Cpr di Gradisca d’Isonzo, secondo morto in sette mesi

Per avere qualche sicurezza in più bisognerà attendere l’autopsia. Al momento le certezze sono due: ieri mattina in una cella d’isolamento del Cpr di Gradisca d’Isonzo un giovane albanese di 28 anni è stato trovato morto, con lui un cittadino marocchino agonizzante; in sette mesi è il secondo decesso di una persona in custodia dello Stato nella stessa struttura.

Una prima versione diffusa in mattinata aveva ipotizzato un omicidio seguito da un tentativo di suicidio. Ma i medici che hanno visitato il marocchino e la Prefettura smentiscono la presenza di segni che facciano pensare a episodi di violenza. I reclusi contattati dal manifesto raccontano di non aver sentito alcun rumore particolare durante la notte precedente ed essersi resi conto della presenza di un morto dall’improvviso ingresso di molti agenti e dall’uscita di una salma avvolta in un sacco di plastica. Nel pomeriggio ci sono stati disordini e sono state incendiate alcune suppellettili.

Che ci fossero una persona deceduta e una agonizzante era stato scoperto intorno alle 9 dal personale dell’ente gestore, la cooperativa Edeco, che ha chiamato il 118. I medici hanno solo potuto constatare la morte del cittadino albanese e trasferire in ospedale quello marocchino. Arrivato in stato di incoscienza, è migliorato nel corso della giornata e sarebbe fuori pericolo di vita. La sua testimonianza e l’autopsia, di cui non è stata ancora stabilita la data, saranno elementi fondamentali per provare a ricostruire l’accaduto. Nelle stanze del Cpr non sono presenti telecamere.

La persona che ha perso la vita era stata trasferita nel Cpr il 10 luglio, non proveniva da un hotspot e stava scontando la quarantena nella struttura. Nei giorni scorsi il centro aveva raggiunto la sua capienza massima: 80 trattenuti, al momento diventati 78. I Cpr sono tornati ad affollarsi con molti trasferimenti di persone appena sbarcate che dopo la quarantena, sulla Moby Zazà o a terra, e il passaggio da un hotspot finiscono dietro le sbarre. Questa dinamica sta facendo crescere la tensione nelle sette strutture per la detenzione amministrativa sparse sul territorio nazionale. A Gradisca nei giorni scorsi c’erano stati scioperi della fame ed episodi di autolesionismo. I reclusi denunciano, tra le altre cose, la pessima qualità del cibo e la scarsa assistenza medica. «Non ho fatto niente, perché mi hanno messo in prigione?», chiede al telefono uno di loro.

La sindaca di Gradisca Linda Tomasinsig (centro-sinistra) pretende chiarezza: «Le notizie in mio possesso sono che la morte non è avvenuta in un contesto di fuga o rivolta. Chiedo con forza, e non nutro dubbi in proposito, che la verità emerga con celerità e attenzione, così come che vengano resi noti gli esiti delle indagini sulla morte, avvenuta il 19 gennaio di quest’anno, di Vakhtang Enukidze». Enukidze, cittadino georgiano di 38 anni, è morto dopo un calvario tra Cpr, carcere di Gorizia e di nuovo Cpr. L’autopsia effettuata il 27 gennaio aveva escluso il decesso a seguito di percosse, identificandone la causa in un edema polmonare. Non si conoscono, invece, i risultati degli esami istologici e tossicologici. Erano attesi entro 60 giorni. Sia il perito di parte civile che quello del pubblico ministero hanno chiesto una proroga d’indagine per le proprie conclusioni autoptiche, concessa il 30 giugno.

In occasione della vicenda di Enukidze il deputato di +Europa Riccardo Magi aveva effettuato un’ispezione presso la struttura, denunciando di aver incontrato molti reclusi «evidentemente sotto effetto di calmanti o psicofarmaci. Alcuni in stato confusionale». Tra Edeco e la Asl territoriale esiste un protocollo sanitario che prevede la presenza di personale del Centro di salute mentale e del Sert. Il Covid ha però di fatto sospeso il protocollo e le visite in presenza sono state sostituite da consulenze telefoniche per diminuire il rischio che il virus entri nel Cpr (cosa comunque accaduta a marzo e poi ad aprile). Presumibilmente, però, non si è interrotta la somministrazione dei farmaci in questione. La rete LasciateCientrare, che per prima aveva appreso la notizia del decesso, parlato in un comunicato di un possibile «eccesso di sedativi e tranquillanti», ma specifica: «siamo in attesa di dettagli». «Due morti in sette mesi, oltre ai diversi casi di Covid, significano che la struttura è fuori controllo e la situazione ormai insostenibile», afferma Gianfranco Schiavone, vice-presidente di Asgi. La rete «No Cpr, no frontiere – Fvg» ha manifestato ieri sera chiedendo la chiusura del centro.

di Giansandro Merli

da il Manifesto del 15 luglio 2020

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