“Piacenza è la prossima”. Guai a chi ci tocca

“Piacenza è la prossima”.

È bastato questo perché pochi giorni fa un attivista del Laboratorio Occupato Morion si beccasse una manganellata da un carabiniere mentre tornava a casa alle 3 del mattino. E tanto è bastato perché ieri in tante e tanti si siano dati appuntamento a Sacca Fisola, l’isola su cui si trova la caserma di appartenenza del carabiniere in questione, per testimoniare da un lato la propria vicinanza a Jacopo, dall’altro la volontà di lanciare un messaggio chiaro: guai a chi ci tocca. Gli interventi dal microfono l’hanno chiarito bene: attraversare la città con la sicurezza di arrivare a casa sani e salvi è un diritto cui non è possibile rinunciare. Nemmeno nel nome di una battuta, nemmeno per una freddura che urta gli animi.

“Tocca uno, tocca tutti” sono le parole che a gran voce sono state ripetute ieri, perché un colpo inferto a uno di noi è un colpo inferto a tutto il corpo militante, e la risposta non sarà mai altro che collettiva. Ieri è stato dato un segnale chiaro da questo punto di vista: senza velleità di paragoni sproporzionati, senza atteggiamenti vittimistici, è stato lanciato un appuntamento per chiarire una volta per tutte che non è tollerabile rischiare di beccarsi una manganellata mentre si torna a casa.

Il presidio, dopo alcuni interventi dal microfono, ha deciso di muoversi verso la caserma dei Carabinieri con l’obiettivo di attaccare uno striscione “Piacenza prossima fermata. Basta abusi in divisa”, ma è stato bloccato di lì a poco da un cordone di Polizia in assetto antisommossa. Il corteo spontaneo è stato fermato con una carica: ancora una volta, l’unica reazione delle Forze dell’Ordine è stata il ricorso alla violenza, esercitata su una composizione che avanzava a braccia alzate.

I fatti di venerdì notte, se misurati nell’intensità del colpo, non sono un esempio lampante della cieca violenza delle Forze dell’Ordine, quanto piuttosto di quella tendenza, affatto latente, a ricorrere a forme di coercizione per normalizzare qualsiasi situazione. Una tendenza che si nutre di una storia di spalle coperte, di colpi di spugna, di insabbiamenti. Quello che è successo a Venezia non è paragonabile a quanto avvenuto a Piacenza, in Puglia o – ancor peggio – al di là dell’Atlantico, ma nel suo piccolo è sintomo del funzionamento malato delle Forze dell’Ordine.

“Piacenza è la prossima”. O forse no, forse un po’ di Piacenza era anche lì. Non in un luogo altro, circoscritto, in cui fatti disgustosi erano successi, ma in ciascun luogo in cui le Forze dell’Ordine sono fisicamente presenti. C’è una Piacenza in ogni strada pattugliata, in ogni piazza sorvegliata, in ogni bar frequentato. Piacenza è in ogni città in cui ci sia una caserma, una stazione di polizia, una questura.

Il problema delle Forze dell’Ordine – e dei Carabinieri in particolare – è sistemico ed endemico, per questo parlare di “mele marce” è riduttivo e fuorviante. Perché non permette di cogliere e di agire all’origine del problema, di cercare una soluzione alternativa, come quella messa in atto dal movimento Black Lives Matter negli USA, dove è partita la campagna “Defund the police” con lo scopo di tagliare i finanziamenti alle Forze dell’Ordine per potenziare i servizi di welfare e per smantellare un impianto intrinsecamente razzista, machista e violento.

da Globalproject.info

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