Italian* senza cittadinanza
La Commissione Affari Costituzionali della Camera ha concluso l’esame della legge sullo ius scholae, che lega il riconoscimento della cittadinanza italiana a un percorso scolastico per i minori che non ce l’hanno dalla nascita, perchè figli di genitori non nati in Italia.
Il provvedimento è pronto per essere discusso in aula ed è stato inserito nel programma dei lavori, ma non sarà semplice arrivare a una sua approvazione, soprattutto al Senato: Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono infatti fortemente contrari, tanto per cambiare.
L’attuale legge sulla cittadinanza, ferma al 1992, di regola non prevede che le bambine e i bambini figli di genitori stranieri, nati in Italia o giunti qui, possano acquisire la cittadinanza italiana prima della maggiore età, e sempre a patto che i genitori abbiamo un permesso di soggiorno continuativamente regolare.
Questo significa per i bambini e le bambine, dover vivere gli anni decisivi della crescita condividendo con i compagni di scuola una diversità che diventa un limite, e per i genitori dover invece rincorrere la burocrazia e i costi per i rinnovi dei permessi di soggiorno per tutta a famiglia.
Il 1992 è l’anno in cui sono nata. Ancora prima di vedere un edificio scolastico dal suo interno, avevo già visto la Questura per rinnovare il mio permesso di soggiorno.
Non mi sono resa conto della mia diversità finchè non ho dovuto rinunciare ad una gita scolastica perchè sulla mia carta d’identità c’era scritto ‘non valida per l’espatrio’. O quando sia io che mio fratello – alle superiori – non abbiamo potuto gareggiare per le regionali di atletica giovanile perchè non avevamo la cittadinanza italiana e non potevamo rappresentare la squadra.
Oppure quando all’aeroporto, finite le vacanze scolastiche, sono atterrata con tutta la mia famiglia a Malpensa e ho incontrato la famiglia di un mio compagno di scuola che era sullo stesso aereo, di ritorno anche lui dal Marocco. Abbiamo imboccato due file differenti per il controllo dei passaporti, perchè il suo era rosso e il mio verde. Ero un’extracomunitaria che voleva entrare in territorio europeo, ma non stavo mica tornando a casa?
Secondo la legge no, quindi sono rimasta in fila per tre ore a discapito dei 10 minuti di controllo che sono spettati al mio compagno di scuola. Provavo un misto di rabbia e incomprensione, non volevo essere più privilegiata di altri ma volevo essere riconosciuta nell’interezza dei miei diritti.
Nata in Italia ma extracomunitaria fino ai 18 anni.
Qualche mese prima dell’ottenimento della cittadinanza italiana, mi è stato chiesto se volevo fare il giuramento all’arena civica di Milano: le persone nate nel 1992 erano il primo gruppo grosso della cosiddetta Seconda Generazione.
Vaffanculo.
Hanno passato tutta la vita a ignorare i miei diritti, tutta la vita a pretendere soldi e tempo dai miei genitori, tutta la vita in mezzo a scartoffie e burocrazia e privazioni, e poi ci chiedono di esporci come animali allo zoo per chissà quale discorso sull’inclusività, l’integrazione e accoglienza.
Ho fatto il mio giuramento – obbligatorio per ottenere la cittadinanza che nel frattempo avevo iniziato ad odiare – e ho dovuto dire: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato”.
Una fedeltà imposta a quella stessa Repubblica che si è perfettamente resa conto negli anni della crescita della popolazione non-bianca in Italia, ma che ha costantemente varato leggi che contrastavano l’inte(g)razione tra popoli, non solo per quanto riguarda la vergognosa legge sulla cittadinanza ferma a 30 anni fa.
Una storia, quella dello Stato italiano sul tema delle migrazioni, fatta di leggi discriminatorie e criminali sia da parte della destra (da Bossi a Salvini) che da parte della sinistra (in ultimis abbiamo Minniti); una storia fatta di centri per la detenzione e l’espulsione delle persone senza documenti, di criminalizzazione della solidarietà alle frontiere, di aumento della burocrazia e dei requisiti per ostacolare l’effettiva regolarizzazione di tutte le persone presenti sul territorio.
In un mondo in cui non c’è più nuovo territorio da conquistare, la protezione dei propri confini è diventato l’unico strumento che hanno gli Stati (che si professano democratici) per poter dimostrare la propria forza militare nel mondo; la dialettica sulla protezione della propria identità (tendenzialmente bianca e cristiana qui) va di pari passo con il respingimento di chi fugge da territori ostili e raggiunge il fortino-Europa, perché contaminazione e scambio culturale tra i popoli non fa rima con egemonia e potere dello Stato.
Lo Stato italiano, come altri, avrebbe bisogno di accettare prima di tutto il fatto che, nonostante la guerra che è stata intrapresa contro le persone non-bianche che vivono, studiano e lavorano in Italia, la popolazione meticcia è in costante aumento e influenza – oggi più che mai – diversi ambienti culturali e sociali del Paese.
Nonostante dunque, l’Italia abbia trattato la migrazione come un problema di sicurezza e non come una normale conseguenza alle guerre, alla povertà o anche solo all’enorme desiderio di viaggiare che qualsiasi giovane nel mondo ha, non si è potuto evitare la nostra migrazione, il nostro nascere qua, il nostro vivere, esistere e raccontare.
Secondo i dati relativi all’anno scolastico 2019/2020 frequentano le scuole italiane più di un milione di alunne/i con cittadinanza non italiana, quasi 20mila in più rispetto all’anno scolastico precedente.
Mentre agli inizi degli anni ’90 la popolazione scolastica era composta da bambin con nonni italiani, oggi circa il 10,3% del totale degli iscritti nelle scuole italiane ha una storia familiare con sapori, racconti e stimoli nuovi da condividere con i propri compagni.
Una contaminazione rara, che gli adulti cercano intraprendendo viaggi o studiando sui libri, ma che moltissimi giovani oggi, hanno l’opportunità di trovare tra i banchi di scuola.
E’ fondamentale per garantire ai bambini e alle bambine – oggi stranieri solo per lo Stato – una piena condivisione dei diritti e delle opportunità dei loro coetanei.
La discussione del disegno di legge sulla cittadinanza in Parlamento è una occasione che non può essere mancata, anche se non ci basta.
Lo Ius Scholae è infatti una versione della legge di cittadinanza proposta dal deputato M5s Giuseppe Brescia per andare incontro a coloro che si sono fermamente opposti negli anni allo Ius Soli.
Mentre lo Ius Soli propone di dare la cittadinanza a tutti i bambini e le bambine nate in Italia, indipendentemente dalle origini dei propri genitori, lo Ius Scholae concede la cittadinanza italiana ai bambini che hanno concluso un percorso scolastico di 5 anni. Considerando la fervente lotta per una scuola pubblica e le diverse difficoltà economiche affrontate sopratutto dalle fasce marginalizzate, è chiaro che rimane comunque una concessione parziale che ha il sapore di essere un cosiddetto contentino per chi da anni lotta per questo diritto basilare.
Intanto staremo a vedere se – in linea con l’agire del Governo nelle politiche sociali e di diritti umani – “anche oggi si fa domani”.
Nassi LaRage
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