Milano è in debito con Dax
Sabato 16 marzo saranno passati esattamente dieci anni da quella notte del 2003, quando Davide “Dax” Cesare, militante del centro sociale O.R.So., fu aggredito e ucciso da alcuni neofascisti. Una notte allucinante, una “notte nera”, iniziata con le lame di via Brioschi e terminata con l’incredibile violenza poliziesca all’ospedale San Paolo. Dieci anni dopo i compagni e le compagne di Dax e il movimento milanese lo ricordano con tre giorni di iniziative il 15, 16 e 17 marzo, al cui centro ci sarà il corteo nazionale di sabato 16 marzo (h. 15.00, in piazza XXIV Maggio). Ma la storia di Dax non riguarda soltanto familiari, amici, compagni e al massimo l’antagonismo milanese, anzi, la storia di Dax riguarda tutta la città. A distanza di dieci anni, infatti, Milano non ha ancora fatto i conti con quella notte. E penso sia ora che inizi a farli seriamente, che Milano provi a saldare il suo debito con Dax e con quanti e quante allora subirono violenza.
Per la tre giorni di iniziative del 15-16-17 marzo il sito di riferimento è http://daxvive.info/, per sapere cos’è successo il 16 marzo 2003, nel caso non lo sapeste, vi consiglio di leggere Dax, la storia, a cura di Milano in Movimento.
Qui di seguito, invece, trovate un mio ricordo, una mia riflessione, perché appunto penso che Milano abbia un debito da saldare, con Dax e con se stessa.
Milano è in debito con Dax
Milano è in debito con Dax e con tutti quelli e quelle che nella notte tra il 16 e 17 marzo 2003 subirono violenza, prima in via Brioschi e poi all’ospedale San Paolo. A distanza di dieci anni, infatti, Milano non ha ancora fatto i conti con quella nottata, con l’omicidio fascista di Davide Cesare e con l’ingiustificabile violenza poliziesca.
Beninteso, molti e molte sanno come sono andate le cose e conservano memoria, nel cuore o nelle lotte, ma sono comunque troppo pochi. Sono, siamo minoranza in una città dove a Dax, ai suoi familiari e ai suoi amici, sono stati per lunghi anni negati persino la memoria pubblica e quel minimo di rispetto che si è soliti riconoscere a chiunque sia stato assassinato. E non mi riferisco tanto e soltanto a una verità giudiziaria che non fa giustizia, che non restituisce la storia vera di quella notte, benché questa fosse nitidamente rintracciabile negli stessi atti processuali relativi al San Paolo, ma anche e soprattutto a quel militante e miserabile contrasto da parte dell’amministrazione comunale di centrodestra, specie del suo vicesindaco, contro ogni manifestazione pubblica di memoria.
Il risultato di tutto ciò è che oggi la maggioranza dei milanesi non sa nulla di Dax oppure che ricorda solo vagamente una storia che c’entra un fico secco con la realtà dei fatti, che parla di una rissa davanti al bar finita male e poi di un’altra rissa ancora davanti a un ospedale, di gente che voleva trafugare un cadavere, di forze dell’ordine aggredite o cose del genere. Insomma, siamo dispiaciuti per il ragazzo, ma la politica non c’entra e, certo, però, questi centri sociali fanno sempre casino.
Un bel rovesciamento della realtà, un fulgido esempio di revisionismo storico in tempo reale, frutto non della spontaneità delle cose, ma di atti soggettivi e consapevoli di alcuni e di troppi silenzi di altri. E oggi, penso, sia necessario e giusto ricordare tutto ciò, perché i dieci anni che abbiamo alle spalle a Milano sono stati anche questo, cioè insulto, negazione, silenzio, arroganza, viltà e miseria del potere. È stato come voler uccidere Dax una seconda volta e il fatto che non ci siano riusciti non rappresenta in alcun modo un attenuante.
Frugo nella mia memoria e viene fuori quella che potremmo chiamare la guerra dei murales, combattuta tra il 2007 e il 2008. Poca cosa, potrebbe pensare qualcuno, invece no, almeno per me, perché in realtà si è trattata di guerra alla memoria. Ma andiamo con ordine.
