22 cose importanti da ricordare, quasi quanto 22 sgomberi…

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1) Arrivati a questo punto (metà circa) dell’Escalation Tour crediamo sia utile tornare su alcuni ragionamenti sottintesi e fondamentali di questa campagna che, lo abbiamo visto in queste settimane, corrono il rischio di essere fraintesi, mal-interpretati, non colti o volutamente tralasciati. Non solo: aggiungiamo a quanto detto fino a questo momento alcune informazioni e spunti in più, per arricchire il dibattito – e per chi vuole anche l’azione!

2) Una collezione di Spazi: arrivati ai primi giorni di Settembre 2014, come realtà costituenti un’area politica cittadina (Milano in Movimento, Zam, Lambretta, Casc, Rete Studenti Milano, Dillinger Project, Collettivo Bicocca), ci siamo trovati nella spiacevole situazione di aver subito due sgomberi (entrambi durante l’estate) dei nostri spazi sociali, ZAM e Lambretta. Ci trovavamo di fronte ad una scelta piuttosto semplice: abbandonare l’idea di avere uno o più spazi di riferimento oppure provare a riconquistare degli spazi e rilanciare la nostra presenza in città. Ricostruire la nostra collezione di spazi, ri-occupare una casa per ZAM e Lambretta e magari anche qualcosa in più. E soprattutto, restituire vita ai progetti politici e sociali che in essi vivevano.

3) La moda, lo stile, l’abito: abbiamo scelto i claim della nostra campagna, gli hastag per guidare i flussi di notizie, il titolo. Abbiamo scelto di indossare l’abito ”buono” non (solo) per bucare lo schermo mediaticamente, né per avere un lasciapassare comodo per entrare nel fisso e triste “stato mentale” dei cittadini medi della nostra città. Ci siamo “vestiti” perché volevamo darci una forma comunicativa comune che fosse facilmente replicabile, come di fatto è stato, da chiunque condividesse le nostre idee e le nostre condizioni e ancor di più per avere una cifra di riconoscimento fondamentale affinché la campagna diventasse dall’essere bella, all’essere coinvolgente al di fuori della nostra realtà, qualcosa che ambisse, senza alcuna pretesa di riuscirci, a diventare storia, e da qui l’idea di cambiare d’abito, cambiare stile. Ma anche, molto semplicemente, ci siamo cambiati d’abito perché “l’abito non fa il monaco” e ci piace giocare, divertirci, spiazzare.

4) Plus militant, plus elegant: giocare con le forme e i simboli, le forme di comunicazione prescritte dalla società è il nostro forte. Per chi fa Movimento, per chi lotta contro il potere (che si vorrebbe) unico e monolitico, sapersi modificare, trasformare, in modi e maniere differenti è una necessità per essere sfuggenti mantenendo l’efficacia delle proprie azioni. Ancora di più, creare confusione, contraddizione, stupore, con accostamenti paradossali di immaginari, significa essere anche in grado di rappresentare la miriade di contraddizioni esistenti nella realtà, non omologabili o normalizzabili secondo le esigenze di normalizzazione del potere. Per una volta quindi abbiamo abbandonato gli abiti comodi di tutti i giorni, che per semplicità, deformazione abitudinaria o scelta di protesta indossiamo, per dare luce ad un più forte messaggio comunicativo; anche se completamente diversi da come ci pensate solitamente, facciamo lo stesso quello che vogliamo; facciamo quello che vogliamo anche quando credete che corrispondiamo completamente ai vostri canoni. Ci siamo “vestiti” perché vogliamo dare la forza complessa e non semplificabile della contraddizione alle nostre azioni, sfondare porte con il tailleur o tagliare sbarre d’acciaio in doppio petto ha sicuramente un valore comunicativo molto più forte, in questo momento, di un’azione politica comunemente intesa, che possa avere come riferimento di immaginario lo stesso che anni caratterizza il movimento.

5) Ci siamo “vestiti” ma nessuno indica un vestito “giusto”. Noi che siamo i primi a combattere il pensiero omologato, certo non ci mettiamo a dire che la nostra “moda”, il nostro stile, possono o devono essere gli unici o essere i soli: ognuno indossi l’abito che preferisce e i metodi, le parole, i concetti e le idee che lo contraddistinguono. L’unico abito sempre “giusto” è quello del conflitto, dell’azione, del fare, del mettere in moto processi di cambiamento e riappropriazione.

