[DallaRete] Perchè ci “esponiamo”
Alcuni giorni fa, un gruppo nutrito di attivisti, avvocati, intellettuali e giornalisti (anche alcuni della nostra redazione) ha firmato un esposto rivolto agli enti nazionali e internazionali che hanno come scopo la tutela dei diritti umani. Il documento in questione ha come oggetto i maltrattamenti (ancora) presunti, subiti dai migranti, in alcuni centri di accoglienza, durante le operazioni di identificazione (in particolare, il rilevamento delle impronte). Servono, concretamente, iniziative come queste? La nostra risposta è, ovviamente, sì: in caso contrario non avremmo firmato. Ma cosa riescono a muovere? Ce ne parla Alesssandra Ballerini che, insieme con Fulvio Vassallo Paleologo, ha redatto il testo.
Lo facciamo da sempre. Lo ricordo da quando ho adulta memoria. Alcuni di noi sono sempre gli stessi da lustri. Altri nel tempo si aggiungono, pochi si sfilano.
Per noi non contano feste nè domeniche in famiglia. Non valgono distanze nè orari.
Veniamo contemporaneamente e costantemente sopraffatti dal medesimo sussulto di indignata vergogna, a volte, quasi, un conato. Incapaci, forse per superbia, forse per irriducibile ottimismo, di pensarci impotenti, ci agitiamo e compiamo, insieme, l’unica azione della quale siamo ormai esperti e capaci: ci esponiamo.
In termini sterilmente tecnici, bisognerebbe togliere il riflessivo. Ma nel nostro caso vale, non è errore.
Noi ci esponiamo non solo con lettere, denunce, segnalazioni, inoltrate con ogni mezzo che si ha a disposizione, dal telefono alla posta certificata, dalle mail, al deposito in tribunale.
Noi ci esponiamo con tutto noi stessi. Facendo scudo spesso con le nostre firme, le nostri voci, le nostre immagini direi a volte i nostri corpi, a chi non avrebbe voce o rischierebbe di essere zittito o rimosso malamente.
Non che a noi non succeda. Ma almeno noi, finora, godiamo di diritto di cittadinanza, di una qualche meritata credibilità presso alcune istituzioni, di solide amicizie, e dunque possiamo come spesso ci succede, essere ignorati o intimiditi ma il respingimento e la tortura ci sono certamente evitati.
Nulla di eroico dunque. Anzi.
La nostra esposizione risponde ad un bisogno nostro, egoistico e intimo, di partecipazione e coincide con un impulso incontenibile di giustizia.
Siamo, tra noi, molto diversi per provenienza, cultura, fede, percorsi e professioni. Ma siamo uniti dalla consapevolezza dell’indivisibilità dei diritti. Nessuna bontà, nè tantomeno nessun buonismo, solo la certezza che quando un diritto fondamentale viene violato ai danni di chiunque, siamo tutti molto più vulnerabili.
Tentiamo di difendere i diritti e i principi costituzionali principalmente per noi, perché li sappiamo nostri e li vogliamo integri.
Cosi quando nel 2004/2005 andavano di moda i respingimenti in Libia, noi si ricorreva alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo inviando fax scritti a mano da un bar di Lampedusa.
Quando, faticosamente sospesi i respingimenti in Libia, sono diventati abituali quelli verso la Grecia e da qui verso l’Afghanistan, di nuovo si fece ricorso, unendo saperi ed energie tra Palermo, Genova, Venezia, Roma, Trieste e Patrasso, fino a Strasburgo, e dopo 5 anni si ebbe finalmente giustizia.
E poi ancora nel 2011 cosi come nel 2013 fino a due settimane fa, si redigono documentati esposti per denunciare l’illegittima detenzione per settimane nei Cpsa di Lampedusa (e oggi anche di Pozzallo) dei profughi appena sbarcati, spesso anche minori. Nella speranza che qualche autorità finalmente ricordi al nostro Governo e alle nostre divise l’inviolabilità dell’art. 13 della Costituzione e dunque l’illegittimità della privazione della libertà in assenza di una previsione di legge, di un provvedimento formale e di una convalida giudiziaria.
Illegittimità ancora più grave se si accompagna a forme di violenza e coercizione finalizzate, come nel caso di Pozzallo, al fotosegnalamento dei profughi.
E intanto e sempre c’è chi tra noi instancabilmente prepara appelli, predispone interrogazioni parlamentari, produce e crea rapporti, reportage, interviste, spettacoli teatrali o documentari.
Molti di noi tra loro neppure si conoscono.
C’è chi interviene ad ogni sgombero di campo rom, chi impugna ordinanze razziste e demenziali come quelle “antiebola” o “antibivacco”.
Chi dal 1998 senza tregua nè cedimenti chiede la chiusura, e solo quella, dei Cpt ora Cie.
Chi monitora e denuncia la pessima accoglienza riservata ai richiedenti asilo che sconfina spesso da una parte nella truffa e nella corruzione (mafia capitale docet) e dall’altra nel trattamento inumano e degradante ai danni dei profughi “ospitati”.
Chi sbugiarda amministrazioni comunali che sigillano fontane pubbliche perchè “l’acqua la prendono gli zingari”, chi chiede le dimissioni di assessori alla cultura che invitano i giovani studenti mussulmani a fare pubblica ammenda “perchè se non e’ vero che tutti i mussulmani sono terroristi è vero che tutti i terroristi sono musulmani” (!).
C’è chi ha segnala alla Carta di Roma gli innumerovoli articoli o servizi “giornalistici”, scorretti, falsi e razzisti.
Alcuni trascorrono giorni e notti di pura ansia a raccogliere gli Sos lanciati dai profughi in mare e ad inoltrarli instancabilmente alla guardia costiera.
Altri studiano e scrivono tutto lo scibile in tema di diritti umani e rendono il loro sapere generosamente accessibile a tutti.
C’è chi ricarica cellulari, raccoglie scarpe e vestiti, cucina zighinì a chili, chi percorre chilometri per far visita a centinaia di sconosciuti raccolti nelle stazioni, nei parchi, in tendopoli o centri per nulla accoglienti.
E poi racconta tutto quello che ha visto restituendo voce e dignità ai visitati, rinchiusi o esclusi.
Sembra a volte che nulla cambi. Che ogni sforzo sia vano. Ma se oggi , grata e fiera, penso a quel “noi” lo riconosco più forte e consapevole, certamente più ricco, a tratti quasi invincibile.
Noi ci esponiamo, perchè non sappiamo fare altro ma, insieme, lo sappiamo fare bene.
Alessandra Ballerini
http://www.corrieredellemigrazioni.it/2015/05/12/perche-ci-esponiamo/
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