Erdogan – Vittoria tecnica, ma non politica
La Turchia è un paese diviso su molti fronti che creano tanti paesi diversi i cui confini non sono gli stessi.
Il fronte che ha spaccato ancora una volta la Turchia in parte è di natura politica. C’è un paese non disposto a credere che la democrazia si possa realizzare consegnando il potere a una persona sola al comando, e un altro non dotato di sufficiente autonomia per rinunciarvi. C’è un paese moderno che ha l’Occidente come orizzonte culturale ed economico e ce n’è un altro i cui interessi sono maggiormente tutelati da uno stato autoritario in stile mediorientale.
Al netto delle polemiche sulle presunte irregolarità che per quanto esistenti, difficilmente porteranno a un rovesciamento dell’esito, la vittoria di Erdoğan è un cavallo azzoppato che vuole trascinare il paese verso un sistema inviso alla sua metà e contro cui potenzialmente ha gli strumenti intellettuali e politici per opporvisi.
Come i cittadini turchi hanno votato a questo referendum restituisce un quadro politico in evoluzione; la riforma costituzionale in chiave presidenziale è passata in parlamento con l’appoggio del MHP il partito della destra ultranazionalista: non solo il suo elettorato non si è fatto convincere dal progetto nazional-ottomano di Erdoğan, ma il partito stesso si è palesemente spaccato. Il confronto fra la somma dei voti che AKP e MHP hanno ottenuto nelle ultime elezioni e quelli del sì al referendum mostra un calo che arriva in alcune zone fino la 13%. Il che significa che gli elettori del MHP non hanno seguito le indicazioni dei vertici ma che anche molti elettori dell‘AKP non lo hanno fatto.
Volendo considerare il sì alla riforma costituzionale un voto per l’attuale presidente, Erdoğan ha perso consensi. Per la prima volta da quando è al potere ha perso le due più grandi città del paese: Istanbul ed Ankara. Il no ha prevalso addirittura in quartieri conservatori di Istanbul come Üsküdar, dove lui vive. Il suo partito non sta vivendo una fase di unità, non è un mistero per nessuno che l’ex-presidente Gul e l’ex-primo ministro Davoğutoğlu rappresentano un fronte di opposizione interno che potrebbe approfittare di quello che è un momento di relativa debolezza per staccarsi. Considerando che anche il MHP sul fronte dell’unità non gode di buona salute, non è da escludere una sorta di ristrutturazione nel campo del centro destra non favorevole per Erdoğan.
Contemporaneamente per quanto sconfitta, l’opposizione da questo risultato può trarre forza, qualora però riesca a superare le divisioni e le contraddizioni che la limitano forse ancora di più dei parlamentari in carcere.
Di sicuro c’è da riporre più speranza in una evoluzione del quadro politico che in un annullamento del risultato del referendum: nonostante i ricorsi che saranno presentati sulle effettive e gravi irregolarità avvenute, in primis l’accettazione di schede non vidimate, e nonostante il rapporto OSCE che ha definito ‘inique’ le al di sotto degli standard le condizioni in cui si e’ svolto il referendum e la campagna, in una condizione di deficit democratico in cui la Turchia già si trova, difficilmente qualcuno, non avendolo fatto prima, sbarrerà la corsa di Erdoğan.
Serena Tarabini
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