Antifascisti contro il sabato nero di Milano – Il racconto di uno studente

Suona la sveglia, sono a casa di un mio amico – sei e mezza. Sforzandomi mi alzo dal letto e lo sveglio. Inizio a vestirmi e lavarmi, un caffè ed esco. E’ mattina, il freddo grigio di febbraio mi gela la faccia, ma qualcosa mi spinge a fare quello che sto facendo.

Raggiungo il luogo dell’appuntamento, anche se leggermente in ritardo: trovo le persone che vedo almeno una volta alla settimana, amici, compagni.
Ci muoviamo a grappoli, ogni tanto ci riuniamo per chiacchierare, andando verso la metropolitana. Intanto le domande si fanno strada tra i miei pensieri: “Come andrà? Qualcuno si farà male? Spero di evitare che qualcuno mi fotografi…”.
Siamo in Cairoli. È una corsa alla statua: stiamo per occuparla. Nessuno mi dice di farlo, anzi, la voglia di dormire era tanta, ma in cuor mio qualcosa mi dice che è giusto. Non è la solita dimostrazione studentesca, questa volta no. Quel pomeriggio, in quella stessa piazza, si terrà un comizio elettorale di CasaPound, una delle principali organizzazioni politiche dichiaratamente neofasciste. Oltre a CasaPound, presenzieranno la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia con la meloni in altre piazze in pieno centro.

Saliamo sulla statua e subito, guardando dall’alto, noto le due camionette di polizia e carabinieri già presenti prima del nostro arrivo. Vedo gli uomini coi caschi – blu chiaro e blu scuro – che iniziano a scendere.
Subito srotoliamo lo striscione e iniziamo a fare gli interventi, spiegando il perché di un’azione simile, il perché sia importante al giorno d’oggi mantenere fortemente attiva una militanza antifascista.
Circa venti minuti e la tensione inizia a salire. La polizia si avvicina e arrivano tre o quattro uomini della DIGOS a intimarci di scendere.
Ci sediamo, ci incordoniamo e ci stringiamo l’un l’altro, in questo momento provo ancora più rabbia: “Può un rappresentante dello Stato difendere chi pratica una politica così anticostituzionale? Così oppressiva?”
La risposta a queste domande è, purtroppo, sì, e noi siamo lì per fare ciò che non sta facendo l’istituzione. Intanto iniziano a tentare di farci scendere: la prima persona a cui tocca è una ragazza seduta poco più in là, che viene strattonata violentemente dai poliziotti. Pochi secondi e stanno andando dalla ragazza di fianco a me (una carissima amica oltre che compagna) che viene presa con forza da due agenti della DIGOS.

Adesso l’uomo guarda me, dritto negli occhi, con lo sguardo ricolmo d’odio. Mi tengo all’altra mia amica con tutte le mie forze. Intanto quello inizia a strattonarmi, mi prende per il braccio destro. Arrivano altri due suoi colleghi che con le facce più incazzate che abbia mai visto e aiutano l’altro.
Finalmente – per loro – cedo, salto giù dal monumento e mi raduno con gli altri compagni dietro allo striscione. Osserviamo la scena, parliamo, chi ha preso una botta, chi si è fatto leggermente male. Pochi minuti e arriva correndo un ragazzo, che ci riferisce di essere stato minacciato da un celerino – “Qui, dove non mi vede nessuno, potrei spaccarti la faccia”, queste le parole che gli ha rivolto. La rabbia che avevo fino a quel momento si triplica, mi sembra surreale, anche se subito inizio a razionalizzare il fatto e capisco che evidentemente ormai l’idea che le forze dell’ordine possano fare qualsiasi cosa vogliano è sdoganato – nell’immaginario collettivo.

Presto i compagni che sono riusciti a resistere fino all’ultimo ci raggiungono e sfiliamo in corteo fino a Cordusio.

24/02 – Gli studenti occupano la piazza dove nel pomeriggio avrebbe parlato Di Stefano di CasaPound.

