La Tortura democratica!
Waterboarding: «Forma di tortura consistente nell’immobilizzare un individuo in modo che i piedi
si trovino più in alto della testa e versargli acqua in gola e sulla faccia. Si tratta di una
forma di annegamento controllato, in quanto l’acqua invade le vie respiratorie inducendo il riflesso
faringeo. Il soggetto sottoposto a tortura dell’acqua ritiene che la propria morte sia imminente».
Il 17 Dicembre 1981 un commando delle Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente sequestra
a Verona il generale americano James Leee Dozier, comandante delle forze NATO nell’Europa
Meridionale.
E’ un’azione che desta enorme scalpore.
Un generale americano non era mai stato sequestrato.
In aggiunta a ciò il ruolo di Dozier è un ruolo di primissimo piano.
Il sequestro poi si pone in una situazione internazionale di altissima tensione.
Il nuovo presidente americano, il repubblicano Ronald Reagan ha lanciato la corsa al riarmo ed
i Sovietici non si sono fatti pregare a seguirlo.
A Febbraio si è assistito ad un tentativo di golpe militare in Spagna contro il giovane
regime democratico post-franchista.
In Irlanda del Nord si assiste allo sciopero della fame dei prigionieri politici repubblicani
contro la Thatcher. Sciopero che vedrà le morte di Bobby Sands e altri nove.
Ad Ottobre, un commando di integralisti islamici ha ucciso durante una parata militare il
presidente egiziano Sadat.
Il 13 Dicembre in Polonia il traballante regime comunista ha dichiarato lo stato di guerra
sciogliendo il sindacato Solidarnosc.
I Sovietici sono impegnati da due anni in Afghanistan senza vedere una soluzione imminente.
A Maggio, a Roma, si è assistito all’attentato al Papa.
Iran ed Irak si combattono sulle rive del Golfo con stragi quotidiane.
Nell’Italia del 1981 la lotta armata è un fenomeno in crisi (una crisi innanzitutto politica),
ma ancora molto forte.
In quell’anno le Brigate Rosse si sono rese responsabili di quattro sequestri: quello dell’assessore
regionale ai lavori pubblici della Regione Campania il democristiano Ciro Cirillo, quello
del direttore del Petrolchimico di Porto Marghera Giuseppe Taliercio, quello del direttore
della produzione dell’Alfa Romeo Renzo Sandrucci e quello di Roberto Peci, fratello di Patrizio,
primo pentito delle BR.
Quella che però sembra una grande prova di forza militare ed organizzativa è in realtà una
dimostrazione di debolezza.
Le Brigate Rosse sono divise al loro interno e queste divisioni creano concorrenza.
Dei sequestri Cirillo e Peci è responsabile il Fronte delle Carceri diretto dal criminologo
Giovanni Senzani.
Strutturato soprattutto sulla Colonna napoletana prenderà poi il nome di
Brigate Rosse-Partito Guerriglia.
Ciro Cirillo, colpito per le sue responsabilità relative alla speculazioni ed alle lungaggini
della ricostruzione post-terremoto dell’Irpinia, verrà liberato dopo il pagamento di un riscatto
(e dopo trattative che vedranno coinvolti elementi dei servizi segreti e della Nuova Camorra Organizzata
di Raffaele Cutolo).
Roberto Peci verrà invece fatto ritrovare cadavere nell’Agosto ’81 in un casolare poco fuori
Roma.
Entrambi gli “interrogatori” dei sequestrati verranno filmati da Senzani.
Il sequesto Taliercio, accusato della nocivià della grande azienda chimica di Porto Marghera,
viene compiuto dalla Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente le cui due roccaforti sono
la Colonna veneta e quella romana.
Il cadavere del Direttore del Petrolchimico verrà fatto ritrovare a pochi metri dalla fabbrica.
Il sequestro Sandrucci viene messo in atto dalla Colonna Walter Alasia di Milano. La prima colonna
scissionista delle BR (scissione avvenuta nell’Autunno/Inverno 1980) per contrastare la massiccia
cassa integrazione nei confronti degli operai dell’Alfa. Verrà liberato e fatto ritrovare a Sesto
San Giovanni.
A queste azioni va aggiunto il sequestro del Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena
Giovanni D’Urso, rapito nel Dicembre ’80 e riasciato nel Gennaio ’81 a seguito della chiusura del
carcere speciale dell’Asinara e della rivolta (duramente repressa dai GIS dei Carabinieri) del carcere
speciale di Trani.
