[Contributi sulla Grecia vol.1] Tsipras sconfigge l’Austerity
La vittoria di Tsipras alle elezioni Greche di domenica scorsa ha aperto un vasto dibattito. Emergono, tra le tante, importanti questioni come quelle legate al ruolo dei movimenti, ai danni sociali prodotti da 7 anni di politiche di austerità ed alla capacità, per un solo paese, di incidere all’interno dell’Unione Europea senza però avere un progetto di società alternativa e senza voler uscire dall’Euro.
Noi abbiamo raccolto alcuni contributi ed in questi giorni ve li proporremo.
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Tsipras sconfigge l’Austerity
Il quarantenne Tsipras ha vinto e la Grecia ha il primo governo rosso della sua storia.
Dopo più di sei anni di crisi l’austerità ha ricevuto la prima seria sconfitta politica in Europa. La Bundesbank ha già lanciato il suo monito contro le promesse elettorali del capo di Syriza e futuro primo ministro della democrazia greca, ma tutto lascia prevedere una rinegoziazione del debito greco, che non è diminuito malgrado i (o meglio, Keynes direbbe, proprio a causa dei) tagli selvaggi alla spesa pubblica e al welfare.
E’ stata soprattutto una vittoria di Alexis Tsipras, leader moderno e telegenico, che prima è riuscito a riunificare la sinistra eurocomunista e postcomunista in una federazione che in pochi anni ha raggiunto consensi a due cifre, poi, dopo la sconfitta elettorale a opera dei conservatori di Nuova Democrazia, nel 2013 l’ha trasformato in partito, proiettando Syriza verso la clamorosa vittoria di domenica 25 Gennaio 2015.
La linea di Merkel e della democrazia cristiana tedesca e del loro maggiordomo Juncker è stata rifiutata dal popolo greco, dopo che disoccupazione giovanile, povertà infantile e distruzione dei servizi sociali avevano ucciso ogni speranza di ripresa e riscossa.
Tsipras è riuscito nell’impresa in cui Hollande e Renzi hanno fallito.
Ma se il 99% di europei non può che rallegrarsi per la battuta d’arresto del neoliberismo inegualitario e antisociale, dovrebbero fare altrettanto le attiviste e gli attivisti alle prese in Italia con precarietà dilagante, fascismi risorgenti, autoritarismo crescente?
Innanzitutto dobbiamo notare che per la prima volta un noglobal diventa capo di governo. E’ imbarazzante per i media nostrani dover ricordare che ad Alexis, sbarcato ad Ancona coi suoi compagni greci, fu impedito nel 2001 di arrivare a Genova per le contestazioni del G8.
Un altro noglobal che invece a Genova arrivò da Madrid, fu Pablo Iglesias, l’attuale leader di Podemos, ricercatore politico e polemista televisivo, la formazione che oggi in Spagna si appresta a superare il PSOE di Zapatero, proprio come Syriza di Tsipras ha umiliato il PASOK dei Papandreou.
Tutt’e due inoltre appartengono alla famiglia della sinistra europea a Strasburgo/Bruxelles (GUE/NGL). Ed entrambi sono leader carismatici e trascinanti. Ma qui le similitudini si fermano.
Perché quella di Syruza è un’operazione di partito nel solco del meglio della sinistra novecentesca europea: Luxemburg, Trotzky, Gramsci, Berlinguer. Nasce quindi dall’alto del ceto politico per riuscire a intercettare il disgusto dei greci e trasformare la loro depressione in partecipazione politica, rispondendo alla domanda di bisogni sociali negletti in modo creativo e solidale.
Podemos è invece una struttura orizzontale online e offline che esprime direttamente piattaforme e candidate/i, in aperta competizione (già vinta alle europeee) con Izquierda Unida (Sinistra Unita), che altri non è che l’omologo di Syriza in Spagna. Podemos è nettamente populista anche se egualitarista ed è più radicalmente democratico di Syriza. Di più, Podemos non solo è postcomunista, ma è anche postsinistra, un termine che in Europa segna sempre di più la conservazione di una classe politica autoreferenziale e ideologicamente obsoleta, a differenza che in America Latina (peraltro grande fonte d’ispirazione sia per Alexis sia per Pablo).