6) Ci siamo “vestiti bene” perché crediamo fermamente che la capacità migliore dei movimenti sia quella di cambiare e di cambiarsi, mettere in scena, preformare, di volta in volta, una forma diversa di comunicazione, alzando sempre il più possibile il livello dell’affronto al potere, della radicalità delle azioni, del conflitto. Ci siamo “vestiti bene” perché vogliamo e possiamo essere qualcosa di diverso ogni volta senza mai perdere noi stessi, perché le nostre rivendicazioni di spazi, autogestione e libertà sono sempre state chiare, come le nostre azioni e posizioni politiche. Essere chiari e coerenti alla propria storia e alle proprie ideologie non significa però essere per forza sempre uguali a se stessi o addirittura doversi ancorare a forme o codici di espressione, talvolta completamente logori e inutilizzabili.

7) Perché occupiamo ancora? Perché in questa città non ci sono ancora alternative soddisfacenti alle forme di riappropriazione di spazi che permettano di mantenere lo stesso tipo di libertà nella critica, nell’organizzazione, nella partecipazione e nel livello di autogestione. Perché continuiamo a essere sgomberati, mentre preferiremmo che la giunta comunale riconoscesse il valore dell’autogestione e dei suoi percorsi, avviando forme e pratiche di riconoscimento degli spazi e dei soggetti informali che popolano la città senza che essi debbano modificare la propria forma di vita e di esistenza.

8) Non vi siete stancati di questo continuo occupare, esser sgomberati, rioccupare…? E ti pare che non ci siamo stancati? Certo che si! Ma che razza di domande sono? Certo che siamo stanchi, se con questo si intende che siamo stufi di subire sgomberi pretestuosi e immotivati, che è faticoso ricominciare ogni volta da zero e rimettere in piedi progetti, attività, attrezzature. Ma se per caso qualcuno intendeva se non sia più opportuno lasciar perdere…allora no, non siamo per niente stanchi e non ci fermeremo mai!

9) Occupare la cosa giusta. La pratica dell’occupazione non è volta a trovare il miglior compromesso con il proprietario dello stabile nè con la città intesa nella sua più complessa forma di relazioni di potere. Si occupa con un preciso fine politico, per un progetto politico che di volta in volta viene scelto con cura. Occupare uno stabile come quello dello Spazio Forma non è stato né casuale né un errore, come non lo fu occupare da parte nostra l’ex Borsa del Macello, l’ex Avery Berkel, l’ex Scuola media Giulio Cesare o da parte di altri la Torre Galfa, il Cinema Maestoso, La Bottiglieria, la Stamperia…

10) Occupare il lusso, il centro, il bello. Qualcuno pensa e dice che – insomma – lo Spazio Forma era troppo centrale e lussuoso perchè fosse pensabile di rimanerci… Noi rispondiamo che non amiamo accontentarci! C’è chi disse “diritto al lusso e all’ozio”, chi scrisse “vogliamo il pane e anche le rose”, noi semplicemente affermiamo che la nostra idea di giustizia sociale, di ricchezza condivisa, non è “lo stretto indispensabile per tutti”! In una città che sempre più espelle e confina i deboli dentro le riserve-ghetto e perimetra gli spazi esclusivi per i suoi pochi eletti, noi vogliamo essere un elemento di rottura anche da questo punto di vista, una falla nel muro che traccia i confini tra inclusi ed esclusi. Perché la nostra lotta non è per ottenere la possibilità di mendicare le loro briciole: noi vogliamo liberare, prenderci e condividere l’intera tavolata, la cucina, la dispensa e tutta la cambusa!

11) Occupare è una cosa giusta. Occupare spazi di valore economico, simbolico, politico ha sempre il senso di evidenziare quanto la governance della città sia fallimentare nella gestione dei propri spazi e delle proprie strutture. Il fallimento dello Spazio Forma è un fallimento innanzitutto della città che lo ospitava e di chi la governa, incapace di valorizzare uno spazio culturale e supportarlo al meglio. Il fallimento dello Spazio Forma è il fallimento del proprietario dello stabile, ATM, controllata comunale e quindi facente parte del patrimonio comune dei cittadini di questa città, il quale non ha saputo ancora dare uso di valore sociale allo stabile, dopo che ha sfrattato per “morosità” un ente culturale di valore, preferendo quindi una gestione di mercato piuttosto che valorizzare un progetto come quello del Forma.

