“Le panchine di Rozzano” – L’assalto al cielo dei giovani delle periferie della metropoli

La sera del 7 dicembre 1976 Milano fu teatro di quello che sarebbe passato alla storia come “l’assalto alla Prima della Scala”, il punto culminante di un autunno durante il quale il capoluogo meneghino era stato attraversato dal fiume in piena dei Circoli del Proletariato Giovanile. Queste vicende sono state narrate nelle pagine di alcuni libri sugli anni Settanta a Milano, come la Banda Bellini di Marco Philopat, Insurrezione di Paolo Pozzi o La ricreazione è finita di Roberto Grassi.

Poche settimane fa, quasi in occasione col 45° anniversario di quella giornata, è uscito per Prospero Editore il libro di Valter Boscarello Le panchine di Rozzano – 7 dicembre 1976, la contestazione giovanile dalle periferie all’assalto alla Prima della ScalaUn libro che forse per la prima volta descrive in modo dettagliato il percorso politico che portò agli scontri di quella sera, ricostruendo nel dettaglio gli eventi che caratterizzarono quella convulsa giornata di dicembre di tanti anni fa.

A metà anni Settanta Milano è una città in ebollizione: “uno dei più grandi laboratori rivoluzionari dell’Europa occidentale”, come qualcuno l’ha definita. L’omicidio per mano fascista di Claudio Varalli accende la miccia di quelle che passeranno alla storia come le “Giornate d’Aprile”, che videro eventi quasi pre-insurrezionali con migliaia di persone in piazza, assalti ai covi fascisti, scontri violentissimi e la morte, travolto da un camion dei Carabinieri durante il tentativo di attacco alla sede provinciale del Movimento Sociale Italiano, di Giannino Zibecchi.

La copertina di Rosso, rivista dell’Autonomia, che raffigura gli scontri in via Mancini del 17 aprile 1975

Le elezioni amministrative del giugno di quell’anno vedranno il trionfo in città del PCI, che con il 30% dei voti supererà la DC andando a costituire una giunta di sinistra insieme al PSI col suo 15%; sindaco diverranno prima il comandante partigiano Aniasi e poi Tognoli, nel tentativo di far calare l’elettricità nell’aria. Milano continuerà però a essere epicentro di sperimentazione politica e mobilitazioni, tra occupazione di spazi sociali, scioperi selvaggi, autoriduzioni di massa e così via.

Gli attori incontrastati di questo ciclo di lotte saranno i giovani, una nuova generazione che, spesso e volentieri, non aveva vissuto l’esperienza inebriante del Sessantotto studentesco e del Sessantanove operaio. Giovani e giovanissimi spesso provenienti dai quartieri periferici della metropoli e dal suo hinterland, che, dopo aver iniziato a riunirsi per l’appunto sulle panchine per parlare dei propri problemi, sentiranno l’esigenza di organizzarsi politicamente e iniziare a occupare spazi sociali per dare un tetto alle proprie idee. Da lì sarà un vero e proprio fiorire di decine e decine di occupazioni, spesso, ancora una volta, localizzate nei quartieri più periferici e disagiati, oppure nella fascia appena fuori i confini della città.

Attraverso le proprie memorie e quelle di altri compagni e compagne intervistati per l’occasione, Boscarello ripercorre minuziosamente questa progressiva presa di coscienza in tutta la sua contraddittorietà, dal punto di vista di chi si è reso protagonista, insieme a tanti e tante, di quella stagione. Si parla quindi sia del fragoroso e tumultuoso esplodere del femminismo a metà decennio – un salutare tsunami che mette in dubbio le granitiche certezze dei maschi e delle loro strutture organizzate (e di potere) – ma anche dell’insofferenza crescente di una parte della nuova generazione ai gruppi della sinistra rivoluzionaria nati sull’onda lunga del biennio rosso, un’insofferenza che raggiungerà il suo apice con il movimento del ’77. È analizzato il ruolo delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria (l’autore era di Avanguardia Operaia) e quello dei servizi d’ordine senza la visione caricaturale che di essi è stata costruita negli anni dalla narrazione dominante. Si parla del dilagare del fenomeno dell’eroina, che a fine decennio diventerà una valanga inarrestabile passando per lo scontro, anche generazionale tra padri e figli, con i militanti del Partito Comunista di Berlinguer,  ma anche del ruolo fondamentale della musica per quella generazione (non è un caso che ogni capitolo si apra con una citazione musicale).

