La decisione di Trump su Gerusalemme infiamma la Palestina

La decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele e di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv alla Città Santa scatena la rabbia del popolo palestinese e rischia di provocare un vero e proprio effetto domino nella regione.

Alla fine è arrivata.
Era nell’aria ed è arrivata.
Stiamo parlando della dichiarazione del 45° Presidente americano che riconosce Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele e dà il via al trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv alla Città Santa.

Nell’annuncio di Trump del 6 Dicembre 2017 il cuore della questione si riassume in due frasi, anzi in una, quella finale:

“Yet, for over 20 years, every previous American president has exercised the law’s waiver, refusing to move the U.S. embassy to Jerusalem or to recognize Jerusalem as Israel’s capital city. (…) Therefore, I have determined that it is time to officially recognize Jerusalem as the capital of Israel”.

Nel 1995, in piena era Clinton, il Congresso americano, con una decisione bipartisan (anche questo serve ricordarlo) aveva deciso il trasferimento della sede diplomatica. Oggi un Trump assediato dalla questione Russiagate, in difficoltà sulla questione nucleare nordcoreana, voglioso di mostrarsi un presidente forte e decisionista e determinato a consolidare il suo blocco sociale di potere nel paese, ha dato effetto a quella decisione più volte rimandata.

Il resto dell’annuncio è una summa di retorica trumpiana, elogio della democrazia israeliana e…e ovviamente nessuna parola sulla Palestina e i Palestinesi.

La questione dello status di Gerusalemme è vecchia e giova ricordare alcuni passaggi fondamentali.

Tra il 1948 anno della nascita di Israele e il 1967 Gerusalemme viene divisa in due parti. La parte occidentale a sovranità israeliana e quella orientale a sovranità palestinese.

Nel 1967, con la Guerra dei Sei Giorni, Israele occupa militarmente anche la parte orientale della città.

Gerusalemme è ovviamente una città dal forte portato storico e simbolico. E’ una città sacra per le tre religioni monoteiste (ebraica, cristiana e musulmana) per tre distinti motivi.

-Essa infatti ospitava il Tempio di Gerusalemme distrutto durante l’occupazione romana.
-A Gerusalemme è stato crocifisso Gesù Cristo.
-A Gerusalemme è giunto il profeta Maometto prima di ascendere in cielo.

Al di là dei simbolismi religiosi e storici, la questione principale è fondamentalmente politica.

L’attuale frammentazione di quello che dovrebbe essere lo Stato Palestinese causata principalmente dal dilagare degli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania.

Israele ha sempre rivendicato la sovranità su tutta la città.
I Palestinesi rivendicano un pezzo della Città Santa come futura capitale dello Stato di Palestina.
La maggior parte della comunità internazionale non riconosce l’annessione israeliana di Gerusalemme Est e non riconosce la Città Stato come capitale di Israele.

E’ evidente che la mossa di Trump va a forzare questo equilibrio precario.

Del resto lo status di Gerusalemme è sempre stato uno dei macigni nelle lunghissime trattative di pace degli ultimi decenni. Con esso il diritto al ritorno dei profughi palestinesi e lo smantellamento delle colonie nei Territori Occupati.

Benjamin Netanyahu ha ovviamente accolto con entusiasmo la scelta americana invitando altri paesi a imitare la scelta di Trump.

Perplessità e irritazione invece da gran parte della comunità internazionale che vedeva la decisione sullo status di Gerusalemme da inserire in un più ampio accordo di pace di cui ovviamente non si vede neanche l’ombra.

I Russi (e i Cinesi) che negli ultimi anni sono tornati ad essere un protagonista importante in Medioriente hanno espresso contrarietà.
Lo stesso hanno fatto Iran e Turchia ultimamente piuttosto in sintonia sulle questioni della regione nel tentativo di estendere il loro controllo in porzioni di Medioriente e di arginare la crescente legittimità curda dopo che i Curdi sono stati attore fondamentale della lotta contro ISIS.
Contraria, più a parole che nei fatti l’Arabia Saudita, che nel tentativo di opporsi alla crescente influenza iraniana e sciita nella regione, è ormai un alleato di primo piano di Israele e Stati Uniti nella regione.
Contrati, ma senza parlarne troppo, i paesi europei.
Contrario, vista la vasta comunità cattolica nella città, il Vaticano.

Come dicevamo Trump, nel suo discorso, non si è quasi degnato di menzionare una delle due parti in causa della vicenda e cioè i Palestinesi.
Ma i Palestinesi esistono e, come dice Leila Khaled in un’intervista: “Trump non può cancellare la Gerusalemme palestinese”.

Abu Mazen e l’ANP, che negli ultimi anni hanno avuto negli Stati Uniti un interlocutore privilegiato sono in grande difficoltà mentre Hamas ha annunciato i giorni della rabbia.

La popolazione palestinese, schiacciata da decenni di occupazione e dal continuo espansionismo dei coloni israeliani (religiosamente integralisti e pesantemente armati) che ormai sono diventati una forza determinante della scena politica israeliana, ha già iniziato a scendere in piazza nella giornata di ieri che ha visto un altissimo numero di feriti.

In questo momento un corteo di circa 10.000 persone sta sfilando verso il confine a Gaza mentre a Hebron l’esercito israeliano ha attaccato la folla che davanti alla moschea bruciava foto del presidente americano.

Continueremo a seguire l’evolversi della situazione.

 

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