[DallaRete] MayDay Turchia: manifestare è ancora un diritto? 

 

575c5f01-3020-438a-e537-42096ab17f0aRiflessioni sul Primo Maggio di Istanbul e interviste con Arzu Çerkezoğlu – Segretaria Generale DISK (Confederazione dei sindacati rivoluzionari), e con Kivanç Eliaçık, responsabile relazione con l’estero della DISK.

In Turchia la lotta fra il Governo del Premier Recep Tayyp Erdoğan e chi rivendica il diritto di manifestare si fa sempre più impari, e il Primo Maggio di quest’anno ne è stata la conferma.

Era una May Day cruciale: il tradizionale appuntamento durante la quale tutta la sinistra Turca non celebra solo il giorno dei lavoratori ma ricorda le 34 vittime del 1 Maggio di sangue del 1977, avveniva per la prima volta dopo lo straordinario periodo delle rivolte di Gezi Park, e da più parti si profilava come il ritorno massivo in piazza della protesta antigovernativa. Questo era quello che il Primo Ministro Erdoğan temeva ed è quello che ha cercato di evitare con tutti i mezzi. E ci è riuscito, tenendo fede al divieto di Piazza Taksim con un investimento abnorme in termine di misure di sicurezza e repressione.

Come l’anno precedente, Istanbul è stata blindata e militarizzata: il divieto della Piazza nei giorni precedenti è stato accompagnato dalla comparsa di quantità impressionanti di barriere e transenne accatastate a Taksim e nei suoi circondari, e dall’annuncio che 40 mila unità di polizia ( il doppio rispetto all’anno prima) e 50 “toma”, gli ormai famosi mezzi blindati muniti di cannoni idranti, sarebbe stati dislocati sulla città.

Il Primo Maggio il centro di Istanbul era una città fantasma, con il trasporto pubblico fermo e frotte di gente, manifestanti, turisti, lavoratori, che tentavano invano di raggiungere la loro destinazione, fosse l’albergo, l’aeroporto, il luogo di lavoro, la manifestazione. Sindacati, partiti, movimenti, società civile hanno voluto comunque sfidare il divieto, ma in queste condizioni anche solo raggiungere i luoghi previsti per la partenza dei corte era un’impresa.

Cortei che non sono mai partiti, perché una volta miracolosamente radunati in qualche migliaia nei due luoghi indicati, la Piazza di Beşiktaş e l’area di Şisli, dove si trovano le sedi sindacali e dei partiti di opposizione, le cariche sono partite subito, ed è stato impossibile muovere un passo, se non per fuggire dalle nuvole densissime di gas, dai cannoni ad acqua addizionati di sostante chimiche , dalle pallottole chimiche e di gomma.

Il bilancio, oltre ai più di 150 fermi e le dozzine di feriti, è che per questo Governo, a Taksim non si manifesta più. Punto. Un divieto messo in pratica senza possibilità di dialogo e con forza militare che si affina e potenzia sempre di più, stritolando e piegando la volontà di manifestare e cercando di relegarla alla periferia della città, in una logica che vuole proseguire sulla strada della trasformazione di Taksim in luogo turistico e commerciale a discapito della sua storia e del suo significato.

Un atteggiamento preoccupante che ancora una volta conferma la vocazione autoritaria di un premier che non ha intenzione di abbandonare lo scenario politico per diverso tempo, e che fa a pugni con la vocazione democratica della nuova Turchia che Gezi Park ci ha fatto conoscere.

Ma come possiamo leggere da queste interviste, i sindacati in primis non demordono: Piazza Taksim resta irrinunciabile, e ciò allude ad altre battaglie che, complice l’anniversario delle proteste di Gezi, non tarderanno ad arrivare.

La DISK, Confederazione dei sindacati Rivoluzionari, è una delle due confederazioni più importanti della Turchia; il Primo Maggio all’interno della loro sede dove in molti si sono rifugiati dopo le cariche della polizia, raggiungo la Segretaria Generale Arzu Çerkezoğlu, prima ed unica donna ad assumere questo incarico nella storia della Turchia, e Kivanç Eliaçık, responsabile delle relazioni con l’estero. Entrambi hanno gli occhi arrossati per i lacrimogeni e sul volto le tracce dell’antiacido che è necessario spruzzarsi per mitigare il bruciore.

Intervista Arzu Çerkezoğlu – Segretaria Generale DISK, Confederazione dei sindacati rivoluzionari Cosa ha significato la giornata di oggi?

Il Primo Maggio di quest’anno assumeva un’importanza particolare: essendo il primo dopo le proteste di Gezi Park, rappresentava l’occasione per scendere in piazza in tantissimi e tornare ad alzare la voce contro questo Governo; per questo motivo la giornata di oggi era molto temuta dal premier Recep Tayyp Erdogan: Piazza Taksim è stata negata perché permettere di raggiungerla avrebbe significato centinaia di migliaia di persone in manifestazione contro di lui; avrebbe potuto essere l’inizio di una nuova ondata di protesta. Credi che i sindacati oggi siano riusciti a dare un segnale a questo governo?
Possiamo dire di si; molte persone oggi erano piazza nonostante i divieti e le difficoltà : le cariche delle forze di polizia sui concentramenti sono iniziate dalla mattina presto, i manifestanti hanno resistito fino al pomeriggio mostrando una determinazione molto forte

Qual è il prossimo passo per i sindacati?

