“Città in vendita”, si può sopravvivere alla gentrificazione?

Gentrificazione
s. f. Riqualificazione e rinnovamento di zone o quartieri cittadini,
con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili
e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane (Treccani.it)

Negli ultimi anni molti sono stati i libri pubblicati sulla gentrificazione e sulla turistificazione delle metropoli. Poche settimana fa abbiamo recensito L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane di Lucia Tozzi, un libro che ha ottenuto e continua a ottenere un grande successo nelle librerie e che smantella mattone per mattone il cosiddetto “Modello Milano” che già da tempo ha iniziato a scricchiolare pericolosamente.

Oggi è il turno di Città in vendita di Alvaro Ardura e Daniel Sorando, pubblicato in Italia da Red Star Press. Questo agile volume di circa 150 pagine ha, come prima cosa, la capacità di spostarsi con intelligenza nello spazio e nel tempo raccontando diversi percorsi di gentrificazione avvenuti in giro per il globo. Si parte da New York e si arriva alle città della Spagna passando per Berlino e Londra, senza mai far perdere il filo della narrazione e dei concetti espressi al lettore.

Il primo elemento che balza all’occhio è come, al di là delle differenze dettate dalla storia e dalla tradizione dei singoli Paesi, alla fine i processi di gentrificazione delle città abbiano degli aspetti che li accomunano e che si manifestano a Manhattan come a Kreuzberg. Se lo stesso Bronx, il peggio del peggio del quartiere malfamato nell’immaginario collettivo di diverse generazioni, ha subito un processo di gentrificazione vuol dire che nessuno è immune! Il secondo è che, pur non citando Milano, le dinamiche e i processi raccontati nel libro sono perfettamente identificabili anche all’interno della nostra metropoli.

Il libro, diviso in sei capitoli dai titoli estremamente evocativi, ricostruisce passo per passo il processo di gentrificazione dal suo inizio alla sua fine:

-come e perché all’interno delle metropoli, in diverse fasi storiche tutte seguite alla Seconda Guerra Mondiale, si creano dei vuoti;
-come questi vuoti sono occupati da soggetti sociali facilmente stigmatizzabili;
-il ruolo spesso nefasto giocato dall’intervento pubblico e dall’urbanistica (ancora prima dell’arrivo dei privati) nello sviluppo del processo di gentrificazione;
-il ruolo, spesso inconsapevole, che nel  processo hanno quelle che in senso ampissimo possono essere definite le controculture, le quali diventano agente di gentrificazione, il che non impedirà però la loro “cacciata” dai territori a processo concluso;
-i processi di opposizione all’interno delle metropoli;
-come la gentrificazione si inscrive perfettamente nella controrivoluzione neoliberista degli ultimi 40 anni e più.

Le fasi iniziali della gentrificazione possono essere assimilate alla distruzione creatrice tipica del capitalismo già descritta con dovizia di particolari da Karl Marx e da Joseph Schumpeter. Essa viene quasi sempre narrata come ineluttabile e come processo positivo, poiché capace, da un lato, di incrementare il valore immobiliare dei quartieri coinvolti e, dall’altro, di aumentare la richiesta di beni e servizi da parte degli abitanti. Il grande problema della narrazione che beatifica la gentrificazione come “migliore dei mondi possibili” è che il racconto parte sempre dal disastro in cui erano ridotte certe zone successivamente gentrificate, guardandosi però bene dallo spiegare cos’era successo prima e perché certe aree metropolitane si fossero ridotte in uno stato spaventoso. Il tutto con la tipica memoria selettiva a servizio dell’ideologia vincente: quella neoliberista. E cos’è del resto la gentrificazione, se non la metafora dei processi neoliberisti? In essa assistiamo alla messa a profitto di tutti gli aspetti monetizzabili della vita umana e alla gestione punitiva delle conseguenze sociali di questa commercializzazione totalitaria.

Nel libro l’aspetto più problematico per chi legge e viene da dimensioni di movimento è l’identificazione, da parte degli autori, dei soggetti alternativi come veicolo di gentrificazione. Essi vengono definiti pionieri. Portatori di un alto bagaglio culturale, ma di un reddito basso poiché lavorano in settori produttivi precarizzati, che in un dato momento si affiancano alla popolazione autoctona ancora più povera e fragile. I pionieri vengono successivamente travolti, quando i quartieri hanno raggiunto un certo livello di trasformazione, dai processi che essi stessi hanno inconsciamente assecondato. La vita nel quartiere gentrificato è a questo punto diventata invivibile per ceti popolari, anziani, migranti e, per l’appunto… i pionieri. Lo stesso vale per l’urbanistica, spesso ricca di intelligenze critiche e radicali, ma che, al dunque, non riescono a rompere definitivamente la coazione a ripetere e a uscire dal ruolo in commedia che è stato loro assegnato, diventando in qualche modo complici. È come se l’assenza di un punto di vista di classe condannasse tutti noi, anche i più critici, a non riuscire a essere mai incisivi nell’opposizione allo schiacciasassi rappresentato da questo processo.

L’area di Porta Nuova nei primi anni Ottanta. Sul fondo la Stazione Garibaldi. A destra l’Isola.

Nella narrazione degli autori emergono terrificanti somiglianze con l’evoluzione della Milano degli ultimi 50 anni, dove i processi di gentrificazione sono iniziati, con lentezza ma progressione costante, a fine anni Settanta nei quartieri di Brera e Ticinese, storicamente popolari e “rossi”. Stessa dinamica si è riscontrata in Isola, che fino alla fine degli anni Ottanta era, per l’appunto, ancora un’isola nel centro della metropoli e che è stata interessata poi da un susseguirsi di occupazioni importantissime nella storia del movimento milanese: da Pergola a Garigliano passando per MetropoliX e la Stecca, arrivando a Reload e Volturno33 nel 2007, proprio nel momento in cui Manfredi Catella, come Robert Moses a New York, ha scatenato la controffensiva finale. Le stesse dinamiche, sempre più accelerate, possono essere narrate per Chinatown, ancora “landa desolata” nei primi Duemila e rapidamente trasformatasi in zona godibile con l’istituzione della Ztl . Per non parlare dei dilagare del brand NoLo, in una zona dove ancora dieci anni fa lo spaccio la faceva da padrone.

Se una critica può essere mossa a questo testo come ad altri che trattano il tema della gentrificazione (ma in fondo anche tutti gli altri aspetti della nostra vita travolti dal totalitarismo neoliberista) è che di fronte a un’ottima analisi dei processi e degli attori c’è una certa debolezza di fondo nella parte propositiva. Nel “Che fare?” di leniniana memoria. Ma in fondo questa è una debolezza che accomuna noi tutti. Citando Occupy Wall Street, quel 99% di umanità che non detta, ma subisce in modo più o meno consapevole, le conseguenze dei dogmi neoliberisti.


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