Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (sesta parte)

Il 25 Novembre è la giornata contro la violenza di genere e la violenza maschile sulle donne.
Come collettiva transfemminista queer partecipiamo e contribuiamo come ogni anno alle iniziative, azioni e mobilitazioni messe in campo dal Movimento di NUDM e del nodo milanese.
Quest’anno abbiamo deciso di fare un passo oltre e unire le nostre voci, raccontarci.
La pagina ospiterà riflessioni e racconti riguardo la violenza di genere e tutti i modi in cui si manifesta e le conseguenze che può avere, in modo diverso, su ognun* di noi.
Partiamo da noi perché non ci arroghiamo il diritto di parlare per altr* ma con l’auspicio che questo permetta a chi è sopravvissut* di sentirsi legittimat* a narrarsi.
Crediamo che la condivisione sia strumento per svelare la realtà sommersa delle violenze e trasformare la percezione spesso sminuente e minimizzante che si ha delle stesse.
Crediamo anche che siano strumento utile per creare alleanze ed empowerment.
Invitiamo chiunque voglia a partecipare, scrivendoci un messaggio alla pagina, perché tutte le storie possano avere spazio e la libertà di essere raccontate.
P.S.  Questo è uno spazio safe e di rispetto.
Qualsiasi commento giudicante, stereotipo, pregiudizio, qualsiasi hater verrà bannat* senza pietà, perché con certa gente non si discute neanche.
Consigliamo nel caso di seguire gruppi come Maschile Plurale o di rivolgersi a Centri d’ ascolto per persone maltrattanti.

