Ramy sempre con noi. Vogliamo verità e giustizia, un anno dopo

La notte tra il 23 e il 24 novembre 2024, Ramy Elgaml perde la vita, all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, nel quartiere Corvetto di Milano.
Era passeggero su uno scooter guidato dal suo amico Fares, tampinato a stretta distanza da due gazzelle dei carabinieri. Le gazzelle viaggiavano talmente vicine a loro che sotto una delle volanti sono stati trovati resti della giacca di Ramy.
Aveva solo diciannove anni.

Si dirà subito che i due ragazzi, che si trovavano in zona Corso Como, tornando verso casa non si siano fermati a un posto di blocco. Passeranno diversi mesi prima che venga confermata l’assenza di pattuglie stabili nella zona, e ancora oggi non è chiaro per quale ragione oggettiva i carabinieri abbiano dato inizio all’inseguimento dei due giovani.
Ramy lavorava come elettricista – un’adolescenza con la passione per il calcio e per la musica.
Nato in Egitto e cresciuto nel quartiere popolare di Corvetto, stava studiando per prendere la patente ed era in attesa del rilascio della cittadinanza; due condizioni che avrebbero svoltato la sua giovane vita, interrotta con lo schianto.
Sulla sua vita e su quella di Fares, di due anni più grande e finito in coma dopo l’incidente, si diranno molte falsità con lo scopo di descriverli come criminali, ragazzi pericolosi ed in qualche modo estranei alla loro città, Milano.
Si farà lo stesso anche con i loro amici, che nei giorni successivi all’uccisione di Ramy hanno organizzato un sit-in pacifico per strada, interrotto da un’auto che ha travolto la folla e che ha ferito diverse persone.
Si farà lo stesso con la rabbia da lì esplosa: quella di chi non viene ascoltato, quella di chi è stanco di essere invisibile.
Si sarebbe parlato così tanto di Ramy e Fares se il quartiere Corvetto non avesse alzato con forza la propria voce?

Fares e uno dei carabinieri coinvolti quella notte andranno a processo con l’accusa di omicidio stradale.
Per i due carabinieri indagati per depistaggio e frode processuale sono state chiuse le indagini. Si tratta di due servi dello Stato che, mentre Fares e Ramy giacevano ancora a terra, si sono avvicinati a un testimone, lo hanno intimidito e gli hanno cancellato dal cellulare otto video che sarebbero stati cruciali in tribunale.
Con la scomparsa anche del palo contro cui è avvenuto lo schianto, l’anno di indagini trascorso ha incontrato enormi difficoltà nel chiarire le dinamiche finali di quell’inseguimento letale.

La comunità di Corvetto e tutti coloro che in questa città hanno chiesto verità e giustizia per Ramy e Fares, dopo quasi un anno, sono ancora qua – a poche settimane dall’anniversario.
Perché Ramy è diventato un fratello per chi vive a Milano ma continua a sentirsi come se fosse un ospite, per i figli e le figlie di immigrati che hanno visto i propri genitori spaccarsi la schiena per costruire una città che spesso ci respinge.
L’omicidio di Ramy non può essere perdonato. Gli abusi in divisa contro i giovani dei quartieri popolari sono una ferita aperta a Milano, una ferita che non guarirà finché non ne verrà estirpata la radice.
Il razzismo istituzionale continua a crescere ed emarginare, generazione dopo generazione: la propaganda e la violenza sulla nostra pelle deve finire.
Verità e giustizia per Ramy e Fares.
Rest in power Moha.

Nassi LaRage

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