Le Brigate Rosse, che nell’Aprile del 1981 hanno subito l’arresto di Mario Moretti (uno dei dirigenti
storici dell’organizzazione) e che l’anno precedente sono state falcidiate da decine e decine di arresti
seguiti alle confessioni di Patrizio Peci (dirigente della Colonna di Torino e primo pentito della lotta
armata in Italia), pur nelle divisioni sono riuscite a riorganizzarsi, ma versano in una forte crisi
politica, crisi che ha del resto colpito tutto il movimento rivoluzionario italiano e che ha avuto
il suo momento di massima visibilità nella sconfitta degli operai della FIAT dopo i 35 giorni di
occupazione dell’Autunno 1980. Una sconfitta che, oltre a frantumare irrimediabilmente e definitivamente
la forza e l’unità del movimento operaio aprirà la strada a decine di migliaia di licenziamenti ed
allo smantellamento progressivo delle grandi fabbriche.
Il movimento poi, era lentamente rifluito dopo il 1977. Diviso al suo interno tra il ritorno al privato,
il dilagare dell’eroina e la scelta delle armi.
Prima Linea, l’altra grande organizzazione della lotta armata, è stata falcidiata dagli arresti seguiti
all’arresto ed al pentimento di Roberto Sandalo e Michele Viscardi per tutto il 1980 ed il 1981.
Questo il quadro generale in cui si inserisce il sequestro Dozier.
Il Governo italiano di Spadolini subisce fortissime e pressanti richieste dal Governo americano perché
si faccia tutto il possibile per la liberazione del generale.
Un ulteriore colpo alla credibilità internazionale dell’Italia arriva il 3 Gennaio 1982 quando un
commando unificato del Nucleo di Comunisti e dei COLP assalta il carcere femminile di Rovigo
liberando quattro detenute politiche di primissimo piano.
Le ricerche in tutto il Veneto sono spasmodiche.
Lo Stato invia a battere quei territori alcuni dei suoi poliziotti più esperti tra cui Rino
Genova, Oscar Fioriolli, Umberto Improta e Gaspare De Francisci.
Insieme a loro Nicola Ciocia (per sua stessa dichiarazione fascista mussoliniano e federale
della Fiamma Tricolore a Napoli nel 2003-2004) alias “Professor De Tormentis”, un funzionario
della Squadra Mobile di Napoli. Con lui la sua squadraccia.
La loro specialità: la TORTURA.
L’hanno già messa in pratica a Roma nei primi giorni del 1982 quando, partendo dal fermo
a Roma di due militanti delle BR-Partito Guerriglia, Ennio Di Rocco e Stefano Petrella,
sono giunti all’arresto del massimo dirigente dell’organizzazione Giovanni Senzani.
Il Governo Spadolini ed il Ministro dell’Interno Rognoni (che negherà sempre le torture)
danno carta bianca totale ai loro funzionari.
L’unica cosa che importa è la liberazione dell’ostaggio. La legalità repubblicana può pure
esser messa da parte.
Con una serie successiva di retate nell’ambiente dell’estrama-sinistra veneta il cerchio si
stringe.
Il primo fermato ad essere sottoposto al “trattamento” (noto anche come waterboarding ed utilizzato
dai Francesi in Algeria o dagli Americani a Guantanamo ed Abu Ghraib) è Nazareno Mantovani.
Questa la descrizione della tortura: “…Mantovani fu spogliato, disteso supino su un tavolo
di legno e legato alle quattro estremità del tavolo, con la testa e la parte superiore del
tronco che uscivano fuori. (…) Uno teneva la bocca aperta al prigioniero e sgli chiudeva
il naso, un altro gli teneva la testa, mentre un terzo carceriere cominciò a versare in
maniera sistematica, ritmica e controllata acqua e sale, attraverso una cannula inserita
nella gola. (…) Mezzo litro, si fermava qualche decina di secondi per dar modo a Mantovani
di non soffocare subito e poi ricominciava”.
Mantovani non cedette.
Il 26 Gennaio furono fermati Ruggero Volinia e la sua compagna Elisabetta Arcangeli.
Da lì alcune ore di interrogatori per entrambi con calci, pugni e bastonate.
Dopo un parziale ammissione di Volinia fu il turno di “De Tormentis” con la sua
squadretta.
Volinia fu sottoposto al trattamento con l’aggiunta di minacce di stupro verso
la sua compagna se non avessa parlato.
Alla fine Volinia cedette confessando dove si trovava il covo dove era tenuto
sequestrato il generale Dozier.
Alcuni agenti della CIA presenti all’interrogatorio si misero le mani nei capelli
stupiti da tanta efficienza e brutalità nel torturare gli arrestati.
Da qui il celebre biltz dei NOCS del 28 Gennaio 1982 che portò alla liberazione
del sequestrato ed all’arresto dei cinque brigatisti presenti: Antonio Savasta,
Emilia Libera, Cesare Di Leonardo, Giovanni Ciucci e Emanuela Frascella.
I fermati, incappucciati, furono portati presso la Caserma della Celere di Padova
dove del loro trattamento non si occupò la squadra di Ciocia, ma un misto di
celerini ed agenti dei NOCS (alcuni verranno arrestati e processati per questa
vicenda): acqua, sale, botte, insulti, simulazioni di esecuzione e tanto altro
in una vera e propria galleria degli orrori.