De Gener Azione


Salve a tutt*.
Vi racconto la mia storia.
Non ho mai potuto denunciare perché mi sono resa conto del danno una volta finito tutto.
Non so nemmeno come raccontarlo, da dove iniziare e mi viene da vomitare. Ho amato un uomo per 10 anni, e ne avevo 16 quando lo conobbi e mi ci fidanzai – mi ha distrutta.
Un uomo che mi dava della puttana perché ero stata con altri prima di lui, un uomo che mi chiudeva fuori dalla porta sotto la pioggia perché era stufo di parlarmi, un uomo che mi ha umiliata fino a sentirmi l’essere più inutile e disgustoso sulla faccia della terra.
Il motivo per il quale non ne parlo più è che mi provoca ancora un senso di disgusto nel pensare di essere stata così debole e stupida nel perpetrare per 10 lunghi anni questa umiliazione.
Apparentemente sembrava l’Amore; quello profondo, da film, quello da famiglia della Mulino Bianco. Io trainavo, ero forte, passionale e appassionata, Lui problematico, sociopatico e direi anche un po’ disadattato. Ma andava bene, o almeno lo credevo. Io, la crocerossina, lo dovevo salvare, aiutare fino allo stremo. Era un’imposizione che mi auto-inculcavo.
Come può essere sottile il filo tra l’amore e lo strazio.
Litigate pesanti e violente. Lui mi tradiva, mi usava, faceva il cazzo che voleva senza alcun rispetto, sembrava che tutto gli fosse dovuto e piano piano io non esistevo più, esistevo solo Grazie alla sua di esistenza. Più il tempo passava più lui mi rendeva una pezza da usare a suo piacimento. Mi svegliava alle 3 di mattina per andarlo a prendere ovunque, mi chiedeva l’inverosimile e mi usava come “svuotino” quando non aveva di meglio.
E io mi arrabbiavo, lo allontanavo ma lui tornava, tornava, tornava sempre con una scusa diversa e sempre con quel suo gancio del cazzo “HO BISOGNO DI TE E SEMPRE NE AVRÒ”. Oramai, questo era tutto quello che mi meritavo, nella mia testa era così.
Sì perché mi faceva credere, o meglio, mi soggiogava dicendomi che era colpa mia, che ero una pazza, un’ossessionata. Che ero io che non potevo vivere senza di lui, che tutto quello che vedevo io erano paranoie e che io ero la persona più importante per lui, che lo avevo aiutato a tirarsi fuori (sì perché in tutto questo lui si era tirato fuori dai suoi disagi). E che dovevo sempre dimostrargli di essere alla sua altezza.
I miei genitori, i miei amici mi hanno provato a mettere in guardia ma io ho smesso di dire cosa faceva, quante volte ho finto per lui.
Ma nemmeno mi passava per la testa che questo fosse il classico copione delle donne sottomesse e che fosse una violenza psicologica. Piangevo tutti i giorni. E i miei pensieri peggioravano.
Fortunatamente o sfortunatamente, dipende dai punti di vista, ho sempre tenuto tutto in sordina, tutti sapevano della nostra relazione burrascosa, ma nessuno sapeva veramente quello che faceva. I miei amici non esistevano più, lui li insultava e alla fine mi ci ha allontanata e ai suoi amici diceva che ero un’esaurita.
Ma il peggio non era ancora arrivato.
Riesco a lasciarlo dopo mesi di psicanalisi ma lui non molla, o meglio, non molla me, non la relazione. IO e lui non stavamo più insieme ma cazzo se adesso mi teneva in pugno. Nel pugno del senso di colpa di averlo lasciato. Ora tutto gli era davvero dovuto. Avevo la senzaione costante di appartenergli.
Sono iniziati gli anni peggiori della mia vita. Anni in cui non credo di aver mai avuto un pensiero positivo su di me. Io non valevo niente.
O meglio ero la sua macchina.
Avevo già abbracciato il femminismo ma lui diceva di essere dalla mia parte e sebbene tutto mi dicesse il contrario, lui era l’eccezione. Ancora mi domando come ho fatto…perché i segnali c’erano, anzi erano ben chiari.
Beh da quel sentirti niente, io ho iniziato a normalizzare la violenza.
Vado in viaggio, ero in Oman con i miei genitori e conosco un uomo. Un professore universitario tedesco. Aveva l’età di mio padre e aveva un figlio più giovane di me di 4/5 anni, era sera, era mezzanotte e io cercavo invano un po’ di connessione per scrivere al coglione sopra citato. Ovviamente si era dimenticato di me e io mi metto a parlare con questo professore che mi invita a fare una passeggiata con lui attorno alla piscina. Io ovviamente ci sono andata. Ingenua. Al primo angolo buio mi sbatte sulla sdraio, cerca di immobilizzarmi e alla fine non riesco più a muovermi. Fortunatamente eravamo vicini alla hall e riconosco la terrazza della mia camera. Ma le urla non mi uscivano. Mi vergognavo e pensavo di meritarmelo. E che una persona come me non faceva altro che dare dispiaceri alla mia famiglia visto che chi mi aveva amata non faceva altro che detestarmi e umiliarmi. Ma fortunatamente avevo un po’ di amor proprio e lo minaccio, minaccio di iniziare ad urlare con tutti i miei polmoni se non mi avesse lasciata, fortunatamente vengo salvata da un rumore, mi lascia andare e io scappo. Lo racconto al coglione e mi risponde che “sei la solita esagerata, ma sì che sarà mai” e si mette a ridere. Non ne abbiamo più parlato.
Beh, sono stata aggredita di nuovo due anni dopo in Spagna perché ero in viaggio da sola e anche lì, nonostante i lividi, stessa risposta, stessa risata.
Secondo voi dopo cosa è successo? Alla terza non sono stata così fortunata da scappare.
Non so chi devo ringraziare per non essere distrutta. Fortunatamente lui è sparito ad un certo punto.
Ho perso più di 20 kg e ho avuto seri problemi psicologici, gestione della rabbia e continui esaurimenti nervosi. Il mio corpo si è lasciato andare allo sconforto.
Ne sono uscita parlandone, tirando fuori tutto. Ho iniziato ad andare in analisi e fortunatamente non sono mai venuta meno ai miei impegni lavorativi o universitari che mi hanno tenuta ancorata alla realtà.
Non racconto quasi mai la mia storia, anche perché non tengo a sentirmi dire “sì ma se te ne sono capitate così tante, te le vai a cercare” o “ma sono montature tue, dai…” ma se può aiutare a sensibilizzare, eccovela nuda e cruda.
Io non rinuncerò mai a viaggiare e non rinuncerò mai più a sentirmi una forza della natura. Nessuno mi toglierà mai più la mia libertà e voglio lottare con tutte voi affinché anche l’ultima donna di questo mondo sarà libera finalmente di essere e fare il cazzo che vuole senza il demone della paura che la insegue.


