Torture al carcere minorile Beccaria, salito a 42 il numero di indagati
Per parlare nella lingua di chi crede fermamente nel sistema carcerario anche per i minorenni, dovremmo citare diversi filosofi, giuristi o penalisti che identificano nel carcere un luogo dove si svolge l’educazione e non la punizione della persona detenuta.
Cesare Beccaria fu tra i primi a parlare del diritto alla difesa, della presunzione di innocenza e del ruolo dello Stato come garante della legalità, non come vendicatore. Tra le sue più celebri citazioni, c’è questa: “È meglio prevenire i delitti che punirli“.
Come il governo italiano abbia lavorato in questo senso, non è chiaro ai più. Considerando soprattutto il continuo aumento della popolazione carceraria anche e soprattutto per la creazione di nuovi reati, di nuove aggravanti e per la continua guerra dello Stato ai poveri e alla loro miseria.
Nell’aprile 2024, 13 agenti della Polizia Penitenziaria sono stati arrestati e altri 8 sospesi, tutti in servizio presso l’Istituto Penale Minorile “Cesare Beccaria” di Milano, un nome che non è una garanzia.
Oggi il numero di indagati è salito a 42, tra cui tre ex direttrici e un ex direttore dell’istituto penale Beccaria, oltre che a dottori e infermieri.
Gli atti contestati (reiterati dal 2022 ad oggi) comprendono: maltrattamenti aggravati, concorso in tortura, lesioni a minori, falso ideologico e una tentata violenza sessuale da parte di un agente nei confronti di un detenuto.
Le accuse sono emerse da intercettazioni, immagini da telecamere interne all’istituto, nonché dalle denunce di detenuti minorenni, psicologi, familiari e del Garante dei diritti della persona privata della libertà.
Secondo i verbali, i minori venivano ammanettati e picchiati, con modalità studiate per non lasciare segni visibili, talvolta in “uffici predisposti” per i pestaggi. Nulla di nuovo sul fronte occidentale.
Un ragazzo ha riferito che, durante un pestaggio, “Il primo colpo è stato uno schiaffo, il secondo un pugno, poi nelle parti intime. Da lì ho visto tutto nero […] mi hanno sputato addosso”.
Un altro ha raccontato di aggressioni da parte di fino a 10 agenti contemporaneamente, frequentemente durante la notte o quando veniva sottoposto all’isolamento.
Il gip ha descritto la situazione come un “clima infernale”, dove le violenze erano considerate parte del “sistema educativo” interno, generando paura, umiliazione e indifferenza verso i bisogni minimi dei detenuti.
Rimane nella memoria la fuga dal Beccaria di tre ragazzi nel 2022, ritrovati dalle forze dell’ordine in 48 ore; uno di loro aveva raggiunto la madre, un altro la fidanzata, e il terzo – nel momento dell’arresto – si trovava a casa di un amico e stavano giocando alla play station.
Tutti loro hanno cercato un barlume di umanità e di affetto fuori da un luogo in cui, giusto o sbagliato, si trovavano detenuti, e quindi nelle mani dello Stato.
E lo stesso Stato che si è preso l’onere di reinserire questi giovani, si è mostrato ancora una volta incapace, debole e per questo motivo, violento con gli “ultimi”.
In carcere si muore. Per mancanza di cure, per il caldo, per suicidi e anche per le torture.
Non sono necessari quei 15mila nuovi posti detentivi previsti dal governo entro il 2027, nè nuovi agenti della polizia penitenziaria o nuove tecnologie di controllo e repressione.
Servono reali misure alternative, soprattutto nei minorili, dove i/le giovani detenute possano avere occasione di rivalsa e crescita personale, e non luoghi di umiliazione e violenza istituzionalizzata.
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