Storia dell’ultimo contadino palestinese circondato da colonie illegali

Negli anni precedenti alla Prima Intifada, nelle terre occupate da Israele durante la guerra dei sei giorni del ‘67, è iniziata la costruzione di numerose colonie per tutto il territorio della Cisgiordania ed in particolare nella zona est di Betlemme. Alcune di queste prendono il nome di Gush Etzion, Efrat, Keryat Erba, Ghilo e Arghilo. Questi insediamenti sono considerati illegali per la Quarta Convenzione di Ginevra e per la Corte Internazionale Penale che vietano il trasferimento di popolazione in territorio occupato. Tuttavia, in questi decenni le colonie si sono estese notevolmente tanto da frammentare e smantellare completamente il territorio palestinese, rendendo gli spostamenti da una città ad un’altra un percorso ad ostacoli. Il progetto sionista prevede la disgregazione del territorio con l’obiettivo futuro di annettere anche questa porzione di Palestina all’illegale Stato israeliano. Basta dare uno sguardo allo skyline per comprendere ciò che sta accadendo, alzando lo sguardo si notato infiniti (per esattezza 1.600 in West Bank) schieramenti di case costruite in stile occidentale statunitense, con al loro interno vivono famiglie di religione ebraica attratte dai benefit economici concessi da Israele.

All’inizio del 2003 le forze di occupazione israeliane hanno tentato di innalzare un muro che collegasse le diverse colonie in questa zona, nonostante la massiccia forza militare messa in campo dallo Stato sionista, ogni venerdì i palestinesi residenti nelle zone a ridosso degli insediamenti scendevano per le strade con la determinazione che caratterizza questo resistente popolo fronteggiando uno dei primi eserciti al mondo in quanto a forza e tecnologia ed impedendone la costruzione. Il grande paradosso è rappresentato dal fatto che all’interno delle colonie la manodopera è interamente palestinese. Contadini a cui vengono espropriate le terre costretti a lavorare in ex-territori palestinesi per 4 shekel all’ora (circa 1 euro) senza alcun diritto, sottoposti a condizioni di schiavitù e sofferenza. Basti pensare che Israele prevede una paga minima di 40 shekel all’ora (10 euro) per cittadini israeliani di serie A e condizioni inumane e degradanti per i palestinesi. Inoltre, per lavorare dentro lo “Stato” israeliano i palestinesi devono comprare dei permessi di lavoro che costano dai 700 ai 2.000 shekel. Questi permessi non sono concessi a tutti: i cittadini palestinesi che nella loro vita hanno dimostrato attaccamento alla loro terra, alla loro storia cercando di fronteggiare l’occupazione con i mezzi a loro disposizione, a tutti coloro i quali hanno preso parte a manifestazioni, azioni di sabotaggio, il permesso di lavoro viene negato. Un ricatto che cerca di rendere la società palestinese sempre più individualista, viste le condizioni lavorative e la povertà dilagante in Palestina, i cittadini sono disposti a sottomettersi e a silenziare la rabbia in cambio di una misera paga in Israele. La stessa politica del “divide et impera” è perpetuata attraverso il sistema del controllo delle strade. Esplicativo è il caso della Route 60 una strada che collega le colonie a Gerusalemme e che i palestinesi sono costretti ad utilizzare a causa dell’impossibilità di percorrere le vecchie strade ormai inglobate all’interno delle colonie. Questo tipo di sistema prende il nome di Bypass Road ed è un altro tassello dell’apartheid israeliana: le strade sono completamente controllate delle forze di occupazione israeliana e l’esercito può deciderne l’apertura e la chiusura a sua discrezione, come i controlli a tappeto, un sistema di violenza psicologica e fisica che rende i palestinesi colonizzati nella loro quotidianità.

In questo contesto sopravvive alla violenza dell’occupazione Abudihad e la sua famiglia: suo fratello Sami, sua moglie Umm Yacub e suo figlio Yacub. Abudihad ha un terreno di 8 ettari e vive circondato da 4 colonie. E’ rimasto l’ultimo contadino a sopravvivere all’occupazione sistematica della Sumud (Terra) palestinese. La sua famiglia, Abdha, è una delle più famose in Palestina per la qualità della loro uva e delle loro mele. I loro alberi da frutto hanno radici centenarie e le mani che lavorano questa terra hanno una storia che inizia nel 1919, quando la famiglia Abdah comprò gli 8 ettari sui quali le dieci persone che lavorano oggi con lui praticano la Resistenza della Terra. 15 sono i milioni di dollari offerti da Israele ad Abudihad in cambio della preziosa terra palestinese, ma nessuna cifra potrà ripagare l’importanza e il valore di quella terra. Rifiutando l’ “offerta” israeliana Abudihad sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro: soprusi, violenza, morte. I soldati hanno ucciso sua madre e reso la sua vita impossibile.

Questa è la vita palestinese, queste sono le loro storie piene di dignità, coraggio, resilienza e amore per la propria terra violentata e martoriata. Ogni autunno nella comunità di Abudihad si fa la raccolta delle olive e moltissimi studenti vengono ad aiutare l’anziano contadino. Una tradizione da non perdere e da sostenere, per non dimenticare il legame con la propria terra e con la propria storia. Nei volti di questi uomini e di queste donne si riconosce il dolore e la sofferenza, ma anche il coraggio, la forza e la dignità. Non dimenticare queste storie è resistere al loro fianco.

Laila

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