“Processo alla Resistenza”, quando tra gli accusati finisce chi stava dalla parte giusta
Trascorsi alcuni mesi dal successo elettorale della destra di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia e a ormai poche settimane dall’ottantesimo anniversario di due eventi importanti come la caduta di Mussolini e la resa dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale esce nelle librerie Processo alla Resistenza – L’eredità della guerra partigiana nella Repubblica 1945-2022 di Michela Ponzani, saggio dedicato proprio alle vicende immediatamente successive al tragico 8 settembre 1943. In fondo, con la vittoria di Meloni alle elezioni politiche del settembre 2022 si può affermare con una certa sicurezza che la pregiudiziale antifascista è stata definitivamente superata (dopo anni e anni di feroce cannoneggiamento), che l’a-fascismo ha trionfato e che la lunga traversata del deserto degli eredi della tradizione politica del Ventennio è stata coronata da successo.
In questa temperie culturale fatta di settimanali sparate tanto della premier quanto di La Russa sulle Ardeatine, su via Rasella e sulla “festa divisiva” che sarebbe il 25 Aprile, il libro di Ponzani ha il merito di ribadire alcuni punti saldi e metterne in evidenza altri di norma sottovalutati con una ricchissima documentazione.
Leggendo, ci si rende conto di aver assistito alla costruzione, da parte di una parte consistente della nuova classe dirigente repubblicana di estrazione moderata, di una continuità immaginaria tra Resistenza e guerre risorgimentali e Prima Guerra Mondiale, al fine di svuotare la prima del suoi contenuti peculiari di ribellione e lotta rivoluzionaria e di instradarla nel meno socialmente e politicamente destabilizzante vecchio caro patriottismo. Così come del resto è stata svuotata e museificata l’esperienza di Garibaldi e dei suoi. In questo quadro già di per sé svilente, si assiste a una costante e pesantissima sottovalutazione del ruolo delle donne nella lotta per la Liberazione.
Dalle pagine del libro emerge come il più grande avversario della Resistenza italiana non siano stati i nazifascisti, ma la grande zona grigia nostrana, apatica e a-fascista, ma che, dovendo decidere da che parte stare, ha preferito dichiararsi antipartigiana. La lotta partigiana, in fin dei conti, è stata una scelta fatta da una minoranza dal forte contenuto etico proprio contro questa fiacchezza morale. Lo scopo delle varie vulgate revisioniste, sin dalla seconda metà degli anni Quaranta, è stato quindi sempre quello di sminuire la connotazione totalitaria del regime fascista, non paragonabile, a loro avviso, al nazismo di “quel pazzo di Hitler”. Quando invece, come sappiamo, è stato suo precursore di ben undici anni. In secondo luogo, si volevano ritrarre gli italiani come “brava gente”, nonostante, prove alla mano, non lo siano stati affatto. Infine, urgeva rivalutare proprio quella zona grigia degli apatici e rassegati tanto “amata” da De Felice, sempre pronta a schierarsi a seconda di come tira il vento.
Mentre va sempre ricordato che l’Italia, nel 1947, si è seduta al tavolo della Conferenza di Parigi come Paese cobelligerante e non sconfitto come avrebbe ampiamente meritato solo e unicamente grazie alla Resistenza, si può notare come già nel 1944 i partigiani, tornati dalla macchia nella parte di Penisola liberata, si siano trovati del tutto abbandonati a loro stessi. I riconoscimenti venivano elargiti da strutture non certo amiche come l’Esercito o gli Alleati in preda alla pregiudiziale anticomunista. Ma il peggio doveva ancora venire…
Dopo la Liberazione e la fine della guerra il processo di epurazione dei fascisti, nonostante il loro ben recitato ruolo vittimista, fu ridicolo, con tutti gli effetti devastanti dell’Amnistia Togliatti. Nel libro si trovano citati casi incredibili di criminali fascisti che la fecero sostanzialmente franca. Esempi massimi della sostanziale impunità di cui godettero i fascisti sono i casi del Principe Borghese, comandante della X MAS, e del Maresciallo Graziani, non solo spietato occupante coloniale sia in Libia che in Etiopia, ma anche Ministro delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana. Casi che la dicono lunga e che ci fanno pensare che se Mussolini, invece che essere fucilato, fosse stato portato a processo, con discreta sicurezza ce lo saremmo trovato nuovamente tra i piedi nel giro di meno di un decennio.
È capitato così che magistrati fascisti passati indenni dal passaggio tra dittatura e Repubblica si siano trovati, nel dopoguerra, a processare i partigiani. Si assiste a casi paradossali per cui per alcuni fatti d’arme ai cui protagonisti sono state distribuite delle medaglie vengano invece perseguiti dalle autorità repressive, in piena continuità con i giudizi dati dalla RSI.
Dopo la cacciata di socialisti e comunisti dal governo con le elezioni dell’aprile del 1948 e il successivo attentato a Togliatti, la repressione si è fatta durissima, e i partigiani sono stati arrestati non solo per gli episodi del ’43-’45, ma anche per le lotte sociali degli anni successivi. La canea antipartigiana vedeva insieme le forze dell’anticomunismo come la DC, gli apparati dello Stato passati indenni da un regime all’altro e gli ex ora neo fascisti. I numeri della repressione antipartigiana dopo il ’48, quando i fascisti hanno iniziato a uscire di galera e a tornare a occupare i loro posti come se nulla fosse, sono impressionanti.
Un capitolo del libro è dedicato all’attentato via Rasella, una pagina di lotta che aveva fatto all’epoca scalpore in tutta l’Europa occupata dai nazisti. Quegli stessi nazisti che, proprio a Roma, sei mesi prima si erano resi responsabili della liquidazione del ghetto ebraico (1.007 ebrei romani deportati nei campi di sterminio, dei quali solo 16 sopravvissero). Il 23 marzo ’44 una bomba dei GAP romani lasciò per terra 33 soldati dell’SS-Polizeiregiment “Bozen”. La rappresaglia nazifascista fu spietata, con la strage delle Fosse Ardeatine che provocò, il giorno successivo, 335 morti tra civili e militari italiani. La vicenda di via Rasella viene innalzata come maggior esempio delle cosiddette leggende nere messe in giro sulla Resistenza, il cui unico scopo è trasferire le colpe di rappresaglie che non hanno alcun appiglio nel diritto internazionale dai loro ideatori ed esecutori nazisti e tirapiedi fascisti ai partigiani.
Per chiudere resta da dire che l’Italia gode del triste primato di essere l’unico Paese europeo dove la Resistenza è costantemente infangata. Questo rende ancora più importante conservare la memoria di quella battaglia per la vita e per la libertà.
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