La lezione greca di democrazia (per citare il rosso Muhlbauer;) parla a noi attivisti italiani soprattutto per due cose: la capacità di costruzione di società e la simbologia politica. Di fronte alla distruzione del welfare state portata avanti dagli emissari del Partito Popolare Europeo, gli attivisti di Syriza sono riusciti a costruire (come documentato sul manifesto) una rete di protezione sociale parallela, dalle cliniche alle mense, dai festival culturali all’istruzione popolare, ridando speranza agli anziani abbandonati, alla classe media impoverita e (in parte) ai giovani emarginati (disoccupazione al 60%!). Quello che manca in Italia, mentre le solite facce cercano di proporre un cartello elettorale che rimetta insieme le frattaglie di SEL, Rifondazione, PD (in effetti quasi tutti ex PCI), è la capacità del movimento e delle organizzazioni della sinistra di ricostruire la società, di spendersi in iniziative e progetti che rispondano effettivamente ai bisogni sociali delle persone in questa infinita Grande Recessione.
Insomma bisogna sbattersi per diventare popolari. Sia che tu sia Syriza, IRA o Hamas, se sei in grado di erogare servizi al popolo, il tuo consenso è destinato a crescere inarrestabile. Dirsi di sinistra non serve a niente, se non si fanno cose di sinistra, soprattutto se si usa la bandiera rossa per battaglie politiciste incomprensibili ai più (abolizione senato, articolo 18, riforma elettorale, scioperi che non mordono ecc. ecc.). Abbiamo tutti bisogno di tornare verso il popolo (non per servirlo ma per guidarlo;) e soprattutto di meccanismi diversi, trasparenti e democratici, di selezione del personale politico che parla a nome della sinistra.
La simbologia di Syriza è bene espressa dalle tre bandiere sovrapposte. Un po’ come la bandiera antifa si compone di una bandiera rossa sovrapposta a una nera (oppure, soprattutto nella Grecia dalla forte tradizione anarchica, il contrario), il logo di Syriza è una bandiera rossa sovrapposta a una verde e un’altra viola, a simboleggiare evidentemente ecologismo e femminismo (chiedo ai sorelli e le fratelle in lettura ragguagli sulla politica queer di Tsipras), ossia se volete l’arcobaleno noglobal. Sopra compare una stella gialla. Sotto il nome in maiuscolo che comincia per Sigma. Ecco, non è un mistero che io porti avanti da anni una battaglia intellettuale per l’ibridazione (e financo il superamento) della tradizione rossa con il legato dei movimenti post-1989 su civil rights, gender rights, cyber rights, climate justice: pink, black, green per citare un libro liberamente scaricabile).
Il futuro di Tsipras e delle aspirazioni una volta incarnate dalla sinistra politica e sindacale dipendono da quanto saprà introdurre misure che riducano la disuguaglianza e l’esclusione, ma che facciano sventolare anche le due altre bandiere.
Se un’inversione a U sulla politica fiscale restrittiva in direzione di una spesa sociale espansiva come l’introduzione di seri sussidi di disoccupazione è il primo banco di prova del leader anti-austerity, Tsipras è destinato (come Obama) a deludere le aspettative. Più che un Chávez, sarà un Lula. Già l’aumento di stipendi ai dipendenti pubblici che ha promesso, che ricorda gli aumenti salariali generalizzati del governo francese di Fronte Popolare durante la Grande Depressione, potrebbe rivelarsi economicamente infattibile o controproducente.
Ma soprattutto è alla vera opposizione sociale che il governo (di coalizione) di Syriza dovrà rispondere, quella di Exarchia e del Politecnico di Atene, di Salonicco e Patrasso, delle migliaia di felpe nere che dall’assassinio di Alexis Grigoropoulos in poi non hanno mai smesso di insorgere contro le élite per l’uguaglianza e contro i nazisti a difesa degli immigrati e degli spazi sociali.
La sinistra rossa ha vinto per la prima volta un’elezione in Europa. Ora che si è fatta stato dovrà essere in grado di affrontare la rabbia giovanile senza retorica e ipocrisie. Non avverrà, perché da che mondo è mondo, lo stato è stato e il movimento è movimento: per ogni potere che s’instaura, sorge sempre un contropotere che vi si oppone.
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