Quattro dei cinque arrestati si pentirono quasi immediatamente (tranne Di Leonardo)
dando il via ad una serie di dichiarazioni che in pochi mesi porteranno all’arresto
di centinaia di persone.
Gli stessi metodi furono massiciamente utilizzati per smantellare quale che
restava del Partito Guerriglia a Napoli per tutto il 1982.
Le torture ai miliatanti della lotta armata in Italia (escluse le pratiche messe
in atto nei carceri speciali) non sono però un’eccezione dei primi mesi del 1982.
Per citarne alcuni c’è il caso di Alberto Buonoconto, militante dei NAP, seviziato
in modo talmente selvaggio da non riuscire più a riprendersi e suicidarsi nel 1980.
C’è la storia di Giuseppe Gulotta, accusato da innocente dell’uccisione di due Carabinieri
ad Alcamo nel 1976 e costretto a confessare la sua colpevolezza a seguito delle torture
subite (tra i fermati per la vicenda non fu l’unico ad essere seviziato).
Enrico Triaca, della colonna romana delle BR, fu arrestato pochi giorni dopo
l’omicidio Moro e sottoposto al trattamento. Una volta denunciata la violenza
subita fu condannato per calunnia.
C’è la vicenda dei militanti del Collettivo Autonomo della Barona arrestati a
seguito dell’omicidio a Milano dell’orefice Torregiani ad opera dei PAC e che
denunciarono le sevizie subite in Questura al momento del fermo.
Molti negano le responsabilità di Ciocia e lo difendono.
Poco contano i nomi però. Il fatto che in Italia si praticasse la tortura in modo
scientifico e sistematico resta un dato di fatto.
“Eravamo in guerra ed in guerra vale tutto”. Dicono alcuni poliziotti intervistati
sulla vicenda. Può essere, ma allora perché proclamare ai quattro venti per trent’anni
che lo Stato ha sconfitto il terrorsimo senza nessun cedimento a metodi autoritari
e rispettando tutte le garanzie democratiche?
La Diaz, Bolzaneto, il massacro del San Paolo con gente presa a calci in bocca
mentre era ammanettata a terra stanno a dimostrare che i decenni passano, ma
le cose non cambiano.
Poco ci interessa in questo caso la responsabilità soggettiva di questo o di quel questurino,
ancor meno ci interessa creare il mostro che può essere utile solamente per nascondere
la mostruosa normalità dell’abuso di potere delle forze dell’ordine nel nostro paese.
http://www.youtube.com/watch?v
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I nominativi dei miltanti che hanno dichiarato di essere stati “torturati” (evidentemente c’è anche chi non lo ha detto…) tratti da “le torture affiorate” ed. sensibili alle foglie, oltre a quelli sopracitati del collettivo Barona di Milano, sono: Buonoconto, Triaca, Farina, Vai, Mantovani, Giordano, Galati, Di Rocco, Petrella, Sudati, Di Lenardo, Frascella, Savasta, Libera, Ciucci, Lanza, Biliato, Vezzà, Maturi, Di Biase, Marino e Padula, per questi fatti nessuno è stato dichiarato responsabile e l’unico processo che si tenne a Padova nei confronti del gruppetto di poliziotti capeggiati da Genova a seguito della denuncia di Cesare Di Lenardo, si è concluso con la prescrizione in appello per alcuni di loro mentre il Commissario Genova godette della immunità parlamentare in quanto eletto “nelle more” nel PSDI di Longo, Nicola Ciocia dopo essere andato in pensione da poliziotto si è iscritto al’albo degli avvocati di Napoli dove ha continuato ad esercitare fino a poco tempo fa, Nicola Buonoconto è morto suicida, Enrico Triaca è stato condannato in via definitiva per calunnia e Cesare Di Lenardo (i cui testicoli martoriati compaiono nella foto di qui sopra) è tuttora detenuto in carcere da quel gennaio 1982 senza avere mai usufruito di un giorno di permesso che non ha mai neppure richiesto allo Stato visto l’esito del processo ai proprio torturatori…
P.S: Tutto questo ovviamente nessuno ce lo ha mai raccontato per 30 anni fino a quando non è uscito qualche mese fa il libro di Nicola Rao (colpo al cuore) che ha dato seguito alla puntata RAI di “Chi l’ha visto” e quindi agli articoli su Corriere e Repubblica.
Chiedo scusa il nome di Buonoconto è Alberto (per errore ho scritto Nicola)
[…] Uno sporco intreccio, che appare un tantino più sporco se si prendono in esame alcuni protagionisti della vicenda. Come Oscar Fiorolli, ex questore di Napoli ed ex torturatore, negli anni ’70-’80. […]