Covid, 731 giorni dopo – Intervista sullo stato della sanità lombarda
Il 27 febbraio 2020, a pochi giorni dalla scoperta del “paziente 1” a Codogno e quando ancora, nel nostro paese si accavallavano voci contraddittorie a proposito del Covid, intervistammo una nostra compagna che lavorava e lavora in un grande ospedale milanese che riuscì in qualche modo a prevedere cosa sarebbe successo di lì a qualche giorno. Oggi, a due anni di distanza e dopo 153.000 morti siamo tornati a intervistarla.
-Nel febbraio di due anni fa, quando ancora serpeggiava l’incertezza, sei stata tra i primi ad avvertirci di come di lì a poco il Covid avrebbe messo in ginocchio l’Italia. A due anni di distanza come stai?
Per me la pandemia è iniziata nel pieno del mio personale inizio come medico di medicina generale, come medico che lavora autonomamente, avendo finito poco tempo prima gli studi, quindi la domanda trova una difficile risposta. Al quesito come sto la risposta principale è: sono stanca, non sono stufa, come la maggior parte dei colleghi con cui parlo, sono proprio molto stanca. I ritmi sono incessanti, spessissimo l’attività di tracciamento impone lavoro costante anche al di fuori degli orari canonici di lavoro e soprattutto nel corso delle “ondate” o insomma, anche dell’ultimo picco viremico post Natale diventano ritmi quasi incompatibili con una vita propria, ancor di più con una gestione familiare dei figli.
-La situazione della sanità pubblica ha avuto un miglioramento o dopo tante chiacchiere non è cambiato assolutamente nulla?
La sanità pubblica ha avuto un peggioramento netto. Tutto quello che non era Covid, volenti o nolenti, lo abbiamo dovuto posticipare, rimandare o annullare e questo ha fatto sì che si accumulassero mesi, mesi e anni di visite che siamo ancora lontanissimi dal recuperare. Questo ha comportato e comporta tutt’oggi un ritardo nelle diagnosi precoci dei tumori, nelle diagnosi di malattie cerebro e cardio-vascolari. Non solo, anche tutto quel che non è nuova diagnosi ma un controllo di una patologia sta subendo un posticipo. La mancanza di prime diagnosi fa sì che i pazienti arrivino con tumori in stadio già avanzato (viene meno il concetto stesso di screening per la prevenzione) o con malattie cardiovascolari che sono arrivate a manifestarsi poiché anche in questo caso non precocemente o preventivamente trattate. Implica nel caso dei controlli mancati una inadeguata correzione delle terapie e quindi decisamente più complicanze (vedi il paziente diabetico che sviluppa lesioni corneali o vascolari..).
La disuguaglianza in tutto questo è aumentata enormemente. Poiché chi “può permetterselo” sempre di più e in certi casi quasi unicamente prenota privatamente le visite e gli esami strumentali, chi invece non ha questa possibilità no. Non mi riferisco solo ai pazienti solventi nelle strutture pubbliche o convenzionate ma anche a tutti quelli che godono di una assicurazione sanitaria che in un secondo momento provvede al rimborso di tutte queste spese. A volte sono fondi metasalute delle aziende presso cui i pazienti lavorano, oppure assicurazioni stipulate dal singolo. In ogni caso sempre di più si fa evidente la disuguaglianza tra i cittadini. Il principio per cui era stato fondato il sistema sanitario nazionale, soprattutto per quel che riguarda tutto ciò che non è una emergenza, è venuto meno. Sto parlando della realtà in cui lavoro io, quindi quella Lombarda, non mi riferisco a tutta Italia.
-Tu pensi che la pandemia abbia portato a degli insegnamenti su come gestire situazioni del genere o finita l’emergenza ci si dimenticherà tutto?
Innanzitutto temo non ci si dimenticherà niente perché non penso sia finita, purtroppo. Non sappiamo ancora se e quali varianti potrebbero svilupparsi e che conseguenze queste avere. Vedo una totale incongruenza tra quel che osservo in ospedale (ovvero una situazione di emergenza ancora in corso, tanti decessi, persone fragili poco protette anche dalla terza dose, reparti in affanno, pronto soccorso ancor di più) e le misure politiche che sta adottando l’Europa e che immagino adotterà anche l’Italia. Immagino la motivazione sia solo quella economica: non è più sostenibile per i mercati e quindi si riapre tutto come fosse tutto finito. Non darò un parere in merito a questo. Due anni fa avrei detto che ovviamente sarebbe dovuto passare tutto in secondo piano per forza di cose, ora non so cosa pensare. In ogni caso spero che se e quando si dovrà tornare ad una chiusura forzata di tanti luoghi ed all’isolamento delle persone, spero che non siano più i bambini e i ragazzi a doverlo fare. Io penso che la cosa più dannosa tra tutte le scelte politiche fatte, sia stata quella relativa alla chiusura dei nidi e delle scuole di tutti i gradi, alle quarantene infinite dei ragazzi che quindi hanno continuato a non poter frequentare la scuola se non a singhiozzi, alla didattica online per i bambini delle elementari. Penso che questa sarà la più catastrofica conseguenza che pagheremo della pandemia, sia in termini di salute mentale, psicologica di queste generazioni, che in termini di salute generale.
-Quali sono i più grossi problemi che riscontri nell’ospedale dove lavori?
Primo tra tutti le gestione centrale che continua a far sparire i fondi. La struttura fatiscente e gli spazi angusti in cui si portano avanti le attività sono la primissima cosa che andrebbe modificata e per la quale da anni sarebbero stati stanziati fondi che tutt’ora non si sa dove siano andati a finire.
L’altro grosso problema è che, come è sempre successo anche se con differenti dinamiche, essendo una struttura pubblica finisce per erogare tutte le prestazioni che i privati convenzionati preferiscono non erogare essendo rimborsate meno. Questo sarebbe un discorso molto ampio ma ovviamente in termini economici ed organizzativi si può comprendere come alla lunga l’ospedale ne soffra.
-Una domanda politica. Secondo te perché dopo molta indignazione da social quando si è trattato di scendere in piazza per contestare la gestione lombarda della pandemia lo si è fatto in modo insufficiente?
Innanzitutto in certi momenti penso che la presenza stessa in piazza per tanti rappresentasse un possibile motivo di contagio – da evitare quindi. Inoltre, come dicevo prima, la pandemia ha aumentato le disuguaglianze per cui con tutti i problemi sia economici che sociali che ne sono derivati le persone si sono maggiormente concentrate sul privato e sempre più disinteressate alla comunità, quindi alla politica.
-Hai una speranza o un auspicio per questo 2022?
Che il virus non muti. No scherzo…la speranza è soprattutto che i bambini ed i ragazzi possano tornare a vivere in libertà, frequentando chi vogliono, come vogliono, stando fuori casa tutto il giorno a scuola, al parchetto o nelle strade vedendo di nuovo dei volti non mascherati.
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