Milano para/noia
Un mese: dal 21 febbraio la scintillante “unica metropoli italiana” si trova immersa nell’emergenza Covid19, un paradigma biopolitico imprevisto, costruitosi in maniera disordinata, progressivamente di giorno in giorno, per lunghissime quattro settimane.
Sta di fatto, nonostante fiumi di parole/analisi/letture/sguardi/statistiche/paragoni, la città è piombata in una precarietà sociale e emotiva senza precedenti, una situazione difficilmente leggibile (diciamolo chiaro) ma soprattutto impossibile da racchiudere in un unico sentiment (rassegniamoci).
Non si può che associarci a Majakovskij, uno che di periodi tempestosi se ne intendeva, quando raccomandava “Non dipingere tele epiche durante le rivoluzioni, ve le faranno a brandelli”: è inutile in tempi di grandi stravolgimenti provare, quindi, a delineare raffigurazioni definite, proprio perché saranno solo un rifugio, illusorio e momentaneo, nelle nostre certezze.
Prima Milano, poi progressivamente la città metropolitana (circa tre milioni di persone) stanno vivendo infatti una realtà sociale in piena evoluzione, ma sicuramente non lineare: via via che le consuete autocompiaciute narrazioni, i consolidati frenetici ritmi, lo stralcio del calendario dei grandi eventi, cominciava la crisi di nervi.
La politica cittadina dell’invincibile borgomastro Sala e della “governance plurale” meneghina dal 25 febbraio cominciava vistosamente a sbandare di ora in ora, di improvvisata conferenza stampa in conferenza stampa: “limitiamo la socialità”, #milanononsiferma, i crowfounding dei Ferragnez (al più grande ospedale privato italiano), il Salone del Mobile spostato a giugno, scuole/università chiuse (ma “per precauzione e solo fino al 9 marzo, tranquilli!”), Chinatown che si barrica in casa…
Così abbiamo visto di tutto già ai primi di marzo: tra borse che crollano, bozze di decreti che riempiono stazioni e caselli autostradali di fuggitivi, disinfettanti esauriti da settimane, parchi pieni al primo sprazzo di primavera, appelli a consumare/uscire di Confcommercio, statistiche che diventano bollettini di guerra ogni giorno alle 18:00, ironie social su tabaccai sì/no, Fontana che passa dalla “razza bianca” ad essere l’appestato N°1 e segretari nazionali del PD che trascinano pochi riluttanti dirigenti locali sui navigli deserti a bere improbabili e scanzonati spritz.
Di giorno in giorno però Sala ostenta sicurezza ma si trova sempre più, nei fatti, ad essere esautorato, il governatore Fontana gioca una perenne partita al rialzo contro il Governo e Conte dopo aver ridisegnato continuamente zone rosse, arancioni, gialle e verdi, alla fine estende la condizione di Lombardia e Veneto a tutta l’Italia.
In tutto questo un Parlamento nazionale che non discute dal 26 febbraio sparisce, per lasciare spazio a una gestione unicamente governativa fatta di promesse (tante) di Di Maio, annunci (molti) a rete unificate della Presidenza del Consiglio e, solo ore dopo, decreti (alcuni) del Consiglio dei Ministri.
Nella nostra Milano progressivamente l’isteria mediatico-politica cresce, mentre i discorsi più pragmatici dei medici lasciano spazio a sintesi e narrazioni allarmate e/o discutibili sui giornali: “Nella fiera un padiglione d’emergenza stile Wuhan“ (12 marzo), ” Non si può bloccare la produzione!”, “Berlusconi dona 10 milioni di euro” (17 marzo), “La battaglia di Milano” (19 marzo), ”Il fronte è a Milano” (20 marzo), “Serve l’esercito per le strade” (21 marzo), “Droni sulla città” (23 marzo).
Il lessico guerresco entra però nelle case e dalla resistenza “in pantofole e divano” della “città che non si fermava mai e adesso va a letto presto la sera” (Piero Colaprico), dalle luci a led degli smartphone accese alle 21:00 sul balcone per darsi forza, si passa alla caccia fotografica al runner, a una voglia di scendere in trincea anche solo chiamando una volante per punire un assembramento sospetto.
Questura e Carabinieri in attesa di poter giocare con i droni parlano di circa 12.100 controlli al giorno per le strade, mentre la solerte Procura di Milano ha speso parte del suo tempo, anziché nel bloccare il prevedibile caos dei processi in questo periodo, in dibattiti tra giureconsulti su quale legislazione repressiva adottare per primi oltre al 650 del CP: dal testo Unico delle Leggi Sanitarie del 1934 al 438 CP (utilizzato per punire come “lesioni” chi consapevolmente contagia con HIV).
Se Milano è il fronte, i soldatini non possono certe sfigurare…
Luci e ombre di una metropoli che si scopre cittadina di provincia, dove la solidarietà si mette in moto con coraggio in modo autorganizzato dal basso (in primis dagli spazi sociali) e dall’alto Confindustria e il Terziario milanese costringono ad andare al lavoro circa 300.000 persone (in produzioni non essenziali) ogni giorno nell’indifferenza per settimane dei grandi sindacati della città e della sinistra istituzionale, più attenta a schierare cantanti e attori per dire #restateacasa che a difendere la salute di donne e uomini.
La follia di una cultura lavorista progressista che guarda caso si sposa perfettamente dai tempi di Lama&Berlinguer con gli interessi del più cinico capitalismo, mentre a Malpensa sbarcano in corteo una cinquantina di medici cubani per offrire supporto e, indirettamente, una lezione di internazionalismo solidale e, purtroppo, gli sportelli telematici autorganizzati di assistenza e consulenza per lavoratori e precari descrivono una fotografia già allarmante.
Eh sì perché al di là di questa cronaca alle volte un po’ sarcastica il punto centrale è proprio questo: Milano ha così paura (oggi) proprio perché è così precaria (da decenni)!
Occorre insomma dirlo con forza questa crisi, perché di questo si tratta, avrà dei costi sociali altissimi in Europa, in Italia e moltissimo nella nostra città che rappresenterà l’epicentro di questo terremoto nel nostro paese.
E’ una facile previsione che trova sempre maggiore spazio, non è possibile che tutto questo sia solo una parentesi prima di un rientro alla normalità, ma è qualcosa che inciderà e sta già modificando l’intero piano biopolitico metropolitano, in una partita che durerà mesi e che pone già contraddizioni da agire politicamente ponendo già l’attenzione su servizi pubblici, welfare, questione giovanile, autonomia, in una prospettiva di lotta, ma soprattutto di avanzamento.
Se l’alto di questa città impone sempre di più decisionismo manageriale e rapace, il basso risponde con energia solidale e organizzazione territoriale: nei vari quartieri delle città sono tantissime le brigate di solidarietà per spesa e assistenza (in collaborazione con Arci e Emergency o autorganizzate) fatte da centri sociali e associazioni, oppure gli sportelli telematici del sindacalismo di base e conflittuale (CGIL buongiorno buongiorno…)
Tutto cambia rapidamente e, l’hanno già detto in tanti meglio di noi, tutto non tornerà più come prima, soprattutto nella nostra Milano dove, i vecchi schemi sono già saltati (socialità, sfruttamento, quadro politico istituzionale, geopolitiche finanziarie internazionali, livelli di controllo poliziesco, saperi e sistema formativo, vita nei quartieri…).
Una partita da giocare, senza darla fatalmente per persa, partendo dall’attivazione dal basso e da tutta la determinazione che sapremo mettere in campo.
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