Alla Darsena c’era un murale che ricordava Dax. Nulla di strano, era il suo quartiere, il Ticinese. Il murale non dava fastidio a nessuno e non c’era nemmeno un cantiere da aprire in quel posto, ma aveva un difetto: si vedeva bene. Era una specie di monito, perché significava che non si era disposti a dimenticare. E così, un bel giorno di inizio settembre del 2007 a Palazzo Marino decisero che questo murale non era ulteriormente tollerabile, che andava ristabilito il silenzio. Cioè, il Comune di Milano lo fece cancellare, ovviamente in nome del “decoro urbano”.
Sì, lo so, ora qualcuno dirà che la politica non c’entrava niente, che era normale che il Comune cancellasse murales e scritte. Invece no, anzi, nella prassi dell’allora Sindaco Moratti e, soprattutto, del suo vice De Corato il “decoro urbano” era molto selettivo. Ne sapeva qualcosa l’Anpi milanese, che proprio in quel periodo si rivolgeva ripetutamente al Comune per sollecitare, inutilmente, la cancellazione di scritte ingiuriose contro la Resistenza o inneggianti al fascismo. E poi, anche se fosse stato consuetudine cancellare scritte e murales, il decoro civile e morale avrebbe consigliato di rispettare la memoria di un ragazzo assassinato nel quartiere soltanto quattro anni prima.
E poi, va ricordato il clima di quegli anni, il bieco revisionismo storico che la faceva da padrone a Palazzo Marino, alimentato principalmente dalla voglia di rivincita degli ex missini, raccolti in An e capeggiati dal longevo vicesindaco De Corato, ma che coinvolgeva direttamente anche gli allora Sindaci berlusconiani, sia Gabriele Albertini che Letizia Moratti.
I murales che ricordavano giovani di sinistra ammazzati dai fascisti o dalle forze dell’ordine non li sopportavano proprio e, infatti, soltanto un mese dopo la cancellazione del murale di Dax sulla Darsena, in un’altra zona della città il Comune avrebbe fatto cancellare anche un murale dedicato a Carlo Giuliani. Ma successero fatti anche più gravi, dei quali voglio qui ricordare soltanto uno, anche perché le cicatrici di quella vicenda sono ancora ben visibili nel panorama cittadino.
Non vi è mai capitato di trovarvi in piazza Fontana in compagnia di conoscenti che, un po’ meravigliati, vi hanno chiesto “ma come mai ci sono due lapidi dedicate a Giuseppe Pinelli?”, con frasi simili, ma con significato chiaramente diverso. Già, perché ce ne sono due lì, una a firma “gli studenti e i democratici milanesi” che recita “Ucciso innocente nei locali della Questura di Milano” e l’altra, a firma del Comune di Milano, che recita invece “Innocente morto tragicamente nei locali della Questura di Milano”.
Ebbene, le cose andarono così: una notte di marzo del 2006, come i ladri di pollo e su ordine del Sindaco Albertini, gli uomini del Comune rimossero la lapide originaria, quella degli studenti e dei democratici, che si trovava lì dal 1976, e la sostituirono con una nuova, del Comune, che appunto raccontava un’altra verità. Per fortuna, la provocazione di Albertini non passò, ci fu una sana reazione e alcuni giorni più tardi, il 23 marzo, militanti anarchici e della sinistra milanese, ricollocarono la vecchia lapide, di cui esisteva un’altra copia, al suo posto. Da allora, appunto, in piazza Fontana ci sono due lapidi, quella giusta, che parla della verità storica e della memoria dei milanesi, e quell’altra, che parla della totale mancanza di rispetto e dell’assenza di spessore morale degli amministratori milanesi di allora.
Ma torniamo al murale di Dax sulla Darsena, la cui cancellazione si inserisce certamente in un quadro più generale, ma che tuttavia conserva una sua specificità, o meglio, una sua specifica miseria. Già, perché si può ben comprendere che i revisionisti, post-fascisti o berlusconiani che fossero, alzassero il tiro su vicende storiche che rappresentano momenti e fatti costituenti della memoria di un’intera nazione, come la Resistenza contro il nazifascismo o la strage di Piazza Fontana, ma perché prendersela così tanto con la memoria di Dax? Già, perché la vicenda del murale di Dax mica era finita lì.
