Turchia – Come ti faccio fuori un partito

curdiI giorni post attentato assomigliano ai giorni post golpe. Discorsi infuocati del presidente Erdogan che promette vendetta, scorribande di gruppi di ultranazionalisti o fanatici religiosi, dispiegamento di elicotteri e mezzi pesanti. E arresti, a centinaia.
 
In seguito alle due bombe esplose ad Istanbul sabato sera in soli due giorni sono finite in carcere 568 persone. L’accusa rientra nell’ampia e permeabile categoria del terrorismo. Appartenenza a gruppi terroristici, implicazioni in atti terroristici, propaganda terroristica. Una strategia che ha trovato nuovamente il pretesto per riversarsi come un fiume in piena sul partito filo-curdo di opposizione HDP. L’attentato è stato rivendicato dal TAK, ala estremista degli autonomisti curdi, ufficialmente separatasi dal PKK per seguire una strategia più radicale. Ancora prima della rivendicazione, il governo turco aveva già puntato il dito contro il più noto PKK. Che il governo considera tutt’uno con l’HDP.
 
L’HDP ha ribadito in varie occasioni e dimostrato in diversi modi di non essere l’ala politica del PKK, né di avere con esso una relazione strutturale. Condividono la vicinanza con il popolo curdo e i suoi diritti. L’HDP esiste perché esiste una sinistra curda e filo-curda vuole uscire dal conflitto con il governo turco con mezzi democratici e non con le armi.
 
Nonostante in un comunicato ufficiale l’HDP abbia condannato l’attentato ed espresso “pena e dolore”, le forze speciali antiterrorismo si sono presentate nelle case dei membri del partito, arrestandone 235, ripeto: 235 e nelle sedi, devastandole. Una bella occasione per rimpolpare un già cospicuo bottino. Fra gli arrestati, i presidenti delle sezioni provinciali di grandi città come Ankara, Istanbul, Adana, Gaziantep ed anche due deputati. Sale quindi a otto il numero dei parlamentari HDP attualmente in stato di reclusione. Fra loro, i due co-presidenti del partito, che secondo le regole del partito stesso sono sempre una donna e un uomo: Figen Yuksedag e Selattin Demirtas. Sono in carcere da 38 giorni , in regime di isolamento. Non possono inviare messaggi, né riceverne. Non è possibile conoscere con esattezza il loro stato di salute. Due giorni fa un portavoce dell’HDP, intervenendo al congresso dei partiti socialdemocratici nel Kurdistan iracheno, ha espresso preoccupazione per Demirtas, che potrebbe trovarsi in condizioni critiche a causa di un’insufficienza cardiaca. Una parlamentare HDP, Bestas, uscita dal carcere di massima sicurezza di Edirne dove è detenuto anche Demirtas, ha denunciato isolamento, restrizioni, assenza di stato di diritto in ogni senso, una condizione equiparabile alla tortura.
 
Sono più di cinquemila i membri dell’HDP arrestati. Cinquemila! Un processo sistematico di smatellamento di uno dei più grandi partiti di opposizione che è in corso dal 2014, quando riuscendo a entrare in parlamento tolse al partito di governo la maggioranza assoluta e la speranza di Erdogan di intercettare il voto dei curdi con il processo di pace. Da quel momento guerra ai curdi e guerra all’HDP. Semplice. Grossolano. Sanguinario. Ma efficace. Errdogan ha riattivato il focolaio nazionalista anti-curdo del popolo turco, spinto a riprendere le armi alcuni degli autonomisti curdi e fatto strage fra i civili. Con facilità sono stati arrestati i vertici del partito, i segretari provinciali, rimossi decine di sindaci, sostituiti da fiduciari governativi. L’HDP è un partito che quasi non esiste più, decapitato ai vertici, azzoppato alla base e attaccato sui territori. Inoltre, chiusi o commissariati i mezzi di informazione a cui faceva riferimento, arrestati o licenziati i giornalisti che ci lavoravano è un partito anche senza più voce.
E, manco a dirlo, ignorato dal resto della politica. Mercoledì, l’incontro fra il primo ministro turco Benali e i leader dell’opposizione, si svolgerà solo con il socialdemocratico CHP e con gli ultranazionalisti del MHP.
 
Il giorno prima dell’attentato di Istanbul era stato presentato al parlamento il progetto di riforma costituzionale in chiave presidenziale tanto agognato da Erdogan. Una proposta di legge che, dopo l’accordo fra il partito di governo AKP e l’MHP, troverà facilmente i voti per essere sottoposto a referendum, nella primavera del 2017. Difficilmente i leader dell’HDP, profondamente contrario alla riforma, riacquisteranno la libertà prima dello svolgimento del referendum, che consegnerà il paese al superpresidente Erdogan, che, eliminata la figura del premier, sarà detentore di un potere esecutivo sul quale il parlamento avrà un’influenza estremamente ridotta.
In questo modo, un regime autoritario “de facto” lo diventerà anche “de iure”. Forse per molto tempo ancora.
Da un’attivista presente in Turchia

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