12) Il problema è chi sgombera. ZAM, Zona Autonoma Milano ha incassato lunedi 29 settembre il terzo sgombero della sua storia. Tutti gli sgomberi si sono compiuti nella più totale assenza di prese di posizione pubbliche da parte dei massimi referenti della Giunta comunale. Sono tre sgomberi del totale di 22 (VENTIDUE) sgomberi della giunta Pisapia. Da guinness dei primati.

13) Il problema è come sgombera. Sono sempre state usate scuse e complicazioni inesistenti per giustificare il comportamento della Giunta, che è stato di volta in volta: silente (assente?), obbligato (imbarazzato?), forzato (spaesato?), impotente (Sindaco della seconda città d’Italia?). In via Olgiati si trattava di stabile privato, quindi dissero che era impossibile per il Comune intervenire; in Largo Don Andrea Gallo 1 (ex via Santa Croce 19) erano questioni di sicurezza edilizia, troppo pericolosa la nostra permanenza in quello stabile, che però allora forse continua a rischiare di crollare da quel 23 luglio scorso, ma evidentemente non rischia più cosi tanto, dato che in quelle stesse vie passiamo tutti i giorni, ma nulla sembra essere cambiato, e tutta quella fretta, svanita; in piazza Caro invece è stata ATM a suggerire la scusa perfetta, troppo rischio nell’occupazione adiacente al proprio deposito, come se uno spazio liberato fosse una miniera di dinamite pronta a distruggere tutto il vicinato, deposito compreso.

14) Il deposito Atm, la Polizia Locale, il bando. Atm ha affermato, tramite il suo responsabile alla sicurezza aziendale, che l’occupazione dello Spazio Forma metteva in pericolo l’attività del deposito stesso e ha minacciato fin dalla serata di Sabato 27 di sospenderne l’attività. Poi però il deposito ha continuato a funzionare e l’occupazione non ha ovviamente in alcun modo intralciato il suo funzionamento. Come a dire che le scuse hanno le gambe corte e in questo caso sono servite per mettere il “fiato sul collo” a chi doveva decidere di sgomberare. La Polizia Locale ha affermato che dai loro uffici c’era una porta che metteva in comunicazione la centrale operativa con lo Spazio Forma e quindi – anche loro – che fosse necessario sgomberare. Per fortuna però la porta che dal loro lato di edificio si apriva non esisteva nello spazio da noi occupato in quanto era stata pannellata durante i lavori di ristrutturazione. E diciamo per fortuna perchè è sempre assai evidente che se cittadini e poliziotti stanno in una stessa stanza ad essere in pericolo sono i primi e non certo i secondi. Atm ha poi affermato che sullo Spazio Forma s’era svolto un bando. Ci siamo informati: il bando in questione era uscito per pochi giorni, a luglio, sul sito di Atm e poi sparito. Lo spazio è messo a bando sulla base della maggior offerta economica. Ci ricorda altri bandi simili, altrettanto usati come giustificazione per gli sgomberi: i bandi del Comune di Milano. Che difatti è proprietario di Atm. Il cerchio si chiude…

15) Tavoli traballanti. Mentre il comune procede e lascia procedere agli sgomberi, stando bene attento a rimanere in seconda fila però, lancia il tavolo unico di risoluzione di ogni problema. Un incontro cittadino unico per ogni realtà, dalle Acli ai centri sociali, che possa trovare la soluzione ai problemi di spazio per le organizzazioni, associazioni, auto-gestioni dei cittadini.

16) Sono tavoli senza gambe. Purtroppo il tavolo si riunisce tre volte in quattro mesi, e in mezzo ci sono tre sgomberi che mettono difficilmente nella condizione di dialogare in maniera civile; nel frattempo il lavoro ufficiale del tavolo non dà né particolari spunti di vitalità né si legge nella sua conduzione da parte del comune un progetto chiaro e comprensibile. La sensazione di essere di fronte ad una “foglia di fico” che – quantomeno al momento – serve più che altro a nascondere le vergogne è particolarmente forte. Che poi, tra i pochi spazi autogestiti che avevano, con toni e sfumature diverse, dato una disponibilità ad interagire con questo tavolo ci siano proprio Zam e Lambretta che sono stati contemporaneamente ad esso sgomberati rende il tutto ancor più inquietante…

