[DallaRete] Sulla giustizia, sul rumore dell’indignazione e su quello che vi assorderà.
Pubblichiamo un altro contributo al dibattito di movimento dopo il corteo antifascista di sabato a Cremona seguito all’assalto fascista al centro sociale Dordoni ed al grave ferimento di Emilio. Come già fatto in precedenza (link all’articolo su foggia che conteneva i link agli altri articoli) vogliamo dare spazio a quelle riflessioni (alcune tra le tante) che sentono il bisogno di inserire elementi di analisi rispetto alle pratiche politiche dei movimenti. In questo caso, in particolare, ci preme evidenziare il ragionamento che sviluppa parallelismi tra Cremona e la sentenza contro i No Tav. Che il dibattito continui.
La Redazione di Milano in Movimento
24 gennaio 2015, a Cremona si danno appuntamento quasi 10000 antifascisti da tutta italia, l’occasione è doverosa quanto dolorosa, domenica scorsa 60 fascisti appartenenti a Casapound hanno assaltato il csa Dordoni riducendo in fin di vita un compagno che ora lotta per la vita. Il corteo si pone l’obbiettivo di chiudere la sede cittadina dei fascisti, già responsabili di aggressioni e di intimidazioni che, oramai dovrebbe essere chiaro, sono diventate un reale pericolo. La polizia dispiega il suo consueto dispositivo repressivo a difesa della suddetta sede impedendo di fatto lo svolgersi del corteo.
La rabbia dilaga, si tenta più volte di praticare l’obbiettivo, non ci si arrende e si resiste, alla fine della battaglia i lacrimogeni sparati saranno stati oltre 460, la sede non viene raggiunta. Sul ritorno vengono prese di mira banche e finanziarie, sistematicamente sanzionate.
27 gennaio 2015, a Torino si tiene il maxi processo in cui sono chiamati a giudizio attivisti No Tav per i fatti del 27 giugno e del 2 luglio 2011, quando un popolo intero decise di fare resistenza attiva per difendere la loro terra e le loro vite, contro chi vorrebbe depredarle e distruggerle.
Il risultato sono 142 anni e 7 mesi di condanne, per 47 imputati, 6 assoluzioni e 150 mila euro da pagare.
Due episodi che qualcuno potrebbe considerare slegati o al massimo accomunati da una qualche specie di background culturale, magari quello dell’antagonismo e dei centri sociali dipinto dai telegiornali: quelli degli scontri intorno al cantiere e dei cortei in cui si bruciano le macchine e (per l’appunto) si spaccano le vetrine.
Vogliamo invece tentare un collegamento diverso, creare un legame logico “altro”.
Proviamoci partendo dalle reazioni di quelli che giudicano e poi sentenziano, non solo in televisione o sui giornali, ma anche quelli che emettono giudizi che poi schiacciano ed opprimono intere esistenze, nelle procure e nei tribunali. Abbiamo da una parte l’opinione pubblica e dall’altra la giustizia. Due categorie basilari della società contemporanea, considerate in questo frangente come istituzioni che emettono sentenze, sentenziano in senso sia stretto che figurato.
Ritornando ai fatti, a Cremona la città vive sulla sua pelle di cemento e vetro l’inasprirsi del conflitto sociale, la solitamente tranquilla e dormiente aria di provincia viene sostituita dall’odore acre e soffocante del cs. Si verificano episodi di violenza contro i luoghi simbolo del capitalismo, le banche vengono attaccate e le vetrine infrante. Pratica vecchia, decisamente obsoleta, purtroppo attuale in periodi di crisi economica (crisi oramai definitivamente portata a status permanente), certo non risolutiva in senso stretto, ma pur sempre una pratica che quantomeno riconosce ed identifica un nemico nell’atto stesso del suo esercitarsi.
Un piccolo risultato per tanto rumore, rumore che non tarda a farsi assordante.
Il giorno dopo i giornali locali e non solo denunciano una vero e proprio sacco di Cremona, la società civile si indigna si dissocia, si alza e abbandona la sala senza gran dignità.
Tutti chiedono giustizia, qualcuno deve pagare. Si additano i soliti centri sociali (per non parlare dei B.B.), il giudizio su chi è il colpevole è inappellabile e la sentenza non è scritta ma è stata emessa.
Ieri c’è stato invece un’altro processo, quello di Torino, è stata emessa un’altra sentenza, questa volta scritta e fin troppo chiara. 47 attivisti no tav vengono condannati a 142 anni di reclusione per la loro partecipazione alla resistenza in Val di Susa contro l’opera che la vuole distruggere: il Tav.
Qua è bene fare un piccolo approfondimento, cosè una grande opera inutile e dannosa?
Il nome stesso ce lo dice, è una enorme (sia nella sua estensione materiale sia nelle sue ricadute) operazione (fisica ma anche finanziaria e speculativa) completamente inutile (nel suo non essere in nessuna forma necessaria alla società che la dovrà ospitare) e sopratutto dannosa (perché divora e depreda risorse che dovrebbero essere destinate alla società, alla sopravvivenza degli individui verrebbe da dire). Questo è il tav, o l’expo di milano o la brebemi, privazione di risorse della collettività a favore di pochi (tra quei pochi le banche di cui sopra).
Un discorso astratto, ma se ci si ferma a rifletterci, terribilmente reale.
Diventa allora evidente come sia ipocrita e semplicistico scagliarsi contro la pratica così materiale e visibile (quindi facilmente attaccabile) delle vetrine rotte, molto meno facile farlo quando si parla di speculazioni, di operazioni che ci privano di un futuro e ci condannano ad esistenze precarie. E lo fanno violentemente, con la violenza della giustizia vendicativa dello stato, che strappa persone alla loro vita e le chiude in una cella.
42 persone per 142 anni.
Sono passate più di 24 ore dalla sentenza, stiamo ancora aspettando che monti l’indignazione per questa violenza, che inizi il rumore.
Anzi no, noi non siamo gente che aspetta, ci sentirete arrivare.
Solidarietà al csa Dordoni, solidarietà ai condannati del maxiprocesso No Tav, senza nessun rimorso, con tanta complicità.
Tag:
assalto centro sociale dordoni cremona fascisti lacrimogeni polizia scontri