Domani conferenza stampa congiunta sulla censura di Facebook
Venerdì 18 ottobre, ore 13
Sala Azzurra sede nazionale Federazione Nazionale Stampa Italiana (Corso Vittorio Emanuele II, 349 – Roma)
La censura di Facebook aiuta la guerra di Erdoğan
Nei giorni scorsi, Facebook ha chiuso le pagine di alcune testate indipendenti e legate ai movimenti sociali. Altre sono state raggiunte da messaggi ufficiali della piattaforma in cui si comunica il rischio della chiusura. Oggi anche vari profili Instagram sono stati cancellati. Un vero e proprio stillicidio.
I contenuti oggetto dell’operazione sono strettamente legati a post in cui si evidenziava il sostegno alla causa curda e si esprimeva il legittimo dissenso a quanto sta succedendo in Siria del Nord a opera della Turchia. Evidentemente, l’espansionismo di Recep Erdoğan non è solo territoriale, ma si propaga anche nell’intelligence digitale.
Gli attacchi che stanno subendo queste pagine non hanno nulla di casuale. È chiaro a tutti che sono ben organizzati e coordinati. Erdoğan ha il problema di ricostruire consenso intorno alla sua figura per questo vuole mettere a tacere tutte le voci critiche.
Riteniamo che il sostegno di Facebook all’offensiva comunicativa del regime turco violi i più basilari dettami della libertà di stampa. Anche per il social network vale la Costituzione, che all’articolo 21 stabilisce: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».
Come testate che hanno da sempre sostenuto istanze di libertà e democrazia reale, ribadiamo che continueremo a essere in prima linea nel documentare e sostenere le lotte per la giustizia, l’uguaglianza e i diritti in ogni angolo del mondo. Allo stesso tempo ci appelliamo a chiunque creda nei valori e nell’azione di una informazione libera e indipendente di denunciare questo grave atto di censura attraverso tutti gli strumenti a sua disposizione.
DinamoPress, Globalproject, Infoaut, Milano In Movimento, Radio Onda d’Urto, Contropiano, Rete No Bavaglio
Nella serata tra martedì e mercoledì è iniziata una sistematica opera di censura da parte di Facebook di tantissime pagine che hanno espresso sostegno alla resistenza curda di fronte all’attacco turco.
Nascosti i profili di alcuni siti d’informazione indipendente come per esempio MiM, Globalproject, Contropiano e Radio Onda d’Urto. Chiusi tantissimi profili di collettività e soggetti sociali e politici.
Nel silenzio assordante di alcuni media mainstream come Repubblica e Corriere della Sera diverse sono state le invece le prese di posizioni pubbliche a sostegno della libertà d’espressione e contro le manie censorie di Zuckerberg e soci. Alcuni assolutamente inaspettate.
Qui ne riportiamo alcune:
Questa la presa di posizione del parlamentare Nicola Fratoianni:
Questi invece due articoli molto espliciti dal Manifesto:
La censura di Facebook sostiene la guerra di Erdogan – di Giansandro Merli
Una vasta campagna di epurazione contro le pagine solidali con il popolo curdo. Dopo le organizzazioni e le reti di sostegno tocca a testate giornalistiche e media indipendenti. Lorusso (segretario Fnsi): «Inaudito e inaccettabile».
DOPO LE PAGINE di reti e organizzazioni solidali con il popolo curdo, la censura di Facebook si è abbattuta su testate indipendenti e legate ai movimenti sociali italiani. Oscurate ieri le pagine di Global Project, Milano in Movimento e Contropiano. Stessa sorte rischia di toccare a DinamoPress, Infoaut e Radio Onda d’Urto. Tutte insieme raccoglievano centinaia di migliaia di follower. Mentre scriviamo la «pulizia» continua a estendersi verso centri sociali e account privati.
