Due morti e decine di feriti ma la protesta palestinese non si spegne
Gerusalemme/Territori occupati. Nuova giornata di manifestazioni e scontri con l’esercito d’occupazione israeliano. Ancora a Gaza le due vittime palestinesi. Abu Mazen, ricevuto ieri da Macron, ribadisce che non accetterà alcun piano americano e che gli Usa non potranno più mediare in un negoziato futuro.
«Non è razionale quello che ha fatto Trump, non si regala tutta Gerusalemme a una parte negando i diritti dell’altra. Esistono le leggi, i negoziati, il rispetto dei popoli. E non si minacciano gli altri Paesi sono perché non sono d’accordo con la tua linea». Umar Awad prova a spiegarci ciò che pensa della crisi internazionale che il presidente americano ha scatenato riconoscendo lo scorso 6 dicembre Gerusalemme come capitale di Israele. Umar, un insegnante di Sur Baher, qualche minuto prima ha pregato in al Aqsa, poi assieme al fiume umano, che il venerdì al termine delle preghiere dalla Spianata delle moschee sfocia nelle stradine della città vecchia, è giunto alla Porta di Damasco. «Noi palestinesi siamo per il rispetto delle leggi e delle regole, come è stato deciso ieri (giovedì) alle Nazioni Unite», ci dice mentre decine di poliziotti israeliani in assetto antisommossa e armati di mitra ultramoderni sorvegliano i fedeli che salgono la scalinata che porta a via Sultano Solimano. Intorno la tensione è forte ma la “Giornata di sangue” invocata dalla leadership del movimento islamico Hamas non sembra coinvolgere Gerusalemme.
Ben diverse sono andate ieri le cose in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, teatro di una nuova sollevazione contro Trump e l’occupazione militare. Non è chiaro se si stia innescando, gradualmente, una nuova Intifada palestinese. Di sicuro continua la mobilitazione popolare e non solo il venerdì dopo le preghiere islamiche. Nelle strade dei Territori occupati sono di nuovo scesi migliaia di palestinesi, l’ha confermato lo stesso esercito israeliano che usa sempre più forza letale. Soprattutto lungo le linee di demarcazione con Gaza dove si spingono i palestinesi durante le proteste. Due giovani, Zakaria Kafarna, 23 anni di Beit Hanun, e Mohammed Muhsen, 27 anni di Khan Yunis, sono stati uccisi da colpi sparati dai soldati. Almeno venti i feriti, tra questi Mohammed Abu Najar, un avvocato 27enne che partecipava alle proteste vestito da Babbo Natale. Salgono a dieci le vittime palestinesi dal 6 dicembre, quasi tutte di Gaza. Intense nuvole di fumo di gas lacrimogeni si sono sprigionate anche in Cisgiordania: a Khader, Betlemme, Tulkarem, Qalqiliya, Hebron, Beit Ummar, Huwara (Nablus), al Bireh, Ramallah e molte altre località. Il ministero della salute palestinese ieri ha fornito un bilancio parziale di 2 morti e 70 feriti, alcuni dei quali gravi. Lo stesso ministero riferisce di oltre 3mila palestinesi feriti nelle ultime tre settimane. Ed è di queste ultime ore la denuncia di Amnesty International dell’uso eccessivo della forza e di armi da parte di Israele nonostante la vita dei suoi soldati non sia stata in pericolo durante la manifestazioni.
Ieri è riemerso, dopo giorni di silenzio, il leader di Hamas a Gaza e tra i fondatori del suo braccio armato. Yahya Sinwar durante un discorso trasmesso da Al Aqsa Television, ha chiesto alla popolazione di Gerusalemme, della Cisgiordania ed ai palestinesi nel mondo di passare all’azione. «Che venerdì sia il punto di svolta decisivo nella lotta del nostro popolo per annullare la decisione di Trump», ha detto Sinwar esortando ad attaccare l’esercito e i coloni israeliani. È da notare che la chiamata all’Intifada fatta da Sinwar era rivolta in particolare alla Cisgiordania, dove esercita la sua (limitata) autorità il presidente dell’Anp e del partito Fatah, Abu Mazen. Hamas prova ad usare la sollevazione contro la dichiarazione di Trump per minare le fondamenta dell’Anp e del residuo potere di Abu Mazen? Questa ipotesi è al centro delle discussioni interne in questa fase politicamente delicata. Certo è che la riconciliazione tra Fatah e Hamas è sull’orlo del baratro. Sinwar ha ribadito che il suo movimento non intende tornare a governare Gaza avvertendo però che «Il progetto di riconciliazione sta andando a pezzi. Solo un cieco può non vederlo». E lo stesso Abu Mazen ieri ha ammesso che vacilla l’accordo raggiunto al Cairo dal suo partito con i rivali di Hamas.
La svolta “radicale”, come la descrive qualcuno, di Abu Mazen dopo la dichiarazione di Trump non sta favorendo l’avvicinamento del presidente palestinese al movimento islamico. Hamas non è impressionato dalle dichiarazioni contro gli Usa e Israele che Abu Mazen va facendo in ogni capitale estera da un paio di settimane. Ieri durante una conferenza stampa congiunta a Parigi con il presidente francese Macron, Abbas ha ripetuto «Non accetteremo nessun piano di pace degli Stati Uniti a causa del loro spirito di parte…Gli Stati Uniti si sono auto-squalificati con questo annuncio, non sono più un mediatore onesto nel processo di pace». Il leader palestinese ha criticato anche gli avvertimenti fatti da Washington contro chi ha votato a favore della risoluzione Onu. Quindi ha accusato Trump di aver incoraggiato «l’illegale disgiunzione tra le due città sante di Betlemme e Gerusalemme, separate per la prima volta in oltre duemila anni di Cristianità». Macron ha convenuto che «Gli americani sono emarginati» ma ha anche avvertito che la Francia non riconoscerà unilateralmente lo Stato di Palestina come gli ha chiesto Abu Mazen.
Israele intanto è in contatto con diversi Paesi che stanno “seriamente considerando” di riconoscere Gerusalemme come sua capitale, seguendo l’esempio di Washington. Lo ha detto il primo ministro Benyamin Netanyahu, intervistato dalla Cnn. Il premier non ha rivelato di quali Stati si tratti. Ieri il presidente del parlamento rumeno, Liviu Dragnea, ha dichiarato che Bucarest dovrebbe “considerare con attenzione” il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme e nella Repubblica Ceca, il presidente Milos Zeman è favorevole a questa ipotesi mentre il governo frena.
di Michele Giorgio
dal Manifesto (23/12/2017)
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