17) Sul tavolo e non solo, una precisazione d’obbligo. Tra i promotori e animatori di questo tavolo sugli spazi vi è una persona a noi molto cara, ovvero il nostro avvocato Mirko Mazzali. Capita però sovente che qualcuno, forse non così per sbaglio, confonda noi con lui e viceversa. Allora meglio precisare: il fatto che Mazzali sia il nostro avvocato (e non solo, essendo per noi anche un amico e compagno) non significa che ciò che dice e fa per forza ci rappresenta. Così come del resto analogamente vale per lui: non tutto ciò che diciamo e facciamo può essere sempre coincidente con il suo pensiero. Lui non è “il nostro portavoce”, ne in questo tavolo ne in generale, e questo non certo per una “presa di distanza” da parte nostra o viceversa, quanto per una sana e utile capacità di saper distinguere i ruoli tra soggetti diversi. A noi (ma siamo certi anche a lui) sembrava una cosa banale ed evidente, ma forse a qualcuno faceva comodo giocare sull’equivoco…

18) Problemi e risorse. Se interessa invece discutere di cose importanti, noi ve ne sottoponiamo un paio, di cui una problematica e una positiva. La prima, rivolta soprattutto “all’interno” del movimento: noi crediamo che il sempre più ampio bacino di “consenso passivo” sia uno dei punti di debolezza degli spazi autogestiti in questa città. Con “consenso passivo” intendiamo identificare quella dinamica per cui, oggi come oggi, il problema non sia tanto che le realtà dell’autogestione non abbiano un consenso molto ampio, quanto piuttosto che questo consenso non diventi quasi mai attivazione in prima persona. Interrogarsi e sperimentare modi di invertire questa rotta è una delle cose che cerchiamo di fare e che ha molto a che vedere con il secondo spunto che vogliamo evidenziare. Ovvero la necessità sempre più forte per noi di trovare parole, modi, stili, atti che sappiano parlare ben oltre i recinti e le secche del “movimento”. Magari sbagliando, per carità, ma con la certezza che non sarà mai una politica per “addetti ai lavori” quella che potrà realmente cambiare le cose.

19) Naturalmente arriva Expo. Sicuramente nelle valutazioni dei “decisori” della città, gli sgomberi sono e saranno sempre più calcolati nell’ottica di aver una città “presentabile” per Expo; ecco quindi che di nuovo spazi vuoti e occupati sono lo spauracchio dell’amministrazione comunale, che vorrebbe una città linda e pulita dei suoi figli più ribelli, normalizzata, funzionante e recettiva del grande evento. È successo così ovunque vi siano stati eventi simili in precedenza, perché Milano dovrebbe esserne esente?

20) …arriva expo? Peccato poi che con le mega opere in panne, metropolitane allagate due volte in due anni, bretelle autostradali deserte, canali e corsi d’acqua osteggiati dai comitati di cittadini, sia davvero incredibile la rapidità degli sgomberi, se comparata con la totale incapacità nel mantenere la tabella di marcia delle opere “fondamentali” per Expo. Disastro su tutta la linea.

21) Sicuramente: prenderemo un nuovo spazio, a brevissimo. Occuperemo ancora dato che esistere in un luogo fisico è necessario ed utile, per noi e per la città che ci tiene in vita da tre anni a questa parte. Andremo ad occupare altri spazi, magari più distanti dal centro (magari no! ) laddove Comune e istituzioni si dimenticano che esisteva una città prima di Expo – e continuerà ad esistere anche dopo. Esploreremo territori che delle grandi rivoluzioni ed opere urbanistiche non raccoglieranno nemmeno le briciole, ma che sicuramente dovranno sobbarcarsi il peso e i debiti.

22)Altrettanto sicuramente: continueremo a vestirci, ad occuparci, ad auto-gestire, organizzare, attivare e discutere, cercando di migliorarci e migliorare e includere sempre più idee e sempre più attività nella nostra realtà, senza mai perdere un briciolo di noi stessi e del nostro stile.

Zam – Zona Autonoma Milano per Escalation Tour: Collezione Spazi Milano Autunno Inverno 2014-Just Occupy-

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Una risposta a “22 cose importanti da ricordare, quasi quanto 22 sgomberi…”

  1. […] Dopo l’occupazione, viene indetto in fretta e furia un Comitato per l’Ordine e la Sicurezza e, con le scuse più svariate, lunedì 29 si assiste ad un nuovo sgombero. Ancora una volta assordante silenzio da parte del Comune: https://milanoinmovimento.com/primo-piano/22-cose-importanti-da-ricordare-quasi-quanto-22-sgomberi […]

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