E proprio un festival musicale, quello del Parco Lambro dell’estate del ’76, diventa un punto di svolta e di avvisaglia di quello che succederà a Milano nell’autunno, e che culminerà negli scontri del 7 dicembre. Un magmatico ribollire di bisogni insoddisfatti mischiati a rabbia e frustrazione (non dimentichiamoci che nelle elezioni del 1976 il tanto atteso sorpasso del PCI nei confronti della DC non c’era stato e anzi… il partito di Berlinguer stava per dare ricaduta concreta alla politica del compromesso storico), sentimenti quasi impossibili da organizzare politicamente. Il Festival di Re Nudo, un po’ come il Convegno del Movimento di Bologna di appena un anno dopo, non riuscirà a dare le risposte (ma forse era impossibile) alle domande di decine di migliaia di giovani che rientreranno nei loro quartieri riprendendo a fare politica in strada ancora più carichi di punti interrogativi.

Da lì si svilupperà impetuoso l’autunno delle autoriduzioni, che vedrà per tutto il novembre ’76 una città attraversata da iniziative fuori dai cinema contro il caro-biglietti, unite a cortei che spesso termineranno con incidenti con le Forze dell’Ordine e che finiranno sulle prime pagine dei giornali.

articolo dell’Unità del 15 novembre 1976

 

articolo dell’Unità del 22 novembre 1976

Il 27 e il 28 novembre si terrà all’Università Statale il partecipato Happening nazionale del proletariato giovanile, il cui slogan era inequivocabile nel suo fare un parallelo tra la condizione dei giovani proletari delle metropoli italiane e gli indiani d’America: “Abbiamo dissotterrato l’ascia di guerra”.

il manifesto dell’Happening nazionale del proletariato giovanile del 27 e 28 novembre 1976 alla Statale di Milano (da Archivio Autonomia)

L’incontro, oltre a generare le sempreverdi polemiche contro i giovani senza regole e senza valori (vecchio leit-motiv contro ogni movimento sociale del nostro Paese), lancerà pubblicamente la mobilitazione contro la Prima della Scala vista come uno sfoggio di arroganza da parte della ricca borghesia milanese pronta a pagare un carissimo biglietto pur di far mostra del proprio potere in una fase di profonda crisi economica e di un periodo in cui la richiesta di “sacrifici” (anche questo vecchio leit-motiv) verso il mondo del lavoro si faceva pressante. La scelta dell’obiettivo, le modalità di scendere in piazza e tanto altro generano però pesanti divisioni all’interno del movimento, divisioni che sono plasticamente riprodotte dalla decisione di mettere in campo diversi concentramenti.

Si arriva così all’infuocata giornata del 7 dicembre 1976. Mentre all’interno del teatro va in scena l’Otello di Verdi – trasmesso per la prima volta dalla Rai a colori e con la direzione orchestrale di un gigante come Carlos Kleiber, la regia di Franco Zeffirelli e il tenore Placido Domingo nel ruolo del protagonista – fuori la Questura ha provveduto a trasformare la città in una vera e propria piazza d’armi, con il dispiegamento di migliaia di agenti e filtri progressivi attorno al fortino della Scala.

Attraverso una serie di interviste trasversali  il libro ricostruisce lo sviluppo della giornata a partire dai puntelli iniziali tra i vari gruppi che dalle periferie dell’Impero erano pronti a “calare” verso il centro. È raccontata la scelta delle organizzazioni dell’estrema-sinistra di non partecipare direttamente alla giornata, ma di lasciare i loro militanti liberi. Emerge la strategia della Questura di cercare di neutralizzare tutti i concentramenti prima che riescano a strutturarsi e raggiungere il centro. Il tutto, per la prima volta, fu raccontato in diretta radiofonica da Radio Popolare e Canale 96, grazie alle telefonate dei giornalisti inviati nelle strade che tra un lacrimogeno e una molotov chiamavano in redazione dalle cabine telefoniche disseminate per le vie di Milano. Si arriva al momento decisivo: l’imbottigliamento e il massacro in via Carducci di uno degli spezzoni, la carica alle spalle condita da raffiche di mitra allo spezzone cui partecipava l’autore che darà il via a lunghi scontri attorno alla Statale.

articolo dell’Unità del 9 dicembre 1976

Il bilancio della serata sarà disastroso: centinaia di ragazzi e ragazze fermati, quasi quaranta arresti, decine di feriti di cui alcuni gravissimi.

Quel che emerge è come quella serata sia stata un vero e proprio momento di passaggio, che si sostanzierà definitivamente la primavera successiva con i fatti dell’Assolombarda e di via De Amicis. Da lì, la crisi delle strutture e dei Circoli diventerà ancora più forte, con un rifluire del magma dei due anni precedenti all’interno dei confini dei soggetti organizzati. Milano perderà la sua spinta propulsiva passando il testimone a Roma, Bologna e al Veneto.

 

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