[DallaRete] Milano ist kein Berlin
La mia testa va un po’ indietro nel tempo.
“Milano come Berlino”.
“Milano come Berlino”, per mesi un mantra, per i mesi della campagna elettorale del 2011 di Pisapia.
Milano come Berlino, in quei giorni ne parlavo al bar con un compagno che mi diceva “ho vissuto in Germania, guarda che Milano come Berlino non è una buona prospettiva per noi. Significa, forse, il recupero temporaneo o meno di spazi ma tutto secondo regole e leggi. Nulla di rivoluzionario anzi proprio il contrario”.
Ecco forse le parole proprio non erano queste ma il senso sì.
Tre anni e rotti dopo, Milano non è diventata affatto come Berlino, non c’è niente del fermento culturale e della tolleranza sociale che anno reso la metropoli tedesca la capitale alternativa d’Europa.
Non solo bandi, sgomberi di centri sociali, tavoli farsa, percorsi privati di dialogo per l’assegnazione del Leoncavallo, ma anche allucinanti dichiarazioni sulla realizzazione di momenti informali di aggregazione, come le dichiarazioni di Granelli sullo sgombero di Proprietà Pirata o l’intervento contro il Botellon di venerdì 5 Settembre (“E’ un rave”, ha sentenziato, come se fosse un peccato mortale), che si tramutano in creazione di aree militarizzate per evitare che giovani si possano incontrare liberamente in una piazza.
La legalità è tornata la parola chiave delle politiche di governance del centrosinistra, e non solo quello targato Renzi (che di sinistra non ha nemmeno l’ombra della matrice culturale). Con l’affairw Valle a Roma per di più si è provato a mettere la parola fine anche ai virtuosi percorsi di messa in discussione delle maglie della giurisprudenza per creare nuove forme di legalità. Forme che mettessero al centro il “noi”, le persone, i beni comuni e tutto ciò ha valenza e utilità collettiva e non i tanti “io” delle speculazioni e degli interessi individuali. Non solo a Milano, non solo a Roma. E invece ci svegliamo ogni giorno con un nuovo sgombero, stavolta quello del Telos a Saronno.
Saronno, Milano, Roma, tutto il nostro paese e tutta Europa.
L’occupazione come pratica di opposizione ai processi neoliberisti in Italia è una lunga storia, globalmente è tornata con forza grazie alla grande stagione del 2011 e la spinta data dal percorso Occupy.
Due mondi si contrappongono sempre con più forza. Il mondo di chi sta in alto e guadagna sulle vite delle persone, sugli spazi e sui territori e su tutto ciò su cui si può guadagnare contro il mondo dei tanti che vivono il pianeta, hanno ingegno, sognano, soffrono, ridono, insomma appunto vivono.
Forse è superfluo dire che la politica è completamente al servizio del primo mondo.
L’autogestione, l’autonomia, l’alternativa sono alcuni degli strumenti di rivalsa del secondo mondo, purtroppo necessari ma non sufficienti.
Come spingere la politica a servire il secondo mondo invece che a dimenticarlo e/o reprimerlo?
Da quest’anno le risposte a questo interrogativo sono diventate più difficili.
I venti arancioni e i “movimenti” pentastellati (in Italia) hanno mascherato questa cesura e il solco tra la politica istituzionale(ed il mondo che difende, tutela e rappresenta) e il 99% della popolazione mondiale.
I luoghi e gli spazi del potere sono “altro” dalle nostre vite, occorre saperlo, marcarlo con forza, non privarsi di nessun tipo di strumento possa portare a vincere battaglie, ma sapersi altro, diversi e dall’altra parte.
Sapere anche quali sono i luoghi del potere per poter di volta in volta decidere come conflittualmente combatterli.
Scrivere queste righe oggi (ieri), il 10 Settembre del 2014, ovvero a vent’anni esatti da quella giornata milanese che con forza, coraggio e determinazione rifiutò divieti e limitazioni e permise di lanciare una lunga stagione di conflitti, occupazioni e immaginari fa molto riflettere.
Azioni eclatanti cambiano la storia non solo della propria città, così come scelte e decisioni importanti della quali occorre assumersene anche la responsabilità.
Quella stagione del Leoncavallo che tra la strenue difesa del 16/08/1989 e l’attacco del 10/09/1994 diede linfa e forza ad una generazione intera è un ricordo lontano, così come il “Quando ci vuole ci vuole”.
I ricordi si cancellano scrivendone di nuovi.
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