L’attacco poliziesco al Witchtek di Modena

“Streghe, stregoni e morti (viventi)” si sono riuniti a Modena, a Campogalliano, tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2025. In una sorta di melting pot culturale tra “il giorno dei morti” e “Halloween”, un rave è tornato a fare notizia, a poche centinaia di metri da dove, nel 2022, il governo Meloni speculò mostrando i muscoli su una festa in maniera meschina e ottusa. I rave, e chi li frequentava, sembravano essere diventati il centro del problema sicurezza in Italia, tanto da spingere a varare un decreto. Tre anni dopo, il governo tace e manda le forze di Polizia a punire chi ha osato rompere la narrazione rassicurante secondo cui, con leggi, muscoli e coercizione, si possono fermare processi sociali. Persone che ballavano e si divertivano erano state trasformate in mostri. Quei mostri sono tornati, raccontandosi vivi e capaci di organizzarsi, mostrando come più si stringono gli spazi di libertà, cultura e aggregazione, più leggi e paura servono a poco.

Il violento intervento della Polizia racconta la frustrazione di un governo che, in pochi anni, ha messo mano all’arsenale repressivo in maniera decisa: non solo il decreto anti-rave, ma anche la direttiva Piantedosi del 2023 e il decreto — ora legge — sicurezza. Nello stesso tempo, questo esecutivo ha dovuto assistere all’insorgenza dei blocchi nelle città, nelle strade e nelle stazioni al fianco del popolo palestinese, e ha contato un rave dopo l’altro. I rave, più di altre espressioni conflittuali con la società, sono un luogo d’eccesso incomprensibile ai più — non solo al mondo conservatore. Spazi di sperimentazione estrema: musica, sostanze, autogestione, occupazione di luoghi abbandonati che denunciano in modo indiretto l’ipocrisia del degrado programmato per volontà speculative.

Chi va ai rave non ha interesse a farsi capire: cerca, per lo più, una fuga dalle gabbie che si alzano sempre più alte. Dai parchi alle piazze negate, dai centri sociali sgomberati ai luoghi di cultura ultra-normati, il messaggio è chiaro: ordine, controllo, decoro. I rave, più che le curve e i graffiti, portano con sé una serie di “infrazioni” alle regole della “buona società” che li trasforma in luoghi “spaventevoli”. Si balla per ore e ore senza pausa su musica che per la maggior parte della popolazione è solo rumore; si usano sostanze illegali; si prendono spazi che la proprietà ha svuotato; si fa a gara a chi si veste in modo più eccentrico; ci si aiuta quando qualcuno sta male; si fa comunità “sotto cassa”. Sono luoghi incomprensibili. Così, chi non capisce giudica; chi giudica, poi condanna. Trasforma il diverso in mostro, il desiderio in stregoneria, fino a considerare una minaccia chi fa festa.

Il tutto senza alcuna attivazione capace di creare processi virtuosi e risposte positive a chi chiede libertà — libertà di scegliere per sé e su di sé. Non servirebbe nemmeno capire e condividere: basterebbe ascoltare. Ma una società che nega differenze e conflitti, come può ascoltare? Chi va ai rave, chi va allo stadio in curva, chi scrive e disegna sui muri non è diverso da chi era punk o hippy qualche decennio fa; semplicemente, oggi governi e società chiedono ordine e decoro, e non accettano altre forme di essere.

Se chiudi spazi, c’è chi apre portoni. Dove si sbarra, qualcuno scavalca. Non è deviazione: è conseguenza. In un paese che smantella sale prove, centri culturali, spazi sociali, strade vive, club indipendenti e piazze, la vita prende ciò che trova. L’illegalità e la rottura dell’imposizione delle norme non sono atti romantici né criminali: sono gesti di vita e di necessità.

I rave non sono un’anomalia: sono un termometro. Esattamente come il “blocchiamo tutto” per il popolo palestinese non è stato un atto criminale, ma un atto d’amore. Continuare a reprimere e a stringere le maglie della libertà genera conflittualità. “Conflittualità” è parola bandita dal dibattito politico: si è cercato di imporre la “resilienza” mentre, pian piano, si chiudevano spazi, piazze, parchi, strade, locali e si criminalizzava sempre più la povertà e lo “sballo”. Si sono cancellate politiche di mitigazione del danno, si è avuta paura di parlare di droghe (e di sessualità), si è pensato di fermare un vento che invece soffoca tutto dentro il grigio delle città.

Manganelli, lacrimogeni e narrazioni tossiche hanno colpito chi va ai rave già molte volte; il fenomeno è ancora vivo perché le città sono luoghi sempre più ostili e la necessità di libertà è più attuale che mai.

Andrea Cegna

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Una risposta a “L’attacco poliziesco al Witchtek di Modena”

  1. Laura ha detto:

    grazie Andrea Cegna

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