In piazza 100mila per dire no alla violenza contro le donne

Le parole sono state potenti e radicali: «Basta guerre sui nostri corpi: rivolta transfemminista». Centomila persone sono scese ieri in piazza per il corteo di Non Una Di Meno e in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, spiegando come la lotta contro la violenza patriarcale che il movimento femminista porta avanti quotidianamente e da anni in ogni territorio non può prescindere dall’opposizione alle guerre sui corpi.

Nonostante sia circolata molto la notizia di alcuni slogan e di uno striscione contro Giorgia Meloni (per il quale alcune attiviste sono state fermate dalla Digos) la Presidente del Consiglio non è stata al centro della manifestazione. «Il nostro ruolo, in questo momento, ci impone una doppia responsabilità: essere sì in opposizione a questo governo e alle sue politiche ma anche superare la difesa di uno status quo che non ci è mai bastato», è stato detto.
Quella di ieri è stata, come sempre, una mobilitazione generale, senza spezzoni né bandiere e con la significativa partecipazione dei centri antiviolenza femministi, come Lucha y Siesta e quelli della rete D.i.Re: «Già dalle prime scelte del governo si possono intravedere le minacce al movimento delle donne e agli spazi di autodeterminazione e libertà», spiega la presidente Antonella Veltri: «Ciò con cui i centri antiviolenza devono fare i conti non è solo la scarsità di risorse pubbliche, ma è soprattutto l’attacco alla loro autonomia e il tentativo di far progressivamente sparire i connotati politici femministi di questi luoghi costringendoli in una cornice di mero servizio, dando credito e peso ai tanti “centri antiviolenza” nati ultimamente con il dichiarato ed esclusivo scopo di “aiutare le vittime”, ma privi di qualsiasi attenzione verso il cambiamento della società violenta e misogina in cui viviamo».

Tra le “guerre” citate al plurale nello slogan della manifestazione è stata centrale quella guerra che ha come scenario il chiuso delle case e delle relazioni: non una guerra privata, ma profondamente politica. È 107 il numero delle donne e delle persone uccise quest’anno dalla violenza patriarcale, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale femminicidi, transcidi, lesbicidi e figlici di Non Una di Meno: uno strumento nato nelle assemblee territoriali per contare, ma soprattutto per monitorare cosa accade dopo la violenza, l’iter giudiziario e come si parla di quei casi a livello mediatico. Un osservatorio per osservare, «ma soprattutto per compartecipare, elaborare collettivamente e costruire strumenti diffusi di analisi e reazione».

La parola «autodifesa» è stata fondamentale quando, in centinaia, hanno alzato le braccia stringendo dei mazzi di chiavi nei pugni: «Queste chiavi che stringiamo in mano sono la nostra autodifesa fuori casa, e al tempo stesso sono il simbolo del luogo dove più spesso si consuma la violenza. Il suono di queste chiavi è il suono dell’autodifesa, è il suono delle mille strategie che da sole e insieme abbiamo imparato ad adottare. Insieme siamo più forti».
La rivendicazione dei propri desideri è stata portata per le strade agitando durante il corteo i propri sex toys, e la questione dell’autodeterminazione dei corpi e del diritto all’aborto è stata declinata in termini di giustizia riproduttiva: «Sulla 194 abbiamo le idee chiare: dobbiamo andare oltre la difesa di questa legge. Vogliamo che l’aborto sia disgiunto dal concetto di maternità, e che la genitorialità acquisisca invece una sua specificità. Esigiamo l’eliminazione dell’obiezione di coscienza, del periodo di attesa di 7 giorni e vogliamo smascherare la retorica ricattatoria degli aiuti economici portata avanti dalla destra. La contraccezione deve essere gratuita per tutte». Cosa che tra l’altro sarebbe già prevista, in Italia, da un legge che però non è mai stata applicata.

L’altro grande tema della giornata è stata la guerra combattuta sul campo: quella aperta dall’invasione russa dell’Ucraina e che ha riaperto a sua volta «in modo strumentale e ipocrita il tema dell’accoglienza in Europa su base etnica e identitaria, rafforzando i già inquietanti criteri di merito per la selezione all’ingresso e per l’accesso alla cittadinanza sociale» si dice negli interventi. Durante il corteo è stato lasciato per strada un grande striscione con scritto: «L’unico carico residuale è il patriarcato», in una replica a distanza al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che aveva definito le persone migranti soccorse nel Mediterraneo e che non sarebbero sbarcate a Catania un «carico residuale». È stata forte, infine, la connessione con le donne in guerra e in lotta nelle varie parti del mondo: con le donne iraniane, innanzitutto, e con le donne kurde, che ieri sono scese per le loro strade contro i nuovi violentissimi attacchi della Turchia.

di Giulia Siviero

da il Manifesto del 27 novembre 2022

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