Piacenza, l’Arma anticipa la Procura: rimossa la catena gerarchica

Correva l’anno 2018 quando un militante egiziano dei Si Cobas di Piacenza, arrestato e processato per direttissima per il possesso di tre grammi di marijuana (trasportati insieme ad una bandiera del sindacato), denunciava di «essere stato messo contro il muro da sei agenti e picchiato» all’interno della ormai famigerata caserma Levante. Quella che la Procuratrice capo Grazia Pradella, dopo sei mesi di indagine, ha posto sotto sequestro due giorni fa, dopo aver incriminato l’intera squadra di carabinieri (tranne uno) che vi prestavano servizio, accusandoli di reati che vanno dal traffico di stupefacenti all’estorsione e alla tortura, commessi dal 2017 ad oggi. In quello stesso anno, numerosi attivisti di sinistra piacentini che avevano partecipato alle manifestazioni di piazza (a febbraio) contro l’apertura di una sede di CasaPound, subirono, oltre alle cariche della polizia, anche il fuoco incrociato di «denunce e repressioni».

Proprio a metà del 2018, nel corso della cerimonia per i 204 anni della fondazione dell’Arma, il Comandante della Legione Carabinieri Emilia Romagna riconobbe ai carabinieri della Levante una menzione particolare «per essersi distinti per il ragguardevole impegno operativo e istituzionale e per i risultati conseguiti soprattutto nell’attività di contrasto al fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti».

E non c’era alcuna ironia. Nessuno evidentemente aveva notato nulla di strano, in quella caserma, o nel lusso ostentato da alcuni militari. Eppure Piacenza non era estranea a questo tipo di “scandali”: nel 2013, per esempio, sei poliziotti della Questura vennero arrestati insieme ad altre sette persone e accusati di traffico di stupefacenti, favoreggiamento della prostituzione e dell’immigrazione clandestina, falsificazione di atti d’ufficio per garantire l’impunità ai coindagati.

Ieri però, mentre i pm piacentini Matteo Centini e Antonio Colonna iniziavano ad interrogare i primi due dei sei carabinieri arrestati, e mentre le indagini proseguono per scoprire se qualcuno, nella catena gerarchica militare, abbia volontariamente coperto i reati che si ipotizzano a carico dei loro sottoposti, il Comando Generale dell’Arma ha anticipato la magistratura e ha azzerato tutta la scala gerarchica sovrastante la caserma di via Caccialupo. Sono stati rimossi infatti il Comandante provinciale Stefano Savo, che era arrivato a Piacenza nel novembre dell’anno scorso, il Comandante del Reparto Operativo Marco Iannucci e il Comandante del Nucleo Investigativo Giuseppe Pischedda, anche se nessuno dei tre al momento è sotto inchiesta. Poco prima, nel pomeriggio, la pm Pradella aveva ricevuto in Procura il Comandante della Legione carabinieri Emilia Romagna, Davide Angrisani.

Da viale Romania fanno sapere che le rimozioni hanno «un duplice scopo: agevolare il sereno e regolare svolgimento delle attività di servizio di coloro che subentreranno nelle prossime ore ai vertici locali e agli otto militari mandati a sostituire quelli arrestati, e per recuperare il rapporto di fiducia con i cittadini», compromesso dalle rivelazioni dell’operazione «Odysseus». Una decisione che il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva in qualche modo preannunciato dicendo chiaramente che «non devono esserci spazi di ambiguità o scarsa chiarezza, e bisogna fare piena luce su quello che è accaduto».

Intanto i due militari ascoltati ieri in carcere per l’interrogatorio di garanzia hanno risposto alle domande dei pm ma si sono detti «estranei» ai fatti più gravi e, tra le lacrime, secondo quanto riportato dai loro legali di fiducia, si sono mostrati «provati» e timorosi. E hanno chiesto la liberazione. Oggi sarà la volta dell’appuntato, considerato il capo dell’organizzazione «criminale».

di Eleonora Martini

da il Manifesto del 25 luglio 2020

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