Fobocrazia e manganelli selvaggi

«Manganelli agitati minacciosi nell’aria, gambe divaricate pronte all’attacco, guanti neri, violenza e botte nel 25 aprile della Polizia a Milano». Inizia così, come una sequenza cinematografica, la lettera inviataci da Luca, milanese e lettore de il Manifesto che ha voluto mandarci alcune riflessioni su quanto accaduto sabato scorso a Milano fra viale Padova e via Democrito, dove alcune volanti della Polizia hanno chiuso una strada per bloccare pochissimi giovani che, in bicicletta e mascherina, andavano a deporre fiori sulle lapidi del quartiere dedicate ai partigiani morti.

Con la scusa che si trattava di «Semplici controlli per i decreti sul Coronavirus», i poliziotti hanno cominciato a menare le mani, pesantemente, come se quei ragazzi fossero un pericolo per la salute pubblica, dei virus loro stessi.
E lo hanno fatto «In strada – continua Luca – sotto gli occhi di persone alla finestra, come un’esibizione di pedagogica rilevanza. La storia non dice che proprio quei cittadini hanno lavorato molto nei giorni scorsi, per fare quello che le istituzioni non fanno abbastanza: aiutare chi ha bisogno. Giorni a fare spesa, in bici, a piedi, su e giù, su e giù. Solidarietà, soccorso ai deboli, i soli di sempre, perché intorno hai cose più ricche e importanti cui badare, come vogliono Confindustria, Sala, il governo e Fontana. Se ne vanno in via Padova per mettere un fiore, innocuo, gentile, primaverile e rosso fiore, sotto il nome scolpito di qualcuno che, prima e come loro, viveva nel dovere di credere a un mondo diverso da quello dei potenti. Mascherine e distanze, e sai che insubordinazione. Ora si andrà strada per strada a cercare e disciplinare chi sfugge al controllo? Sarà il manganello a spiegare gli ultimi com del nuovo decreto?».

Che paese è questo? Che città è quella in cui, mentre si canta “Bella Ciao” dai balconi, alcuni esponenti delle Forze dell’Ordine scaricano in una strada di periferia la smania di disciplina su ragazzi in bicicletta armati solo di fiori? E il 25 aprile per di più? Luca scrive: «È uno Stato che mostra così, se ce ne fosse ancora bisogno dopo Genova 2001 e la vicenda di Stefano Cucchi, la propria natura autoritaria, violenta e ostile alla libertà».
Qualcuno dirà che ci sono decreti da far rispettare, regole imposte per il bene comune e a cui la maggior parte dei cittadini obbedisce. Allora vuol dire che quei decreti potevano essere disattesi quando quei ragazzi assistevano persone bisognose, mentre sono diventati inappellabili nel momento in cui hanno voluto ricordare i partigiani caduti? Significa che andiamo bene per assistere chi è in difficoltà, ma non andiamo più bene se vogliamo uscire di casa per esprimere un’idea?
Sta in questa discrezionalità interpretativa il vulnus di quanto accaduto a Milano e il pericolo che riguarda il futuro di tutti quanti. D’accordo l’attenzione alla salute, ma stiamo attenti che questa attenzione non diventi smania di repressione perché la repressione puzza sempre di fascismo.
Concludo con un’esortazione di Luca: «Tocca a tutti noi, adesso, rispondere per dire qual è il nostro destino, se vogliamo libertà o un’autonomia condizionata dalla fobocrazia utile per gli interessi di pochi. Il controllo totale, ora anche biologico, imposto alle nostre esistenze dai comitati: di esperti, di manager, di sanitari. Come gli internati nelle istituzioni totali, possiamo ancora scegliere: lasciarci disciplinare rinunciando alla nostra identità di singoli per aderire al coerente programma previsto per noi, oppure tentare la via della resistenza, del no».

di Mariangela Mianiti

da il Manifesto del 28 aprile 2020

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