“È possibile, nel 2018, concedere tutta questa libertà di azione a delle Forze dell’Ordine che si permettono di massacrare di botte delle persone che manifestano? Quanti Giuliani, quanti Aldrovandi, quanti abusi dovranno esserci prima che ci si renda conto che anche solo dei numeri identificativi sulle divise blu sarebbero di vitale importanza?”

Ma no, non è ancora finita: al pomeriggio mi aspetta qualcosa di ancora più importante. Torno a casa, pranzo al volo ed esco subito dopo. Dovrò camminare da Porta Garibaldi a Largo La Foppa, dato che hanno chiuso la metro a Lanza e Moscova su ordinanza delle autorità.

Ritrovo la maggior parte delle persone di quella mattina, altri che invece non erano riusciti a venire prima. In quel frangente la Questura aveva deciso di non autorizzare il corteo che avrebbe voluto portare in piazza la Milano antifascista, concedendo dunque un misero presidio. Ma quando, da che mondo è mondo, si fa un percorso politico e si stabilisce una cosa, si cerca di attuarla con tutti i mezzi necessari. Allora la testa di un piccolo corteo appena formatosi inizia a muoversi verso una delle vie, cercando di eludere i blocchi della Questura. Si avvicina sempre di più, fino a sfiorare il gruppo di poliziotti in assetto antisommossa: senza quasi un contatto fisico iniziano a manganellare ad altezza cranio i compagni in prima fila, che si proteggono solamente con dei pannelli di plastica e dei canotti gonfiabili.

I cordoni spingono con tutte le loro forze e la Polizia sembra arretrare, ma poco
I cordoni spingono con tutte le loro forze e la Polizia sembra arretrare, ma poco dopo la prima fila cede, forse per quei due o tre poliziotti che erano riusciti a entrare da un lato, forse perché ne sono arrivati altri. Mi sposto di alcuni metri dal punto in cui ero e impiego pochi secondi prima di capire che oltre all’aver picchiato ignobilmente studenti e lavoratori avevano sparato del CS, dei lacrimogeni. In mezzo al presidio, dove nessuno stava facendo nulla di attaccabile e dove presenziavano anziani e famiglie con bambini. Solo dopo saprò che gli effetti di questo gas faranno vomitare e star male questi ultimi, e che i genitori che tenteranno di portare via i figli piccoli per non esporli si troveranno bloccati dalla polizia. Lo stesso gas i cui effetti documentati sono la possibilità di causare aborti spontanei ed effetti letali in luoghi chiusi.

La carica agli antifascisti in Largo La Foppa il 24 Febbraio 2018 (foto La Presse)

Mi allontano per evitare la cortina di fumo che mi stava distruggendo i polmoni; non riesco a non ragionare su quanto lo stato stia reprimendo la militanza antifascista, su come la lotta popolare dovrebbe reagire.

Il bilancio di quella giornata sarà di molti feriti, tra cui una ragazza impossibilitata a camminare per via di una fortissima contusione al ginocchio, un’altra con la faccia graffiata e contusioni su testa e gambe, e di una piazza che sfidando i blocchi della Questura è riuscita a sfilare da largo La Foppa alla Stazione Centrale, eludendo il tentativo di impedire il corteo.

A fronte di questo mi chiedo, fino a dove può arrivare la repressione popolare in nome della democrazia? Bisogna tollerare anche chi non tollera il diverso? Può uno stato proclamato costituzionalmente antifascista utilizzare certi metodi repressivi e privi di dialogo democratico? Possono i canali d’informazione far passare qualsiasi tipo di lotta come scontri causati da facinorosi, infangando il percorso politico che le collettività costruiscono giorno per giorno?

Un appello a tutti i compagni, agli studenti, ai lavoratori: non lasciate che sia troppo tardi, la lotta si può fare e va organizzata.

«Il fascismo non è un’opinione, è un crimine.»

— uno studente di Rete Studenti Milano

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