fa vivere il calcio come rito collettivo è innata, spontanea e la ritroviamo già a riempire campi e stadi delle categorie minori e dilettantistiche. Dove la bellezza del calcio non ha prezzo.
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