LA PROCEDURA è semplice: prima gli amministratori ricevono notifiche di post che violerebbero la policy del social network, poi le pagine scompaiono. Le accuse sono ricondotte al punto due del I capitolo degli standard della community, riferito a «persone e organizzazioni pericolose». I post incriminati hanno a che fare con il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), ancora inserito nelle liste del terrorismo internazionale, e con la figura del suo fondatore Abdullah Öcalan, rinchiuso dal 1999 nell’isola prigione turca di Imrali.
SI TRATTA principalmente di fotografie o video di mobilitazioni in cui compaiono, anche in secondo piano, bandiere con la stella del partito o il volto del leader curdo. Simboli che sono continuamente esposti in luoghi pubblici e durante manifestazioni. A Global Project, testata giornalistica registrata nel 2003, è stato contestato uno scatto del funerale di Lorenzo Orsetti, ragazzo italiano morto combattendo l’Isis. A Radio Onda d’Urto, testata dal 1986, un post che annunciava in tono neutro una trasmissione sulla storia del Pkk.
SUL COME sia iniziata questa vastissima campagna di epurazione si possono fare solo ipotesi. Una possibilità è che profili legati al regime turco abbiano segnalato in maniera sistematica e organizzata le pagine non gradite. Un’altra è che l’azione sia partita proprio da Facebook, magari dopo la riunione del lunedì in cui i dirigenti fanno il punto sulle novità delle regole da rispettare.
IN OGNI CASO la tempistica dell’offensiva digitale dell’azienda di Mark Zuckerberg coincide chirurgicamente con quella dell’attacco militare di Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco, che mentre accendeva le armi da guerra spegneva per l’ennesima volta i social network in diverse aree del suo paese, ha l’evidente problema di ricostruirsi credibilità a livello internazionale. Silenziare le voci critiche e di opposizione alla sua guerra e alle sue politiche liberticide è un tassello importante.
SEMBRA CHE FACEBOOK abbia scelto da che parte stare, anche in spregio all’articolo 21 della Costituzione italiana che afferma: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». «È inaudito e inaccettabile – afferma Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale stampa italiana – Si vuole impedire di illuminare il dramma di un’intera popolazione aggredita. Questo episodio conferma la necessità di affrontare a livello europeo la regolamentazione della rete».
L’inchino dello Stato-Facebook al Sultano – di Simone Pieranni
Facebook blocca le pagine, anche di testate registrate, che informano o solidarizzano con i curdi di Rojava.
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Innanzitutto Pkk. E poi: Pkk. E per concludere: Pkk. Ma cominciamo dal Pkk: è per i riferimenti a questo partito, fondato nel 1978 da Öcalan e suo fratello e considerato da Usa e Ue un’organizzazione «terroristica» (come ha ribadito ieri Trump a Mattarella) che Facebook ha bloccato decine di pagine (anche di testate registrate) che hanno pubblicato informazioni o solidarietà con i curdi. Altri rischiano la chiusura per «ripetute violazioni degli standard della community».
Chiariamo: per essere bloccati non è necessario inneggiare al Pkk; basta una foto a corredo di un articolo postato. D’altronde tra Facebook e la Turchia c’è un rapporto particolare, tanto che Ankara ha meritato alcuni riferimenti specifici ai propri nemici nella policy del social. Questa forma di censura (fatta da persone, sottopagate e sfruttate, impiegate nell’attività di «ripulitura» del social) alcune settimane fa ha colpito anche pagine di fascisteria assortita e quelle pro Cina riguardo a Hong Kong. In pratica, Facebook ci dice ogni giorno che sulla sua piattaforma fa quello che vuole.
Il problema è che Facebook si comporta come uno Stato e come tale decide di stringere accordi o meno con altri Stati e soprattutto decide cosa sia informazione e cosa no.
Le scelte sono di Facebook, ma la benzina siamo noi, con i nostri dati. Siamo disposti a rinunciarci? Forse no. Di questi tempi denunciare la complicità del social con regimi come quello di Erdogan potrebbe essere il minimo richiesto. Facciamolo allora: Pkk.