Noi sentiamo che nella società c’è ancora un “desiderio di Piazza Taksim” molto forte, in relazione al Primo Maggio ma non solo; per questo motivo noi ci sentiamo incoraggiati a continuare a lottare oltre che per migliori condizioni di lavoro, per riconquistare un luogo importantissimo.

L’impressione è quella che il Governo abbia deciso interdire tutta l’area di Taksim alle manifestazioni in maniera definitiva….

Si è cosi; difatti il punto non è la piazza, ma la storia di questo paese: negare Piazza Taksim significa tornare indietro anziché fare dei passi avanti in termini di democrazia. Non sono i Governi a decidere dove i lavoratori devono manifestare, ma i lavoratori stessi. Noi non demordiamo, e oggi stesso abbiamo annunciato che il 31 di Maggio, giorno dell’anniversario di Gezi Park, torneremo a manifestare a Piazza Taksim.

Intervista a Kivanç Eliaçık, responsabile relazione con l’estero della DISK.

Partiamo da alcune considerazioni sulla giornata di oggi, da quello che è successo e dal suo significato.

Questa MayDay era la prima dopo le proteste di Gezi Park e quindi portava con se molte cose; da Gezi Park in poi noi abbiamo imparato molte cose, abbiamo migliorato le nostre capacità, anche in termini di resistenza agli attacchi della polizia, abbiamo dovuto imparare a resistere ai gas lacrimogeni, ai cannoni idranti, alle pallottole, per poter manifestare. Manifestare è un diritto e questa è la discussione che i sindacati hanno portato avanti fino a questa mattina con il Governo: è un diritto costituzionale organizzare una manifestazione pacifica a Piazza Taksim o il Governo ha il diritto di decidere dove e quando si fanno le manifestazioni? La risposta sta in quello che è successo oggi. Quando una volta radunati nella zona di Sisli dove ci siamo dati appuntamento con l’altra confederazione sindacale, il Kesk e con alcuni partiti dell’opposizione, siamo stati subito fermati, e dopo poco ci hanno inondato di lacrimogeni e investito con i getti dei cannoni idranti; ci hanno attaccato fisicamente, e questo è avvenuto nonostante nelle prime file si trovassero oltre ai rappresentanti sindacali anche diversi esponenti dei partiti di opposizione come il CHP e l’HDP.

Per farti capire, hanno attaccato addirittura una deputata del CHP che ha delle disabilità, porta delle protesi: una deputata donna disabile! Ho visto delle foto, la scuotevano, lei è caduta e loro le stavano sopra! Quindi la Polizia ha mostrato nuovamente la sua potenza e la sua brutalità, ma ciononostante i dimostranti l’hanno sfidato a lungo, hanno continuato a provare ad andare a Piazza Taksim.

Inoltre il trasporto oggi era completamente bloccato, i traghetti erano fermi, la metropolitana chiusa, le linee principlai degli autobus cancellate; questo ha significato che molte persone oggi non hanno potuto raggiungere il proprio posto di lavoro; molte persone oggi non hanno potuto lavorare, più che in uno sciopero sindacale; oggi il Governo li ha costretti a una vacanza forzata.

Per lo stesso motivo tantissime persone che oggi avrebbero voluto manifestare non hanno potuto farlo, era molto complicato raggiungere i concentramenti, e anche gli autobus su cui viaggiavano i manifestanti organizzati dai sindacati sono stati fermati.

Sei soddisfatto della giornata di oggi?

No non sono soddisfatto ovviamente: stavamo organizzando una grande giornata di protesta con centinaia di migliaia di persone, con concerti e comizi; volevamo far arrivare dei messaggi a questo Governo e non ci è stato permesso. Con la giornata di oggi abbiamo capito che questo Governo ha paura della gente, ha paura dei lavoratori: cosa sarebbe potuto succedere se avesse concesso di manifestare a Piazza Taksim come è avvenuto nel 2010, nel 2011 e nel 2012? Questo Primo Ministro si fregia di essere un democratico, di aver messo il nostro paese sulla strada della democrazia, di aver concesso più diritti che mai, in realtà lui non vuole permettere alla gente di protestare contro di lui, l’utilizzo estremo della repressione lo dimostra, questa giornata ci rappresenta le condizioni della Turchia in maniera simbolica.

La sede della DISK è stato attaccata come l’anno scorso durante le cariche di dispersione?

No, non è avvenuto un attacco diretto, però lo hai visto anche tu, è stata lanciata una quantità enorme di gas nella strada dove si trova l’ingresso dell’edifico, che è diventata impraticabile, e molti di noi eravamo rifugiati li dentro;la sede stessa è diventata un ospedale per assistere i feriti e gli intossicati, abbiamo messo a disposizione medicinali e ci siamo improvvisati infermieri.

Quali sono le prossime mosse?

In questo stesso momento stiamo discutendo se riconvocarci a Piaza Taksim questa sera stessa; vorremo andare là e tenere una conferenza stampa, la cui conclusione sarebbe che anche il prossimo 1 maggio noi vogliamo andare a Piazza Taksim. Conosci lo slogan ogni luogo è Taksim, ogni luogo è resistenza”. Ecco nello spirito di Gezi, di cui la May Day è una delle sue radici, noi diciamo anche di voler continuare ad essere “çapulcu” e che il Primo Maggio è sempre ed ovunque.

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