Come già successe l’anno precedente nel caso della lapide di Pinelli, anche gli amici di Dax non fecero mancare la loro risposta e in occasione del quinto anniversario dell’omicidio di Davide il murale tornò sulla Darsena. Ovviamente, nessuno si faceva troppe illusioni sul comportamento del Comune e un po’ tutti si aspettavano che prima o poi De Corato avrebbe preso un’altra delle sue iniziative. Prima o poi sì, ma nessuno, almeno credo, si aspettava che il Comune avrebbe scelto la maniera più provocatoria possibile per cancellare il murale appena rifatto. Infatti, l’operazione “decoro urbano” scattò la mattina del 17 marzo 2008, cioè a poche ore dalla fine delle iniziative e mobilitazioni in ricordo di Dax e senza nemmeno fare finta di rispettare almeno il dolore dei familiari.
Ormai era chiaro, la memoria di Dax era diventato un obiettivo legittimo della guerra culturale ed ideologica degli ex missini. E, infatti, appena una settimana più tardi toccò anche a un altro nuovo murale che nel quartiere ricordava Dax, cioè quello di piazza Vetra. In quel caso, agli occhi degli ex-neo-post fascisti che popolavano l’amministrazione cittadina, c’era anche l’aggravante che il murale in questione non si limitava a ricordare Dax, ma comprendeva anche un omaggio al comandante partigiano Giovanni Pesce, deceduto nell’estate precedente.
Ma appunto, perché prendersela tanto con la memoria di Dax? In fondo, una qualsiasi amministrazione cittadina appena decente, anche se non amica, avrebbe potuto scegliere un’altra strada, versare qualche occasionale lacrima di circostanza e concedere qualche murale in qualche angolo della città. Invece no, hanno scelto la guerra, senza forse nemmeno accorgersi che così facendo si sono mostrati uomini e donne molto piccoli e insignificanti. Non credo che ci sia una risposta unica per spiegare questo comportamento, perché in tutto questo c’è sì la lotta per l’egemonia culturale, ma ci sono anche delle cose molto più banali e squallide, che tutti gli ex o i post non riescono a lavare, e ci sono, ovviamente, le complicità con i gruppi militanti dell’estremismo di destra, che si traducono in copertura politica o concessione di strutture pubbliche.
E poi, diciamoci la verità, in quegli anni non c’è stata soltanto l’ostilità delle destre, ma anche il troppo silenzio dall’altra parte. La battaglia per mantenere viva la memoria di Dax è stata spesso condotta da pochi e accompagnato dal silenzio o dall’indifferenza di molti. E anche questo fa parte del problema, perché i silenzi, le sottovalutazioni, il nascondere la testa sotto la sabbia si sarebbero poi riprodotti anche in altre occasioni ritenute evidentemente “scomode”, come nel caso dell’omicidio razzista di “Abba” Abdoul Guibre nel 2008.
La storia di Dax è una storia milanese. Il 16 marzo 2003 Davide Cesare non è caduto vittima di rissa, ma di un’aggressione fascista. Lui e chi era con lui non furono attaccati a caso, ma perché antifascisti. Al San Paolo non ci fu alcuna difesa da parte delle forze dell’ordine, bensì una violenza poliziesca ingiustificata e ingiustificabile, non dissimile da quella che vivemmo a Genova nel 2001. Questa è la verità che non solo il movimento conosce, ma che anche i fatti ci consegnano. Eppure, lunghi anni di negazioni, di riscritture, di cancellazioni e di silenzi, a volte complici, a volte solo ingenui, hanno fatto sì che questa verità sia oggi ignorata dalla maggioranza dei milanesi.
Credo sinceramente che dieci anni dopo sia giunto definitivamente il tempo che Milano saldi il suo debito con Dax, con la memoria e con chi ancora oggi è costretto a pagare il prezzo delle menzogne. Ed è una questione che riguarda tutti e tutte, istituzioni, stampa, forze organizzate, cittadinanza. È una questione che riguarda Milano.
di Luciano Muhlbauer
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