Oramai è passato tanto tempo e molte cose sono cambiate, ma ciò che è successo è ancora presente e vivo, e per quanto riguarda me, c’è la certezza che me lo porterò addosso fino alla tomba.
La conseguenza di aver avuto traumi ripetuti per vent’anni è quella di aver sviluppato un disturbo di personalità, con tutte le annesse difficoltà. Se fino a qualche anno ero convinta che fosse possibile guarire, qualche dottore mi ha fatto subito tornare con i piedi per terra. I disturbi della personalità non possono sparire, impari solo a gestirli, a gestirti. Fu un pugno in faccia…dopo il danno anche la beffa. La rabbia che ho addosso è tanta e più ho difficoltà nei rapporti interpersonali, nel regolare le emozioni e più penso che se avessi avuto un altro passato sarebbe stato tutto diverso.
Mio padre e mia madre si sono sposati perché in qualche modo obbligati, aspettavano me ed erano insieme da qualche mese, e le famiglie non avrebbero accettato né un aborto né un figlio fuori dal matrimonio. Parlo di famiglie di contadini del Sud che per vivere si sono trasferite al Nord nei ’60-’70, parlo di mentalità di capifamiglia e di donne relegate ad un ruolo, ma talmente ben ambientate da diventare caricaturali. Entrambe le famiglie poco istruite, mia madre viene cresciuta in una sorta di bolla, molte superficialità e convenevoli. Mio padre viene cresciuto a suon di cinghiate, e costretto a lavorare a 13 anni non riesce a terminare la scuola media. Si conoscono più avanti, mia madre poco più che ventenne e lui sulla trentina. Lui le faceva “la corte”, lei non partecipa mai al racconto di questa storia. Racconta papà ed è tutto talmente euforico che non la fa parlare…e io non capisco. Lei è contenta? È felice? Lui dice che c’era un’amica di mia madre che era innamorata di lei, allora lui l’ha allontanata violentemente dicendole che lei stava con lui e che non potevano più vedersi. Cosa puoi pensare quando tuo padre ti racconta ciò e tu non conosci ancora il mondo? Che sarà così che gira il mondo.
Sì sposano e si trasferiscono di fianco a mia nonna paterna, in una mega villa di famiglia con un sacco di parenti. Il paese è piccolo, c’è una forte componente religiosa e sia io che mia sorella veniamo costrette a partecipare al catechismo, ad andare a messa, all’oratorio. Gli anni passano e odio sempre più quel paese e la mia vita. Tutti sanno tutto, tutti conoscono mio padre e possono riferirgli quello che faccio, quindi io non faccio niente. Studio, vado in chiesa, non esco di pomeriggio e di sera perché mio padre non vuole. Se esco, mi porta e mi viene a prendere lui, non vuole che vada a dormire a casa di amiche. Sono in terza media, inizio a notare i problemi di casa. Mia madre passa le sue giornate a cucinare e a pulire, fa la spesa, riceve i soldi da mio padre per comprare ciò che serve a me e a mia sorella, ma lui è sempre scontento per quanto spende. Lei ha deciso di non lavorare per poterci crescere e mio padre accetta. Con il tempo lei perde completamente i contatti con il mondo del lavoro e non lo cerca più. Mio padre lavora da mattina a sera, non guadagna molto e si indebita fino all’osso. Ogni tanto tira di naso e si sbronza, e se torna a casa male e qualcuno contribuisce a farlo innervosire è un gran casino. Se da piccole a noi bambine non ci toccava, e vedevamo solo minacce, oggetti lanciati, mia madre in lacrime, da grandi tocca anche a noi. Soprattutto a me. Io non sto più zitta, l’adolescenza mi ha dato la forza di urlare il mio dissenso. Spesso interviene mia nonna, che sente urlare papà da casa sua, spesso finisco per terra, al muro, con le mani al collo o i capelli tirati, spesso ho paura di finire all’ospedale, come mamma.
Spesso desidero di ucciderlo. Col tempo lui diventa sempre più paranoico, ansioso e nervoso. Mia sorella non vuole mettere la cintura? Ferma la macchina in tangenziale, scende, apre lo sportello della sua portiera e la strattona dal braccio per terra. Mia madre va da una sua amica e spegne il telefono? Le toglie i soldi per noi, la minaccia di farla licenziare dal suo nuovo lavoro perché pensa che lo tradisca. Io vado alla mia prima manifestazione, a cui lui era contrario, con il mio primo ragazzo? Mia madre e mia sorella per difendermi finiscono spintonate a terra, io con la testa schiacciata contro il pavimento. La furia di mio padre si ferma solo quando irrompe in casa nonna e gli ordina di uscire. Lui esce fuori casa. Quella sera finirò di cenare in bagno, quella sera ho una crisi di rabbia e pianto. Mia sorella inizia ad avere disturbi alimentari, allucinazioni, finirà ricoverata in un istituto psichiatrico per le troppe volte in cui ha tentato di suicidarsi. Convinco mia madre a scappare di casa, un giorno prendiamo e andiamo via. Con il tempo troviamo una casa, un lavoro, io vado a vivere con il mio ragazzo in un’altra regione, i miei si separano.

Oggi ognuno di noi cerca di ricostruirsi una vita. Nascere in un contesto del genere, conoscere solo quella realtà e avere pochi contatti con l’esterno allontana solo la presa di coscienza, che sarà tarda e quasi fatale. Non so se definire me, mia madre e mia sorella delle sopravvissute, probabilmente sarebbe il termine più adatto. Le notti passate sveglie per paura di morire ci hanno segnate. Non pensavamo di riuscire ad uscirne. Non è così facile uscirne, a volte sembra impossibile, e a tutti quelli che giudicano tutte quelle donne che stanno con persone violente senza ribellarsi io dico di non parlare senza conoscere. Non permettersi di giudicare una situazione così delicata e complicata, perché chi non lo vive non sa. Non sa che a volte vorresti solo morire per non soffrire più. E mi permetto di dire a tutte coloro che sono uscite da una situazione del genere, che ce l’hanno fatta, di non demordere.


Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (prima parte)

Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (seconda parte)

Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (terza parte)

Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (quarta parte)

Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (quinta parte)

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