Tornelli a Bologna: tra sciacalli e paladini
Dopo l’irruzione delle Forze dell’Ordine all’interno della biblioteca universitaria di via Zamboni 36 a Bologna, una nuova bufera ha investito il web. Come sempre accade, bufera farcita di bufale e narrazioni tossiche. Prima di prendere posizione occorre quindi fare un po’ di chiarezza su quanto accaduto.
In seguito alla decisione di instaurare dei ‘’tornelli’’ all’interno della biblioteca universitaria del civico 36 di via Zamboni, diversi studenti hanno organizzato delle assemblee pubbliche per opporsi a questa decisione. Questo spazio di mobilitazione è stato attraversato dai principali collettivi universitari e anche e soprattutto da studenti non facenti parte di alcuna organizzazione politica. Il Collettivo Universitario Autonomo di Bologna rientra sicuramente tra le organizzazioni storiche e più numerose dell’ateneo, è stata una delle realtà trainanti di questa vicenda ed è una delle più conosciute in città. Ma a differenza di quanto dicono i detrattori questa mobilitazione ha avuto una composizione molto più eterogenea e ha investito una fascia più larga di studenti. Il lavoro è frutto di un percorso pubblico e ampiamente partecipato svolto all’interno dell’ateneo.
Perché opporsi ai tornelli?
L’università aperta e patrimonio di tutti, come quella che teorizzava Adorno, è un modello di università che viene osteggiato e che tende sempre più a scomparire. Vengono create barriere sempre più fitte tra gli atenei e il tessuto urbano che li circonda. I nuovi campus universitari sono costruiti seguendo il modello americano. Un ruolo fondamentale in tutto ciò è stato giocato anche dalle ultime “riforme” dell’università (dalla riforma Gelmini in particolare) che hanno fatto sì che da un lato le università dovessero limitare il diritto allo studio a causa dei cospicui tagli e dall’altro che gli studenti venissero inseriti in logiche di mercato ed efficienza. Assieme alla progressiva aziendalizzazione dell’università, i luoghi del sapere tendono ad essere sempre più disconnessi dalla cittadinanza e non accessibili al pubblico. Instaurare tornelli all’interno delle biblioteca rientra in un più ampio disegno di amministrazione su scala nazionale delle università italiane. I tornelli compaiono un po’ ovunque in giro per l’Italia e sono niente meno che una materializzazione di questo progressivo cambiamento. Decidere di opporsi ai tornelli significa decidere di opporsi a questo modello di gestione di quello che dovrebbe essere un patrimonio pubblico. Limitarsi a ragionare sui tornelli del 36 significa quindi decontestualizzare e non prendere in considerazione le reali ragioni che hanno spinto gli studenti a manifestare.
La macchina del fango
La questione singolare di questa vicenda è sicuramente che gran parte della macchina del fango è stata messa in moto da altri studenti. Certo, diverse testate non si sono smentite neanche questa volta. Ma almeno all’inizio, la brutalità dell’intervento delle Forze dell’Ordine ha sdegnato un po’ tutti. Questore e rettore risultavano indifendibili prima che gli studenti paladini del decoro prendessero parola. Tant’è che addirittura persone del calibro di Sgarbi si sono schierate contro l’intervento della Polizia. Ad ogni modo, è sempre necessario ricordarsi che l’università non è un luogo neutro, non è la panacea del pensiero critico e non è neanche il rifugio di intellettuali dissidenti. La produzione del sapere universitario è funzionale alla produzione e riproduzione dei mercati, dei capitali e del funzionamento della macchina delloSstato. Le persone non si iscrivono in università per mettersi in discussione e mettere in discussione ciò che le circonda. Chi si iscrive in università lo fa soprattutto per essere collocato all’interno del mercato del lavoro. Molto spesso fallendo e riempendo le fila di precari e disoccupati. Però la mentalità già imborghesita di molti studenti universitari, che si sentono già manager in carriera, gente che conta, chi al secondo anno di economia pensa di essere come Marchionne, in questa vicenda è emersa fieramente. Poco importa che i residui del diritto allo studio di oggi siano il frutto delle lotte degli studenti di ieri, che oggi verrebbero additati come fannulloni facinorosi. Poco importa anche che uno dei post più infamanti fosse di una esponente del PD dell’Emilia Romagna, le stesse cose sono state ripetute come un mantra da almeno un’altra decina di studenti. L’atteggiamento ostile, individualista e altezzoso di chi si è schierato come paladino del decoro in questa vicenda è anche il frutto di ciò che si scriveva prima. La progressiva chiusura degli spazi universitari ha generato anche questi mostri, che in parte sono sempre esistiti, ma che ora prendono con prepotenza voce in capitolo grazie anche al web 2.0. Il dato di fatto è che con la messa in funzione dei tornelli chiunque al di fuori degli iscritti avrebbe visto precluso il proprio accesso a uno spazio pubblico. Certo, da un lato ‘’l’indecoroso’’ sottobosco di piazza Verdi, ma anche qualsiasi altra persona esterna intenzionata solo ad usufruire di quello spazio per studiare. Il problema in sé non sono i tornelli, o almeno non del tutto, il vero problema è ciò che rappresentano. Un altro gradino verso una università più chiusa e un altro muro rivolto verso l’esterno. Un’altra preclusione ad accedere a quello spazio.
Realtà materiale e realtà virtuale
A guardare su Fb sembrano tutti indignati. Se i social network non avessero avuto ruolo in questa vicenda la narrazione sarebbe completamente diversa. La partecipazione delle mobilitazioni contro la l’intervento brutale della Polizia è stata molto ampia, un migliaio di studenti in entrambe i cortei svolti nei giorni successivi all’irruzione in biblioteca. Anche il percorso di avvicinamento alla messa in pratica dello smantellamento dei tornelli è stato attraversato da molti e molte in assemblee pubbliche svolte in università. Su Facebook però, pagine satiriche contro il CUA, e la prestigiosa petizione online su change.org hanno avuto molti più follower. Dato che attingiamo informazioni dall’esterno e su internet, la lente con cui osserviamo questa vicenda è sfuocata dall’intervento di decine, se non centinaia, di opinionisti del web. Questo non rende sicuramente giustizia a quanto realmente accaduto in questi giorni, dato che stiamo discutendo di avvenimenti reali e non di dibattiti virtuali. Stiamo discutendo di corpi e persone e non di profili e post su Facebook. Cosa conta di più in questa vicenda? Le 6.000 firme di change.org ‘’contro l’operato del CUA’’, dove può firmare anche un ottantenne da Caltanisetta che magari non è mai stato a Bologna, oppure le mobilitazioni molto partecipate degli studenti bolognesi? Forse la gara a chi ha più consensi è qualcosa che però è poco rilevante in tutto ciò. Il dato di fatto è che a prescindere da quanto fango sia stato sparato sull’etere questo episodio è stato in grado di raccogliere molte persone che al di fuori del consenso o del giudizio, si sono messe in discussione e hanno partecipato attivamente a queste giornate contro la chiusura e la militarizzazione dell’università. Per quanto riguarda il nostro punto di vista, di persone che condividono pienamente le ragioni della protesta, gli studenti hanno svolto un ottimo lavoro e sono riusciti a mettere in discussione e a far parlare di un modello di università nocivo per tutti, riuscendo indiscutibilmente ad attirare molto consenso. Tutto il resto è noia, tutto il resto non ci interessa.
Solidali e complici con gli studenti bolognesi!
Un video dell’irruzione della Polizia
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